giovedì, settembre 07, 2006

L'agenzia precisa: pagamenti F24 anche mediante l'home banking


Commercialista Olbia
Dal 1 ottobre tutti i titolari di partita Iva dovranno effettuare i versamenti utilizzando l'F24 on line. L'adempimento coinvolge direttamente gli intermediari che sono chiamati ad assolvere un nuovo adempimento imposto dalla legge per conto dei clienti, che difficilmente riusciranno a comprendere la gravosità dellincombenza.
L'agenzia ha emanato il seguente Comunicato Stampa del 05/09/2006
Oggetto:Versamenti on-line obbligatori dal 1 ottobre. Tutte le modalita': Internet, Entratel, home banking
Testo:
Il prossimo 1 ottobre, per i titolari di partita Iva scatta l'obbligo dei versamenti fiscali e previdenziali tramite modello F24 on-line, cosi' come stabilito dal comma 49 dell'articolo 37 del decreto legge 223/2006 - il cosiddetto decreto "Bersani-Visco" - convertito nella legge 248.
Con l'approssimarsi della data sopra citata, l'Ufficio stampa dell'Agenzia delle Entrate ritiene utili le seguenti precisazioni.
Tutti i titolari di partita Iva sono tenuti al versamento unitario delle imposte e dei contributi in via telematica:
. direttamente, dopo essersi muniti di codice pin e di password, utilizzando il modello F24 on-line(sito Internet)
. tramite gli intermediari abilitati, che devono utilizzare il modello F24 cumulativo (Entratel)
. mediante l'home banking (Cbi - Corporate Banking Interbancario), utilizzando il modello F24.
Vediamo nel seguito le altre modalità previste.

Documento di Programmazione Economico Finanziaria per gli anni 2007-2011

DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
1
I – CONTESTO INTERNAZIONALE
I.1 Congiuntura economica
Nel 2005 l’economia mondiale ha continuato a registrare un tasso di crescita
elevato (4,7 per cento), pur evidenziando un rallentamento nella seconda parte
dell’anno. Contemporaneamente, il prezzo del petrolio è passato dai 38 dollari al barile
nella media del 2004, ai 55 dollari.
Il volume degli scambi commerciali è cresciuto del 7,3 per cento, valore che,
seppur in decelerazione rispetto al 2004, rimane superiore alla media degli ultimi dieci
anni.
Gli Stati Uniti e le economie emergenti, ed in particolare quelle asiatiche, hanno
trainato la crescita mondiale, sostenuta anche dal consolidarsi dell’espansione
economica in Giappone. A ciò ha fatto riscontro il rallentamento dell’attività nell’area
dell’euro, con il PIL in moderazione dal 2 per cento del 2004 all’1,3, a riflesso
dell’evoluzione ciclica sfavorevole nelle principali economie dell’area, penalizzate dal
contemporaneo indebolimento della domanda interna ed estera.
Nel primo trimestre 2006 la crescita dell’economia mondiale ha registrato un
rafforzamento rispetto all’ultimo trimestre 2005, rivelandosi superiore alle attese (cfr.
Fig. I.1). All’accelerazione dell’economia statunitense, alla conferma delle economie
asiatiche emergenti quali motore dello sviluppo mondiale e alla buona performance
dell’economia giapponese, si é aggiunta la ritrovata vivacità dell’area dell’euro. A
differenza del recente passato, pertanto, l’espansione internazionale risulta più
equilibrata, caratterizzata da una maggiore omogeneità nella distribuzione della crescita.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
2
0,0
1,0
2,0
3,0
4,0
5,0
6,0
I-05 II-05 III-05 IV-05 I-06
Stati Uniti Giappone Area Euro Paesi industrializzati
Figura I.1 – Evoluzione trimestrale del PIL 2005-2006: Confronti internazionali
(variazioni percentuali congiunturali annualizzate)
Fonte: Elaborazioni su dati OCSE, Commissione Europea, BEA
Secondo le stime dei principali Organismi internazionali, nella media del 2006 il
PIL mondiale dovrebbe crescere ad un tasso prossimo a quello dell’anno precedente
(cfr. Tav. I.1). Al consolidamento del ciclo economico mondiale dovrebbe
accompagnarsi una accelerazione degli scambi internazionali intorno al 9 per cento nel
corrente anno.
Permangono, tuttavia, alcuni importanti fattori di criticità a livello globale di
carattere sia economico che geo-politico. La globalizzazione dei mercati, i cambiamenti
nella divisione internazionale del lavoro e gli aumenti dei prezzi delle materie prime
creano squilibri commerciali il cui finanziamento è affidato ai consistenti flussi di
risparmio internazionale, determinando, anche se in misura meno pronunciata rispetto al
passato, sfasamenti tra risparmio ed investimenti nelle varie aree. Inoltre, lo scenario
sconta un’ulteriore ascesa dei prezzi nel mercato immobiliare in molti paesi, quotazioni
del petrolio molto elevate – dal picco dei 75 dollari al barile raggiunto in aprile a livelli
prossimi ai 70 dollari – nonché il forte rincaro delle altre materie prime (cfr. Tav. I.2).
In particolare, l’andamento del prezzo del greggio è legato alla forte domanda,
soprattutto da parte dei paesi emergenti ed alle difficoltà nell’aumentare la capacità
produttiva nel breve periodo, oltre che a tensioni geopolitiche.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
3
-1,5
-0,5
0,5
1,5
2,5
3,5
4,5
5,5
I - 05 II - 05 III - 05 IV - 05 I - 06
Consumi privati Investimenti lordi Esportazioni nette di beni e servizi
Investimenti lordi e consumi pubblici PIL (variazioni percentuali annualizzate)
In questo contesto, in linea con le stime degli Organismi internazionali, i prezzi
delle materie prime non energetiche aumenterebbero dell’8,5 per cento, mentre i prezzi
dei manufatti dovrebbero rallentare per effetto della maggiore concorrenza
internazionale (1,3 per cento).
Il cambio euro-dollaro, in base alle ipotesi tecniche assunte, dovrebbe attestarsi
in media d’anno intorno all’1,28.
Stati Uniti
L’economia statunitense continua a crescere a ritmi sostenuti. Dopo il
rallentamento dell’ultimo trimestre 2005 (1,7 per cento di crescita annualizzata del PIL),
ha ripreso ad espandersi in modo vigoroso nei primi tre mesi dell’anno in corso (5,6 per
cento), trainata dall’incremento dei consumi delle famiglie, dal graduale rafforzamento
degli investimenti fissi non residenziali e dalla dinamica positiva del mercato del lavoro.
Dal lato estero, grazie al forte incremento delle esportazioni, si registra un
miglioramento del contributo delle esportazione nette alla crescita del PIL, il quale
tuttavia rimane ancora negativo (cfr. Fig. I.2).
Figura I.2 – Stati Uniti: Contributi congiunturali annualizzati alla crescita del PIL 2005-2006
Fonte: Bureau of Economic Analysis, BEA
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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4
In particolare, la robusta accelerazione dei consumi privati nel primo trimestre
2006, superiore alla dinamica del reddito reale, si è accompagnata ad una diminuzione
della propensione al risparmio, stabilizzatasi su livelli negativi da circa un anno.
La risposta ritardata dell’economia al rialzo dei tassi sui Fed funds, il perdurare
di tensioni sui prezzi del petrolio ed il graduale raffreddamento nella crescita del settore
immobiliare proiettano una moderazione nella crescita economica nella seconda parte
dell’anno e nel 2007. Il rialzo delle aspettative d’inflazione unitamente a tensioni
striscianti nel mercato del lavoro argomentano a favore di un atteggiamento meno
espansivo da parte della Federal Reserve, che ha di recente alzato il tasso obiettivo sui
Fed funds a 5,25 punti percentuali.
Nuovi rialzi dei tassi di riferimento potrebbero essere attuati nei prossimi mesi,
moderando ulteriormente il sentiero di crescita dell’economia.
Si prevede una espansione del prodotto interno lordo pari al 3,6 per cento nel
2006, sostanzialmente in linea con quella registrata nell’anno precedente.
Area Euro
Confortanti segnali di ripresa provengono anche dall’area dell’euro. L’economia
dell’area sembra finalmente in grado di agganciarsi all’espansione mondiale, anche se
su tassi di sviluppo più contenuti. La fase espansiva del ciclo europeo si fonda su basi
più solide rispetto al passato.
Nel primo trimestre 2006, il PIL europeo ha segnato una crescita congiunturale
trimestrale dello 0,6 per cento (2,4 per cento in termini annualizzati), doppia rispetto a
quella registrata nell’ultimo trimestre 2005, interessando anche le tre più grandi
economie europee (cfr. Fig. I.1).
Segnali incoraggianti provengono dalla crescita congiunturale tedesca, pari allo
0,4 per cento, sostenuta dal forte recupero dei consumi privati che sono tornati
nettamente positivi dopo la brusca caduta del quarto trimestre 2005. Gli investimenti
fissi lordi, nonostante la buona performance della componente di macchinari e
attrezzature, registrano una leggera flessione, dovuta interamente alla forte contrazione
nel settore delle costruzioni ed in parte provocata dalle sfavorevoli condizioni
climatiche.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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80
85
90
95
100
105
110
gen-03
mar-03
mag-03
lug-03
set-03
nov-03
gen-04
mar-04
mag-04
lug-04
set-04
nov-04
gen-05
mar-05
mag-05
lug-05
set-05
nov-05
gen-06
mar-06
mag-06
-16
-14
-12
-10
-8
-6
-4
-2
0
2
4
Germania (Indice IFO) Area Euro (scala dx)
L’espansione rifletterebbe il forte recupero del settore industriale, sostenuto dal
favorevole ciclo internazionale e dall’accelerazione in corso nel commercio mondiale,
scontando anche il lieve apprezzamento atteso del cambio euro-dollaro. Gli ultimi dati
della Commissione Europea mostrano che l’andamento degli indicatori di fiducia delle
imprese manifatturiere (cfr. Fig. I.3) e delle attese di produzione è in costante rialzo,
mentre quello dell’indice di fiducia dei consumatori segnala una maggiore cautela.
Questo testimonia che, almeno per il momento, le imprese risultano essere i maggiori
beneficiari della ripresa in atto grazie all’attuazione di politiche volte al recupero di
produttività (guadagno d’efficienza) e di competitività (contenimento del costo del
lavoro).
Figura I.3 – Area Euro e Germania: Indice di fiducia delle imprese
Fonte: Commissione Europea, Indagine Ifo
Dal lato della politica monetaria, le potenziali pressioni inflazionistiche derivanti
dal caro petrolio, nonché dal rialzo dei prezzi delle altre materie prime, potrebbero
spingere la BCE a proseguire nella politica di rialzo dei tassi ufficiali. A conferma di
tale orientamento, in giugno la BCE ha provveduto ad incrementare di 25 punti base il
tasso di riferimento sulle operazioni di rifinanziamento, portandolo al 2,75 per cento. Si
tratta del terzo incremento dopo quelli del dicembre 2005 e del marzo 2006.
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In questo contesto, la crescita dell’area euro dovrebbe accelerare dall’1,3 per
cento del 2005 al 2,2 per cento nel 2006 (cfr. Tav. I.1).
Giappone
Nonostante la leggera decelerazione del primo trimestre 2006 (3,1 per cento di
crescita trimestrale annualizzata contro il 4,5 per cento del trimestre precedente),
l’economia giapponese continua a mostrare segnali incoraggianti legati soprattutto al
ritrovato vigore degli investimenti privati, che indicano la graduale uscita dalla lunga
fase di deflazione registrata a partire dalla fine degli anni novanta.
Il Giappone, ormai agganciato alla forte espansione delle economie asiatiche
emergenti, dovrebbe crescere, in media d’anno, ad un tasso pari al 2,8 per cento,
lievemente superiore a quello registrato nel 2005 (cfr. Tav. I.1).
Il buon livello degli indicatori di fiducia delle imprese, soprattutto quelle
esportatrici, conferma che il rafforzamento della ripresa giapponese sarà guidato dalla
domanda estera che, beneficiando del graduale deprezzamento del cambio nominale
dello yen rispetto al dollaro e allo yuan avvenuto nel corso del 2005, dovrebbe trainare
anche gli investimenti privati. Inoltre, il forte guadagno di competitività osservato nel
periodo gennaio 2005-marzo 2006 (il tasso di cambio reale effettivo, misurato sulla base
dei prezzi dei manufatti, si è ridotto di circa 13 punti) dovrebbe rappresentare un
ulteriore presupposto affinché il ciclo espansivo delle esportazioni giapponesi continui
nel corso dell’anno. Anche i consumi privati sono in moderata espansione, mostrando
come la ripresa economica sia ormai su basi solide.
Dal lato della politica monetaria, la Banca Centrale giapponese non ha ancora
abbandonato la Zero-Interest-Rate-Policy adottata dal 2001. Tuttavia, nel marzo di
quest’anno ha ufficialmente dichiarato un cambiamento degli obiettivi di politica
monetaria, abbandonando il target fissato in termini di tasso di crescita della liquidità a
favore di un obiettivo intermedio rappresentato dal tasso di interesse overnight. Nei
prossimi mesi potrebbe procedere ad un primo rialzo effettivo nei tassi d’interesse.
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Economie emergenti
Anche nel 2006 le economie asiatiche emergenti continueranno a registrare la
crescita più sostenuta a livello mondiale, pur con un leggero rallentamento rispetto al
2005. La Cina, secondo le previsioni degli Organismi internazionali, dovrebbe crescere
ad un tasso pari al 9,5 per cento, trainata dalla forte espansione delle esportazioni e degli
investimenti produttivi. La quota di mercato della Cina sulle esportazioni mondiali si
attesterebbe alla fine dell’anno in corso all’8 per cento, raggiungendo gli Stati Uniti al
secondo posto della classifica internazionale dietro alla Germania, che rimane il primo
esportatore mondiale. L’India, continuando a beneficiare dello sviluppo del settore
terziario (soprattutto nel comparto dell’ Information Comunication Technology, ICT) i
cui beni e servizi sono destinati prevalentemente al mercato estero, dovrebbe crescere al
7,3 per cento, in lieve decelerazione rispetto al 2005.
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I.2 Prospettive per il 2007 e medio termine
In linea con le previsioni dei principali Organismi internazionali, l’economia
mondiale dovrebbe crescere nel quinquennio 2007-2011 mediamente del 4,3 per cento,
in rallentamento rispetto al 5 per cento registrato nel triennio 2004-2006.
Il commercio mondiale è previsto aumentare a tassi elevati (7,8 per cento medio
annuo), seppure più contenuti rispetto all’8,9 per cento del triennio 2004-2006.
Tavola I.1 – Variabili internazionali rilevanti per l’Italia
(variazioni percentuali medie annue)
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
PIL
paesi industrializzati 2,7 3,1 2,8 2,8 2,8 2,7 2,7
Stati Uniti 3,5 3,6 3,1 3,1 3,0 3,0 3,0
Giappone 2,7 2,8 2,2 2,0 1,8 1,6 1,6
UEM (12 paesi) 1,3 2,2 2,2 2,2 2,1 2,0 2,0
Francia 1,4 2,1 2,2 2,5 2,1 2,0 2,0
Germania 0,9 1,8 1,6 1,8 2,1 2,0 2,0
Regno Unito 1,8 2,4 2,9 2,7 2,5 2,5 2,5
Spagna 3,4 3,3 3,0 2,8 2,7 2,5 2,5
Mondo escluso UE 5,5 5,4 5,0 4,7 4,6 4,6 4,6
Mondo 4,7 4,8 4,5 4,2 4,2 4,2 4,2
Commercio mondiale 7,3 9,1 8,7 8,0 7,5 7,5 7,5
Fonte: Elaborazioni e stime su dati OCSE, FMI, Commissione Europea e statistiche nazionali
Dal lato dei cambi, si assume l’ipotesi di una stabilizzazione del valore dell’euro
nel periodo di previsione intorno a 1,28 dollari: rispetto ai valori registrati negli ultimi
due anni, si ipotizza quindi un lieve indebolimento della valuta statunitense, causato dai
timori sugli squilibri con l’estero dell’economia e dalle attese di una graduale riduzione
del differenziale di crescita e dei tassi di interesse tra gli Stati Uniti e l’area dell’euro.
Lo scenario internazionale descritto assume che il tendenziale indebolimento del dollaro
non sia destinato ad accentuarsi. I rialzi dei tassi d’interesse da parte della Federal
Reserve e le contestuali politiche di accumulo di riserve denominate in dollari da parte
dei paesi emergenti dovrebbero, infatti, continuare a dare sostegno alla valuta
americana.
Le prospettive relative al petrolio, al contrario di quanto accaduto nel passato,
non delineano una graduale discesa delle quotazioni. Il prezzo è, infatti, atteso collocarsi
intorno ai 71 dollari a barile per tutto l’orizzonte previsivo. I prezzi dei manufatti e delle
materie prime non energetiche sono proiettati in moderato aumento (cfr. Tav. I.2).
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Tavola I. 2 - Prezzi internazionali
(variazioni percentuali)
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
petrolio cif (dollari/barile) 54,7 70,0 71,0 71,0 71,0 71,0 71,0
materie prime non energetiche 1,6 8,5 5,0 1,4 1,3 1,3 1,3
manufatti 3,5 1,3 3,0 2,5 2,0 2,0 2,0
Fonte: Elaborazioni e stime su dati OCSE, FMI, Commissione Europea
La crescita dei paesi industrializzati dovrebbe mantenersi sul 2,8 per cento in
tutto l’arco previsivo considerato.
L’economia statunitense continuerebbe a mostrare la migliore performance,
sviluppandosi ad un tasso del 3 per cento, sostanzialmente in linea con il suo potenziale.
L’espansione dell’economia risulterebbe, tuttavia, inferiore a quella registrata nel
triennio precedente, subendo un rallentamento nella crescita dei consumi delle famiglie
causato dai forti incrementi nei prezzi dei prodotti energetici, dai rialzi dei tassi
d’interesse e dall’attesa frenata nella crescita dei prezzi nel mercato immobiliare.
Per quanto riguarda l’area euro, si prevede nel medio periodo una crescita
lievemente superiore a quella registrata nel triennio 2004-2006. Pur con differenze tra i
paesi, il favorevole quadro internazionale dovrebbe comportare un’accelerazione delle
esportazioni. Il ciclo economico export led dovrebbe estendersi in maniera sempre più
accentuata alle componenti interne della domanda. In particolare, lo stimolo esterno,
insieme a condizioni di finanziamento ancora favorevoli, dovrebbe comportare un
ulteriore incremento degli investimenti fissi lordi.
La necessità di correggere gli squilibri di finanza pubblica presenti in alcuni dei
più importanti paesi dell’area potrebbe viceversa avere riflessi negativi sulla ripresa del
ciclo dei consumi.
In Giappone, la crescita attesa per il quadriennio considerato rimarrebbe al di
sopra del potenziale, seppure con un ridimensionamento rispetto al tasso di sviluppo
medio del triennio 2004-2006 a causa della lieve decelerazione nella crescita delle
economie dei paesi asiatici emergenti che costituiscono il principale mercato di sbocco
dei prodotti giapponesi. L’aumento del PIL sarebbe trainato dalle esportazioni e dagli
investimenti, mentre i consumi dovrebbero comunque recuperare terreno.
Sulla base di questi sviluppi attesi e grazie a politiche monetarie molto attente,
l’inflazione dovrebbe restare su valori sostanzialmente contenuti nella maggior parte
delle aree, nonostante il recente emergere di nuove moderate tensioni.
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I.3 Rischi della previsione
Nel definire lo scenario internazionale, gli elementi di rischio che potrebbero
influenzare le tendenze per i prossimi anni sono riconducibili a tre principali fattori.
Il primo é rappresentato dai cosiddetti global imbalances. Un aggiustamento
rapido e significativo di questi squilibri potrebbe portare a contraccolpi sui mercati
finanziari, ed in particolare su quello valutario, e ripercuotersi sulle economie mondiali.
Il dollaro ha mostrato una certa fragilità a seguito dei primi rialzi dei tassi nell’area
dell’euro ed a quelli di una revisione degli obiettivi di politica monetaria in Giappone.
Un forte e disordinato indebolimento del dollaro, legato anche alla presenza di un grave
deterioramento dei conti con l’estero degli Stati Uniti, potrebbe amplificare gli effetti
negativi già in atto sulla ricchezza e sulla crescita mondiale.
Figura I.4 – Stati Uniti - Area Euro: Saldo delle partite correnti
(in miliardi di dollari)
-250
-200
-150
-100
-50
0
50
1Q90 1Q92 1Q94 1Q96 1Q98 1Q00 1Q02 1Q04 1Q06
-250
-200
-150
-100
-50
0
50
USA Area Euro
Fonte: Elaborazioni su statistiche nazionali e BCE
Il secondo elemento di rischio é rappresentato dall’eventualità di una nuova fase
di forti rialzi del prezzo del petrolio che porterebbe inevitabilmente rischi aggiuntivi per
l’economia mondiale. Attualmente, il prezzo del petrolio in termini reali è tornato sui
livelli raggiunti tra la prima e la seconda crisi petrolifera degli anni ’70. I fattori di
fondo che potrebbero innescare tale rialzo sono da ricercarsi sia dal lato della domanda
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sia dal lato dell’offerta. L’andamento del prezzo del greggio è legato all’incremento
della domanda da parte dei paesi emergenti a cui si aggiunge il rafforzamento di quella
dei paesi industrializzati, ma anche ai ridotti margini della capacità produttiva dei paesi
esportatori dovuti ai vincoli sull’attività estrattiva e di raffinazione. A questi fattori si
aggiunge il possibile inasprimento di situazioni di tensione in diverse aree (Iran, Iraq,
Nigeria). Tali tensioni potrebbero alimentare fattori speculativi, determinando ampie
fluttuazioni nel prezzo del greggio.
Le pressioni sui prezzi energetici, ed in generale sulle materie prime, potrebbero
di gran lunga controbilanciare gli effetti disinflazionistici provenienti dai paesi
produttori a basso costo, con conseguenze sull’inflazione e la crescita mondiale. A
maggior ragione questo potrebbe avvenire in futuro se le spinte protezionistiche,
attualmente latenti, dovessero intensificarsi.
Figura I.5 – Prezzi reali del petrolio
(indice gennaio 1973=100)
0
100
200
300
400
500
600
700
800
900
73 75 77 79 81 83 85 87 89 91 93 95 97 99 01 03 05
Fonte: Elaborazioni su dati MEF
Infine, si potrebbe parlare in generale di rischi di fragilità finanziaria,
specialmente in relazione al forte aumento nel prezzo delle abitazioni nelle principali
economie avanzate ed ai rischi di una loro brusca ricaduta. La solidità del sistema
finanziario internazionale, unitamente alla robustezza della crescita economica
mondiale, lascia ottimisti sul possibile assorbimento di eventuali shock, ma non
permette di escluderli totalmente dallo scenario.
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II – EVOLUZIONE DELL’ECONOMIA ITALIANA
II.1 Economia italiana nel 2006
Sviluppi recenti
Segnali di ripresa congiunturale stanno emergendo anche in Italia. Dopo la
stagnazione dell’attività economica registrata nel quarto trimestre e nell’intero 2005, i
dati relativi al primo trimestre 2006 hanno mostrato una netta ripresa. Il PIL è cresciuto
dello 0,6 per cento rispetto al trimestre precedente e dell’1,5 per cento rispetto allo
stesso periodo dell’anno scorso. Una chiara progressione nelle tendenze più recenti è
supportata anche dal complesso dell’analisi degli indicatori congiunturali.
Nel primo trimestre, l’attività economica risulta trainata principalmente dalle
componenti della domanda interna (investimenti e consumi privati) e, in misura minore,
dal recupero della domanda estera; si è verificato altresì un forte decumulo delle scorte.
Figura II.1 – Contributi congiunturali alla crescita del PIL
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT
Consumi privati
-0,6
-0,4
-0,2
0,0
0,2
0,4
0,6
2005-I 2005-II 2005-III 2005-IV 2006-I
Investimenti
-1,1
-0,9
-0,7
-0,5
-0,3
-0,1
0,1
0,3
0,5
2005-I 2005-II 2005-III 2005-IV 2006-I
Scorte
-0,6
-0,5
-0,4
-0,3
-0,2
-0,1
0,0
0,1
0,2
0,3
0,4
2005-I 2005-II 2005-III 2005-IV 2006-I
Esportazioni nette
-0,20
-0,15
-0,10
-0,05
0,00
0,05
0,10
0,15
0,20
0,25
2005-I 2005-II 2005-III 2005-IV 2006-I
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Dal lato dei prezzi, si registra una forte accelerazione degli input esterni: il
deflatore delle importazioni è aumentato in termini tendenziali del 10,7 per cento.
Nonostante ciò, l’inflazione al consumo non ha mostrato una netta accelerazione,
mantenendosi sui livelli del quarto trimestre, mentre il deflatore del PIL ha decelerato.
Figura II.2 – Deflatori impliciti del PIL, consumi delle famiglie e importazioni
(variazioni percentuali sul periodo corrispondente)
Fonte: ISTAT
Dal lato dell’offerta, la ripresa congiunturale è stata sostenuta dal settore
industriale che ha positivamente risposto agli stimoli provenienti dalle esportazioni.
Dopo un trimestre di crescita sostenuta (1,1 per cento sul trimestre precedente,
in termini destagionalizzati), la produzione industriale in aprile é stata molto debole,
anche se probabilmente distorta dal calendario delle festività nel mese, e questo proietta
possibili risultati deludenti nel secondo trimestre. Tuttavia, molti indicatori
congiunturali sul lato della produzione continuano a dare segnali positivi. In particolare,
il clima di fiducia delle imprese manifatturiere calcolato dall’ISAE a maggio è ritornato
ai livelli elevati di inizio 2001. D’altra parte, il profilo della fiducia delle famiglie
mostra un andamento altalenante: dopo la ripresa di maggio, in giugno si è registrato un
nuovo calo, mentre l’indicatore continua a rimanere su livelli storicamente molto bassi.
-3,0
-1,0
1,0
3,0
5,0
7,0
9,0
11,0
2004-I 2004-II 2004-III 2004-IV 2005-I 2005-II 2005-III 2005-IV 2006-I
deflatore importazioni deflatore consumi deflatore PIL
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Figura II.3 – Clima di fiducia di imprese e consumatori
Fonte: ISAE
Previsioni per il 2006
Tenuto conto dei risultati favorevoli del primo trimestre e dell’eredità positiva
del 2005 (il trascinamento è risultato pari a 0,3 punti percentuali), si stima che il PIL
aumenti in media dell’1,5 per cento nel 2006. Questa stima sconta l’aspettativa di una
certa moderazione della crescita nel prosieguo d’anno.
La crescita sarà sostenuta principalmente dalla domanda interna. Gli
investimenti e i consumi privati apporterebbero un contributo positivo alla crescita pari
rispettivamente allo 0,5 e allo 0,8 punti percentuali. Le esportazioni nette darebbero un
apporto nullo, il che sarebbe comunque un miglioramento rispetto al 2005.
Dal lato della domanda interna, la ripresa degli investimenti in macchinari e
attrezzature sarà favorita dal buon andamento della domanda estera. Tuttavia il grado di
utilizzo degli impianti, seppur in aumento, risulta su livelli non particolarmente elevati.
Gli investimenti in costruzioni, che nel triennio 2000-2002 avevano registrato
una forte fase espansiva, mostrerebbero una crescita moderata, in recupero rispetto al
2005.
La spesa delle famiglie è prevista aumentare dell’1,3 per cento, rispetto
all’andamento sostanzialmente piatto dell’anno precedente. A fronte di un orientamento
cauto dei consumatori, questa stima tiene conto di una evoluzione positiva del reddito
reale disponibile delle famiglie che dovrebbe beneficiare dell’incremento dei redditi da
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mag-03 lug-03 set-03 nov-03 gen-04 mar-04 mag-04 lug-04 set-04 nov-04 gen-05 mar-05 mag-05 lug-05 set-05 nov-05 gen-06 mar-06 mag-06
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Clima di Fiducia delle Famiglie (scala sx) Clima di Fiducia delle Imprese (scala dx)
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lavoro dipendente legato ad alcuni rinnovi contrattuali (in particolare quelli del settore
metalmeccanico e del settore pubblico) e dell’incremento degli altri redditi.
Dal lato della domanda estera, alla forte ripresa del commercio mondiale si
contrappongono l’apprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro e la stabilizzazione
del prezzo del petrolio su livelli elevati (70 dollari al barile). Le esportazioni
registrerebbero un recupero rispetto all’anno precedente: la crescita si attesterebbe al 4,7
per cento. Anche la dinamica delle importazioni, di riflesso alla ripresa della domanda,
mostrerebbe un’accelerazione (4,4 per cento). I prezzi delle importazioni, condizionati
dall’elevata quotazione del petrolio, risulterebbero però ancora su livelli elevati e
aumenterebbero in linea con quelli dell’anno precedente; i prezzi delle esportazioni,
viceversa, risulterebbero in moderata decelerazione.
Tavola II.1 – Conto economico risorse e impieghi valori concatenati anno base 2000
(variazioni percentuali)
2005 2006
PIL ai prezzi di mercato 0,0 1,5
importazioni di beni e servizi 1,4 4,4
TOTALE RISORSE 0,2 2,1
consumi finali nazionali 0,3 1,1
spesa delle famiglie residenti 0,1 1,3
spesa della P.A. e I.S.P. 1,2 0,7
investimenti fissi lordi -0,6 2,2
macchinari, attrezzature e vari -1,6 3,0
costruzioni 0,5 1,3
DOMANDA FINALE 0,1 1,4
variazione delle scorte e oggetti di valore* 0,1 0,1
IMPIEGHI (incluse le scorte) 0,2 1,4
esportazioni di beni e servizi 0,3 4,7
TOTALE IMPIEGHI 0,2 2,1
(*) I dati in percentuale misurano il contributo alla crescita del PIL.
Nota: nella variazione delle scorte è inclusa anche la voce residuale determinata dalla non additività tra
le componenti
Il saldo corrente della bilancia dei pagamenti risulterebbe ancora negativo e pari
al 2,1 per cento in rapporto al PIL. Il saldo merci, risultato praticamente nullo nel 2005,
tornerebbe negativo dopo 14 anni (-0,5 per cento in rapporto al PIL), risentendo della
forte perdita di ragioni di scambio. Il deficit delle partite invisibili si collocherebbe
all’1,6 per cento, in linea con quanto registrato lo scorso anno.
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Per quanto riguarda il valore aggiunto settoriale, l’industria in senso stretto
mostrerebbe il maggior recupero produttivo (da una flessione nel 2005 pari al 2,3 per
cento all’1,8 per cento nel 2006), beneficiando della ripresa dell’export. Il settore delle
costruzioni, viceversa, risulterebbe in accelerazione rispetto all’anno precedente (1,5
rispetto a 0,7 per cento).
Il settore terziario mostrerebbe una netta accelerazione del tasso di crescita
rispetto a quello del 2005. Nell’ultimo quadriennio, caratterizzato da una stagnazione
economica (il PIL è cresciuto in media d’anno di 0,35 per cento), la crescita è stata
sostenuta esclusivamente dal settore dei servizi (0,7 per cento in media d’anno), che
hanno compensato l’andamento negativo registrato dal settore industriale (-0,4 per cento
in media d’anno).
Tavola II.2 – Valore aggiunto valori concatenati anno base 2000
(variazioni percentuali)
2005 2006
Agricoltura -2,3 0,5
Industria -1,7 1,7
in senso stretto -2,3 1,8
costruzioni 0,7 1,5
Servizi 0,8 1,4
privati* 1,0 1,7
pubblici** 0,5 0,6
Valore aggiunto 0,0 1,5
PIL 0,0 1,5
(*) Include commercio, alberghi, trasporti, comunicazioni, intermediazione creditizia, servizi vari ad
imprese e famiglie.
(**) Include pubblica amministrazione, istruzione, sanità, altri servizi pubblici, servizi domestici presso
le famiglie.
In presenza di una ripresa del ciclo economico, nel 2006 le condizioni del
mercato del lavoro dovrebbero migliorare, come segnalato dai risultati della Rilevazione
ISTAT sulle forze di lavoro relativa al primo trimestre dell’anno in corso. Al netto degli
effetti statistici derivati dalla regolarizzazione dei lavoratori stranieri, infatti,
l’occupazione è aumentata di 150 mila unità rispetto al primo trimestre del 2005.
La crescita dell’occupazione (misurata in termini di unità standard di lavoro),
tornerebbe, infatti, positiva, attestandosi allo 0,5 per cento, (-0,4 per cento nel 2005). I
settori più dinamici continuerebbero ad essere quello delle costruzioni e dei servizi
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privati, mentre nell’industria in senso stretto, le esigenze di recupero della produttività
si tradurrebbero in una certa cautela delle imprese nel procedere a nuove assunzioni.
Tavola II.3 – Occupazione
(unità standard di lavoro – variazioni percentuali)
2005 2006
Agricoltura -8,0 -2,0
Industria -0,5 0,3
in senso stretto -1,6 0,0
costruzioni 2,3 1,0
Servizi 0,3 0,8
privati* 0,9 1,4
pubblici** -0,7 -0,1
Intera economia -0,4 0,5
dipendenti 1,3 0,9
(*) Include commercio, alberghi, trasporti, comunicazioni, intermediazione creditizia, servizi vari ad
imprese e famiglie.
(**) Include pubblica amministrazione, istruzione, sanità, altri servizi pubblici, servizi domestici presso
le famiglie
A fronte di tali andamenti e in presenza di una maggiore dinamica dell’offerta di
lavoro, il tasso di disoccupazione risulterebbe in lieve riduzione attestandosi al 7,6 per
cento.
Soprattutto per effetto dei rinnovi contrattuali già conclusi, sia nel settore
pubblico che in quello privato, le retribuzioni lorde pro-capite registrerebbero un
aumento del 3,4 per cento, in accelerazione rispetto al 2005.
Il costo del lavoro per dipendente aumenterebbe in misura inferiore (3,0 per
cento), per effetto dei provvedimenti di riduzione delle aliquote contributive attuati con
la Legge Finanziaria per il 2006. Nonostante l’accelerazione salariale, il costo del
lavoro per unità di prodotto, giovandosi anche di un modesto recupero ciclico di
produttività, crescerebbe del 2,1 per cento, 0,3 punti percentuali in meno rispetto al
risultato del 2005.
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Tavola II.4 – Costo del lavoro e retribuzioni
(variazioni percentuali)
2005 2006
COSTO DEL LAVORO PER DIPENDENTE
industria in senso stretto 2,4 3,0
servizi privati 2,2 1,9
intera economia 2,9 3,0
RETRIBUZIONI LORDE PER DIPENDENTE
industria in senso stretto 2,5 3,5
servizi privati 2,3 2,4
intera economia 3,1 3,4
COSTO DEL LAVORO PER UNITA' DI PRODOTTO
industria in senso stretto 3,2 1,2
servizi privati 2,2 1,6
intera economia (calcolata su valore aggiunto) 2,4 2,1
A fronte degli andamenti salariali descritti e dell’atteso lieve recupero dei
margini nell’industria in senso stretto e nei servizi privati, l’inflazione interna, misurata
dal deflatore del PIL, si manterrebbe sostanzialmente sui livelli dello scorso anno.
L’inflazione al consumo è stimata, viceversa, in accelerazione rispetto al 2005
scontando il rialzo delle quotazioni petrolifere e alcuni aumenti tariffari.
Confronto con le previsioni del DPEF 2006-2009
Le previsioni macroeconomiche correnti per il 2006 confermano
sostanzialmente quelle elaborate nell’ambito del DPEF dello scorso anno. Il tasso di
crescita del PIL in entrambi i casi risulta pari all’1,5 per cento pur con una diversa
combinazione delle componenti.
L’incremento del prezzo del petrolio, molto più elevato delle attese, si è tradotto
in un aumento dell’inflazione superiore a quanto stimato nel DPEF 2006-09.
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Tavola II.5 – Scostamento delle previsioni per il 2006
DPEF 2006-09 DPEF 2007-11
Tasso di crescita del Pil reale 1,5 1,5
Tasso d'inflazione** 1,5 1,9
Tasso d'interesse forward sui Bot a 12 mesi*** 2,1 3,67
Tassi di crescita dell'occupazione (unità di lavoro) 0,4 0,5
Tasso di disoccupazione (in percentuale della forza di lavoro) 8,2 7,6
Tasso di occupazione (tasso specifico età 15-64) 58,1 58,0
(*) I confronti sono da valutare con cautela in quanto il quadro macroeconomico del DPEF 2007-2011 è
basato sulle nuove serie di Contabilità Nazionale e i dati del mercato del lavoro hanno subito forti
revisioni statistiche.
(**) Inflazione programmata
(***) Fine anno
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II.2 Finanza pubblica nel 2006
Nel Documento di Programmazione dello scorso anno il Governo aveva indicato
nel 3,8 per cento del PIL l’obiettivo di indebitamento per il 2006 e nello 0,9 per cento
quello dell’avanzo primario, correlati ad una ipotesi di crescita dell’1,5 per cento. Per il
conseguimento di tali obiettivi si quantificava una manovra pari allo 0,8 per cento del
PIL, in linea con la raccomandazione del Consiglio UE.
Il quadro previsivo e gli obiettivi finanziari venivano confermati nel mese di
settembre con la Relazione Previsionale e Programmatica.
Nel corso dell’esame parlamentare la dimensione dell’intervento correttivo
veniva innalzato, da un lato per compensare la riduzione degli introiti che andava
evidenziandosi sul fronte delle dismissioni immobiliari, dall’altro per rafforzare
l’obiettivo del 3,8 per cento sull’indebitamento.
Nel mese di dicembre l’Aggiornamento del Programma di stabilità, in
considerazione della maggiore entità della manovra e della conferma dello scenario
macroeconomico, rivedeva gli obiettivi di indebitamento netto e dell’avanzo primario
rispettivamente al 3,5 e 1,3 per cento del PIL.
Ad aprile del 2006, con l’aggiornamento della Relazione Previsionale e la
presentazione della Relazione Trimestrale di Cassa, il Governo, in presenza di una
revisione al ribasso della crescita economica per 0,2 punti percentuali riportava la stima
dell’indebitamento sul livello programmato nel DPEF del luglio 2005 al 3,8 per cento.
L’avanzo primario, scontando anche i nuovi criteri adottati dall’ISTAT per la
classificazione dei servizi finanziari imputati, veniva ridotto allo 0,6 per cento.
La nuova stima dell’indebitamento netto teneva conto di una serie di fattori
migliorativi emersi successivamente all’aggiornamento del Programma di Stabilità tra i
quali un’evoluzione delle entrate più favorevole di quella prefigurata, un minor livello
di finanziamento al bilancio comunitario, ma anche peggiorativi tra i quali una crescita
dei redditi del comparto pubblico superiore legata alla dinamica occupazionale di alcuni
comparti e maggiori oneri a carico della sanità.
Nel mese di maggio la Commissione europea, richiamando la Raccomandazione
del luglio 2005, ha ribadito gli obblighi dell’Italia nell’ambito della procedura per i
disavanzi eccessivi richiedendole di “portare il deficit al di sotto del 3 per cento del PIL
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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in una maniera credibilie e sostenibile entro il 2007 di applicare la legge finanziaria con
rigore, in modo da assicurare un aggiustamento cumulato del deficit corretto per il ciclo
e al netto delle misure una-tantum dell’1,6 per cento del PIL nel biennio 2006-2007, con
almeno la metà dell’aggiustamento nel 2006”.
All’atto dell’insediamento del nuovo Governo è stata effettuata una ricognizione
sulla situazione dei conti pubblici nel 2006 (“due diligence”). L’aggiornamento
dell’andamento tendenziale dei saldi di finanza pubblica ha comportato una revisione al
rialzo del rapporto deficit/PIL al 4,1 per cento e al contempo ha evidenziato ulteriori
fattori di criticità connessi sia al grado di efficacia che a quello di attuazione della
manovra per il 2006. I rischi di efficacia, relativi a un minor realizzo delle misure
rispetto agli effetti iscritti in bilancio, venivano assegnati in particolare alla
pianificazione fiscale e al concordato di massa, nonché alla capacità di contenimento
della spesa corrente degli Enti locali. L’impatto negativo era stimato ad un livello
massimo pari allo 0,3 per cento del PIL, come effetto netto di maggiori spese per 5,8
miliardi (sanità, patto di stabilità interno, personale e altre spese obbligatorie) e
maggiori entrate per ulteriori 2,5 miliardi.
Ulteriori elementi di rischio venivano legati all’attuazione della manovra, con il
rilievo posto sui flussi di investimento, sui livelli di occupazione e sulla funzionalità
dell’Amministrazione pubblica, senza tuttavia incidere sul disavanzo a legislazione
vigente.
Al fine di assicurare un’evoluzione dei conti pubblici del 2006 coerente con il
percorso di rientro del deficit indicato in sede europea la strategia del Governo si è
indirizzata su due fronti.
Sul piano amministrativo è stata emanata una specifica direttiva con la quale
sono stati rideterminati i criteri e le priorità da rispettare per il coordinamento
dell’azione amministrativa e per un efficace controllo e monitoraggio degli andamenti
di finanza pubblica, sottolineando la responsabilità prioritaria di ciascun Dicastero alla
realizzazione degli obiettivi.
Sul piano normativo è stato adottato, con decretazione d’urgenza, un
provvedimento di correzione strutturale del deficit orientato al rilancio dell’economia.
L’entità della correzione per l’anno in corso è stata definita tenendo presenti i primi
risultati sull’autotassazione di giugno, che evidenziano un gettito superiore alle attese.
L’aggiustamento netto per il 2006 risulta modesto, pari allo 0,1 per cento del PIL,
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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23
mentre darà i suoi effetti pieni e strutturali a partire dal 2007 nella misura dello 0,5 per
cento annuo. La manovra da avvio al processo di liberalizzazione del mercato attraverso
misure destinate a promuovere la concorrenza, la competitività e la tutela del
consumatore. In tale prima fase del processo, gli interventi sono indirizzati ai settori
dove è divenuta improcrastinabile l’esigenza di rafforzare la libertà di scelta del
consumatore e di sviluppare assetti di mercato maggiormente concorrenziali. Un nutrito
pacchetto di misure mira a contrastare l’evasione/elusione fiscale e a prevenire
comportamenti fraudolenti prevalentemente nel settore dell’IVA, con effetti positivi
anche sulla tassazione del reddito. Le risorse liberate per tale via sono destinate per tre
quarti a favore delle infrastrutture, tramite la devoluzione di fondi in particolare a favore
dell’Anas e delle Ferrovie.
A seguito di tali interventi e scontando il miglioramento delle prospettive di
crescita, rivista al rialzo all’1,5 per cento (contro l’1,3 per cento stimato al momento
della due diligence) l’indebitamento netto viene a collocarsi al 4,0 per cento del PIL.
Tale livello - se considerato a condizioni ‘invariate’ rispetto alla due diligence -
corrisponde a un rapporto deficit/PIL del 4,2 per cento: un dato sostanzialmente in linea
con i risultati della stessa due diligence e superiore di quattro decimi di punto di PIL
alle previsioni di disavanzo contenute nella RTC. La nuova stima sconta, inoltre, un
aumento consistente delle entrate tributarie, dovuto in parte non trascurabile a introiti
‘una tantum’ – stimati in 3,1 miliardi su base annuale (0,2 per cento del PIL) – che non
solo non sono replicabili, ma causeranno minori introiti nei prossimi anni.
Coerentemente con quanto evidenziato in sede di due diligence, la stima tiene conto
solo di una parte dei rischi di efficacia della Finanziaria 2006 (complessivamente pari a
0,3 per cento del PIL), ossia di quelli legati al venir meno del gettito del concordato di
massa (circa 2 miliardi) abolito dalla manovra-bis.
Il Governo si è fatto carico di evitare il rischio, già messo in luce dalle due
deleghe, che i cantieri Anas e Ferrovie dello Stato chiudessero e a tal fine ha dovuto
stanziare 2,8 miliardi di euro.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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24
Tavola II.6 – Conto della P.A. a legislazione vigente
(importi in milioni di euro)
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
ENTRATE
- Imposte dirette 189.052 201.255 207.678 215.628 224.177 232.632 241.411
- Imposte indirette 201.859 212.646 221.269 227.161 232.087 237.865 243.789
- Imposte c/capitale 1.808 3.135 47 37 32 26 21
Totale Entrate tributarie 392.719 417.036 428.994 442.826 456.296 4 70.523 485.221
Contributi sociali 182.416 187.660 192.020 197.500 203.570 2 09.900 216.030
Altre entrate correnti 49.826 52.940 51.850 53.000 54.420 55.740 57.180
Entrate in c/capitale non tributarie 4.156 3.790 4.805 4.780 5.915 5.955 6.000
Totale Entrate 629.117 661.426 677.669 698.106 720.201 7 42.118 764.431
per memoria pressione fiscale 40,6 41,2 41,0 40,9 40,9 4 0,8 40,7
SPESE
Redditi da lav. dipendente 155.533 162.500 161.240 163.955 168.020 171.180 174.060
Consumi intermedi 117.136 121.000 123.900 127.645 131.275 135.655 140.150
Pensioni 198.872 207.440 215.910 224.960 231.250 238.350 246.250
Altre prestazioni sociali 42.820 45.860 46.130 47.550 47.710 48.720 50.640
Altre spese correnti netto interessi 51.331 54.120 55.720 56.480 56.190 59.060 59.540
Spese correnti al netto interessi 565.692 590.920 602.900 620.590 634.445 652.965 670.640
Interessi passivi 64.549 67.125 73.130 77.790 82.400 86.580 91.170
Totale spese correnti 630.241 658.045 676.030 698.380 716.845 739.545 761.810
di cui spesa sanitaria 94.571 101.920 103.736 107.095 111.116 115.233 119.440
Spese in c/capitale 57.050 62.720 62.990 64.370 68.750 67.830 68.000
di cui Investimenti 33.499 36.640 39.505 40.705 43.170 42.660 43.180
Totale spese al netto interessi 622.742 653.640 665.890 684.960 703.195 720.795 738.640
Totale spese finali 687.291 720.765 739.020 762.750 785.595 807.375 829.810
Saldo primario 6.375 7.786 11.779 13.146 17.006 21.323 25.791
0,4 0,5 0,8 0,8 1,1 1,3 1,5
Saldo di parte corrente -7088 -3.544 -3.213 -5.091 -2.591 -3.408 -3.400
-0,5 -0,2 -0,2 -0,3 -0,2 -0,2 -0,2
Indebitamento netto -58.174 -59.339 -61.351 -64.644 -65.394 -65.257 -65.379
-4,1 -4,0 -4,1 -4,1 -4,1 -3,9 -3,8
Fabbisogno del settore statale 59.633 59.000 52.400 58.900 52.200 54.000 53.450
4,2 4,0 3,5 3,8 3,2 3,2 3,1
PIL 1.417.241 1.466.835 1.513.890 1.564.628 1.613.443 1 .666.941 1.721.828
Previsioni
La pressione fiscale, nella versione non consolidata delle imposte pagate allo
Stato dalle altre Amministrazioni pubbliche, in presenza del recupero della base
imponibile, risulta in aumento dello 0,6 per cento del PIL rispetto al 40,6 per cento del
2005.
La nuova stima della spesa primaria corrente sconta una crescita dei redditi da
lavoro dipendente al 4,5 per cento, quale riflesso della conclusione della tornata
contrattuale 2002-2005 per tutto il pubblico impiego e della relativa corresponsione
degli arretrati, una dinamica più accentuata della spesa per consumi intermedi,
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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soprattutto in relazione a maggiori oneri per la sanità. La spesa in conto capitale include
l’impatto di dismissioni immobiliari per soli 1.000 milioni.
L’avanzo primario è previsto aumentare allo 0,5 per cento del PIL.
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II.3 Andamento tendenziale dell’economia italiana 2007-2011
Le previsioni tendenziali per l’economia italiana si basano sullo scenario
internazionale delineato nel capitolo primo e tengono conto esclusivamente della
legislazione vigente. Nelle stime sono, pertanto, inclusi gli effetti triennali della legge
finanziaria per il 2006.
Crescita nel 2007
Nel 2007 il tasso di crescita del prodotto interno lordo dovrebbe risultare pari
all’1,5 per cento, in linea con l’andamento del 2006. L’aumento del PIL risulterebbe di
poco superiore rispetto all’evoluzione del potenziale.
La crescita verrebbe sostenuta essenzialmente dalla domanda interna, il cui
contributo risulterebbe pari all’1,2 per cento (di cui 0,4 punti percentuali per
investimenti e 0,8 punti percentuali per la spesa delle famiglie). Il settore estero, invece,
darebbe un contributo nullo.
I consumi delle famiglie crescerebbero in linea con il 2006, proseguendo sia
l’evoluzione positiva del reddito disponibile, che l’atteggiamento prudente dei
consumatori. Gli investimenti fissi lordi, favoriti dal mantenimento di buone prospettive
della domanda, mostrerebbero una certa tenuta, soprattutto in virtù della componente in
macchinari ed attrezzature (2,8 per cento).
Dal lato dei conti con l’estero, in presenza di una lieve attenuazione del
dinamismo del commercio mondiale, la bilancia commerciale continuerebbe ad essere
in deficit (-0,5 per cento in rapporto al PIL), permanendo i problemi strutturali di
competitività delle imprese italiane. La crescita delle esportazioni in volume (3,7 per
cento) sarebbe ancora minore di quella del commercio mondiale, con una ulteriore
erosione della quota dell’export italiano. L’erosione sarebbe, comunque, inferiore
rispetto a quella subita negli anni precedenti, riflettendo il ritorno delle imprese a
politiche tese a privilegiare il recupero delle quote di mercato piuttosto che l’aumento
dei margini di profitto (l’aumento dei prezzi delle esportazioni previsto sarebbe più
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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27
moderato, 2,3 per cento contro 4,8 nel 2006). Le importazioni, infine, continuerebbero a
manifestare una forte elasticità rispetto al PIL.
Nel complesso, stimando una evoluzione delle altre voci della bilancia dei
pagamenti in linea con le tendenze più recenti, il saldo corrente mostrerebbe un profilo
ancora negativo, in linea con quello dell’anno precedente (-2,1 per cento nel 2006).
Tavola II.7 - Conto economico delle risorse e degli impieghi valori concatenati anno base 2000
(variazioni percentuali)
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
PIL ai prezzi di mercato 0,0 1,5 1,5 1,2 1,2 1,3 1,3
importazioni di beni e servizi 1,4 4,4 3,5 3,2 3,3 3,3 3,3
TOTALE RISORSE 0,2 2,1 1,9 1,6 1,6 1,7 1,7
consumi finali nazionali 0,3 1,1 1,0 1,1 1,0 1,1 1,1
spesa delle famiglie residenti 0,1 1,3 1,3 1,2 1,2 1,3 1,3
spesa della P.A. e I.S.P. 1,2 0,7 0,2 0,6 0,4 0,4 0,4
investimenti fissi lordi -0,6 2,2 1,9 1,6 1,6 1,9 1,9
macchinari, attrezzature e vari -1,6 3,0 2,8 2,2 2,2 2,6 2,6
costruzioni 0,5 1,3 0,8 0,8 0,8 1,0 1,0
DOMANDA FINALE 0,1 1,4 1,2 1,2 1,1 1,3 1,3
variazione delle scorte e oggetti di valore* 0,1 0,1 0,2 0,1 0,1 0,1 0,1
IMPIEGHI (incluse le scorte) 0,2 1,4 1,4 1,3 1,2 1,3 1,3
esportazioni di beni e servizi 0,3 4,7 3,7 3,0 3,2 3,1 3,1
TOTALE IMPIEGHI 0,2 2,1 1,9 1,6 1,6 1,7 1,7
Var.%
Nota: nella variazione delle scorte è inclusa anche la voce residuale determinata dalla non additività tra
le componenti
(*) I dati in percentuale misurano il contributo relativo alla crescita del PIL.
Da un punto di vista settoriale, il valore aggiunto dell’industria in senso stretto
crescerebbe ad un ritmo di poco superiore rispetto all’anno precedente, mentre nei
servizi l’andamento rimarrebbe sostanzialmente invariato.
In questo contesto, la crescita dell’occupazione, misurata in termini di unità di
lavoro, si attesterebbe sullo 0,6 per cento, trainata soprattutto dai servizi privati e dalle
costruzioni. Nell’industria in senso stretto, invece, l’occupazione mostrerebbe solo una
leggera crescita.
In presenza di una offerta di lavoro in lieve decelerazione, che sconta il
rallentamento del ciclo economico, il tasso di disoccupazione si ridurrebbe lievemente
raggiungendo il 7,5 per cento.
La produttività, misurata in termini di PIL per unità di lavoro, crescerebbe meno
che nel 2006 (0,9 rispetto a 1,0 per cento). Un incremento di poco inferiore a quello
dell’anno precedente si avrebbe anche nell’industria in senso stretto dove l’aumento del
prodotto per unità di lavoro si attesterebbe all’1,7 per cento
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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28
La dinamica tendenziale delle retribuzioni lorde per dipendente si attesterebbe,
nel complesso, al 2,2 per cento, un tasso leggermente superiore a quello del deflatore
dei consumi delle famiglie.
Il costo del lavoro per dipendente, venuti meno gli effetti della riduzione delle
aliquote contributive prevista dalla finanziaria 2006, crescerebbe in linea con le
retribuzioni. Il CLUP per l’intera economia, invece, sarebbe in forte rallentamento,
riflettendo un andamento differenziato tra servizi pubblici e industria (in decelerazione)
e servizi privati (in accelerazione).
Proseguirebbe, con una relativa accentuazione, il recupero dei margini.
A fronte di tali andamenti, ed ipotizzando che i tassi di cambio dell’euro si
mantengano sui valori attesi e che gli impulsi inflazionistici esterni vadano
progressivamente a moderarsi, la dinamica dell’inflazione al consumo rallenterebbe (2,0
contro 2,5 per cento).
Crescita nel quadriennio 2008-2011
La crescita media annua del PIL si attesterebbe intorno all’1,2 per cento nel
primo biennio di previsione e accelererebbe lievemente nel secondo biennio,
attestandosi all’1,3 per cento.
Il tasso di sviluppo dell’economia italiana resterebbe quindi decisamente
inferiore a quello dell’area dell’euro (2 per cento circa).
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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29
Tavola II.8 – Quadro tendenziale: Indicatori macroeconomici di medio termine
(variazioni percentuali)
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
ESOGENE INTERNAZIONALI
commercio internazionale 7,3 9,1 8,7 8,0 7,5 7,5 7,5
prezzo del petrolio (cif, serie OCSE) 54,7 70,0 71,0 71,0 71,0 71,0 71,0
cambio dollaro/euro 1,245 1,254 1,277 1,277 1,277 1,277 1,277
MACRO ITALIA (VOLUMI)
Pil 0,0 1,5 1,5 1,2 1,2 1,3 1,3
importazioni 1,4 4,4 3,5 3,2 3,3 3,3 3,3
consumi famiglie 0,1 1,3 1,3 1,2 1,2 1,3 1,3
spesa della PA e ISP 1,2 0,7 0,2 0,6 0,4 0,4 0,4
investimenti -0,6 2,2 1,9 1,6 1,6 1,9 1,9
esportazioni 0,3 4,7 3,7 3,0 3,2 3,1 3,1
p.m. propensione al consumo 85,9 85,7 85,4 85,2 85,2 85,3 85,4
pm. saldo corrente bil. pag.in % PIL -1,6 -2,1 -2,1 -2,0 -2,0 -2,1 -2,1
CONTRIBUTI ALLA CRESCITA DEL PIL
esportazioni nette -0,3 0,0 0,0 -0,1 -0,1 -0,1 -0,1
scorte 0,1 0,1 0,2 0,1 0,1 0,1 0,1
domanda nazionale 0,1 1,4 1,2 1,2 1,1 1,3 1,3
PREZZI
deflatore importazioni 7,7 7,6 2,5 2,0 2,0 2,0 2,0
deflatore PIL 2,1 2,0 1,7 2,1 1,9 2,0 2,0
Pil nominale 2,0 3,5 3,2 3,4 3,1 3,3 3,3
deflatore consumi 2,3 2,5 2,0 2,0 2,0 2,0 2,0
LAVORO
costo lavoro 2,9 3,0 2,2 2,2 2,3 2,2 2,2
produttività (mis.su PIL) 0,4 1,0 0,9 0,6 0,7 0,7 0,7
CLUP (misurato su PIL) 2,5 2,0 1,3 1,5 1,6 1,5 1,5
occupazione (ULA) -0,4 0,5 0,6 0,6 0,5 0,6 0,6
Tasso di disoccupazione 7,7 7,6 7,5 7,5 7,5 7,5 7,4
Tasso di occupazione (15-64 anni) 57,6 58,0 58,5 58,9 59,0 59,3 59,7
pm. PIL nominale (valori assoluti in milioni euro) 1417241 1466835 1513890 1564628 1613443 1666941 1721828
Anche durante questo arco temporale di previsione la crescita verrebbe sostenuta
essenzialmente dalla domanda interna, mentre il contributo delle esportazioni nette
sarebbe lievemente negativo. Il maggiore apporto deriverebbe dai consumi privati.
I consumi delle famiglie mostrerebbero una dinamica stabile intorno all’1,3 per
cento, mentre gli investimenti in macchinari ed attrezzature subirebbero una fisiologica
decelerazione per poi tornare ad accelerare verso la fine del periodo di previsione.
Dal lato della domanda estera, ipotizzando l’invarianza delle ragioni di scambio,
e quindi un comportamento degli esportatori più competitivo sui prezzi, il saldo di parte
corrente della bilancia dei pagamenti continuerebbe ad essere negativo, stabilmente
intorno al 2,0-2,1 per cento rispetto al PIL. La dinamica delle esportazioni, favorita dal
buon andamento del commercio mondiale, sarebbe più che compensata, infatti,
dall’aumento delle importazioni, ancora molto sensibili alle variazioni del PIL, segno
che la perdita di competitività dell’economia italiana riguarderebbe anche il mercato
interno.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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30
Con riferimento al mercato del lavoro, il cui andamento è cruciale per la tenuta
dei consumi, la crescita dell’occupazione, concentrata nel settore dei servizi privati, si
attesterebbe intorno allo 0,6 per cento, mentre il tasso di disoccupazione, si
stabilizzerebbe sul 7,4 per cento nel 2011.
Nell’arco del quadriennio le retribuzioni pro-capite, per l’intera economia,
continuerebbero a mostrare un andamento lievemente superiore rispetto a quello dei
prezzi al consumo.
L’inflazione, misurata attraverso il deflatore dei consumi, si stabilizzerebbe sul
2,0 per cento, riflettendo una crescita stabile sia dei prezzi delle importazioni che dei
prezzi dei beni e servizi prodotti internamente.
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31
II.4 Quadro tendenziale di finanza pubblica 2007-2011
Il quadro tendenziale di finanza pubblica per gli anni 2007-2011, è stato
costruito sulla base della legislazione vigente in relazione all’evoluzione attesa per
l’anno 2006. Le singole categorie di spesa e di entrata sono state stimate sulla base delle
seguenti ipotesi:
• Le retribuzioni pubbliche sono state valutate scontando gli effetti
connessi alla corresponsione dell’indennità di vacanza contrattuale per i bienni
economici 2006-2007, 2008-2009 e 2010-2011. Le stime incorporano gli effetti delle
misure in materia di turn-over previste dalla Legge finanziaria 2005;
• Il numero dei dipendenti del complesso delle Amministrazioni pubbliche
risulta invariato per l’intero periodo previsionale;
• La spesa per consumi intermedi, comprensiva di quella per la sanità, è
stata stimata per il 2007 ad un tasso di crescita lievemente superiore a quello del PIL
nominale e successivamente con una elasticità implicita media rispetto al PIL nominale
intorno all’1. Al suo interno, gli acquisti di beni e servizi scontano i contratti di fornitura
(aggiuntivi al “Programma Eurofighter”) già stipulati dalla Difesa e derivanti anche da
accordi internazionali, per un impatto medio annuo superiore allo 0,1 per cento del PIL;
• La spesa sanitaria è stata valutata sulla base di un tasso di crescita medio
nel periodo 2007-2011 del 3,2 per cento, il cui valore risulta influenzato dalla
circostanza che la voce redditi da lavoro dipendente, nel 2006, rispetto al 2005, ingloba
circa 2 miliardi per arretrati contrattuali. Tale percentuale inoltre tiene conto di una
dinamica della spesa per acquisti beni e servizi che si incrementa mediamente nel
periodo del 5,6 per cento scontando un rallentamento a partire dal 2008 in linea con gli
impegni sottoscritti nell’Intesa Stato-Regioni (marzo 2005). La previsione include
risparmi in materia di personale derivanti dalla manovra finanziaria per il 2006 (circa lo
0,05 per cento di PIL annui) e di spesa farmaceutica da parte dell’AIFA (pari al solo
0,08 per cento di PIL rispetto ad una manovra dovuta di 0,12). L’incidenza sul PIL è
prevista raggiungere a fine periodo il 6,9 per cento;
• La spesa complessiva per prestazioni sociali in danaro è stata stimata
sulla base di un tasso di variazione medio nel periodo pari al 3,2 per cento. In
particolare, quella pensionistica al 3,5 per cento, in relazione al numero di pensioni di
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32
nuova liquidazione, ai tassi di cessazione stimati e alle regole in vigore di rivalutazione
delle pensioni in base all’inflazione. In virtù di tali ipotesi, l’incidenza della spesa
pensionistica sul PIL è prevista rimanere sostanzialmente invariata per l’intero periodo,
collocandosi nel 2011 al 14,3 per cento del PIL;
• La spesa per interessi è stata valutata tenendo conto dei tassi forward
rilevati dalla struttura per scadenze dei tassi di mercato;
• La spesa in conto capitale è stata stimata in relazione alle nuove
autorizzazioni determinate dalle precedenti finanziarie, al loro stato di attuazione e
all’entità dei residui. La dinamica della spesa include gli interventi di competenza
dell’Anas S.p.A. per circa 0,2 punti percentuali di PIL per ciascun anno previsivo e
tiene conto, per il 2006, della devoluzione di fondi a favore di Anas e Gruppo Ferrovie
stabilita con il decreto legge di giugno per la prosecuzione dei lavori avviati per 2,8
miliardi;
• Per le entrate tributarie il gettito è stato stimato sulla base di un
incremento medio annuo pari al 3,1 per cento e secondo un’elasticità media di poco
superiore nel periodo allo 0,9; tale evoluzione sconta anche gli effetti derivanti dalle
misure fiscali previste dal decreto legge di giugno, pari nel 2006 a 3,8 miliardi, nel 2007
a 5,8, nel 2008 a 6,2 e a decorrere dal 2009 a 6,4 miliardi;
• Per i contributi sociali, valutati in coerenza con l’andamento
dell’occupazione e della corresponsione dell’indennità di vacanza contrattuale, si
prevede una crescita media nel periodo del 2,9 per cento con una elasticità dello 0,7 per
cento nel 2007 e successivamente di poco superiore allo 0,9 rispetto al PIL;
• La pressione fiscale è stimata ridursi nel 2007 di due decimi di punto
percentuale, attestandosi al 41 per cento del PIL e, di seguito, nel quadriennio 2008-
2011 ad un passo dello 0,1 per cento all’anno.
Gli andamenti stimati delle entrate e delle spese delle Amministrazioni
pubbliche nel quadriennio 2007-2011 evidenziano il permanere di un rapporto
tendenziale deficit/PIL ancora su valori elevati. L’indebitamento netto tendenziale in
rapporto al PIL si mantiene intorno al 4,1 per cento fino al 2009 e diminuisce
lievemente nel biennio successivo.
Nel capitolo IV, si indica come il complesso delle politiche proposte innalzerà
gradualmente il potenziale di crescita sino all’1,7 per cento verso la fine del periodo di
previsione.
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33
III – PROBLEMI STRUTTURALI E TENDENZE
III.1 Crescita: produttività e competitività
I problemi dell’Italia hanno radici profonde, che superano la congiuntura
sfavorevole degli ultimi anni. Il processo di convergenza europea, l’entrata nell’Unione
Monetaria e l’introduzione dell’euro hanno fornito un’importante áncora alla stabilità
finanziaria del nostro Paese, ponendo le premesse per una crescita sostenibile
dell’economia. Restano, tuttavia, aperte molte questioni fondamentali legate al rilancio
dello sviluppo economico e al completamento del risanamento della finanza pubblica.
All’interno di questo quadro, la globalizzazione e l’invecchiamento della popolazione
hanno aggravato negli ultimi anni i problemi legati alla disuguaglianza, povertà e
disagio sociale.
Fin dai primi anni novanta, l’economia italiana ha mostrato una performance
deludente. La crescita é rimasta lontana sia dai tassi di sviluppo che avevano
contraddistinto i decenni precedenti sia da quelli registrati dagli altri principali paesi
industrializzati. L’aumento del PIL, che si attestava in media intorno al 3,6 e al 2,3 per
cento rispettivamente negli anni 1971-1980 ed 1981-1990, è sceso all’1,6 per cento del
periodo 1991-2000 e, infine, allo 0,6 per cento nell’ultimo quinquennio (cfr. Fig. 1).
Anche la crescita potenziale, che negli anni settanta si manteneva in media intorno al 4
per cento, si è gradualmente ridotta nei decenni successivi, collocandosi all’1,3 per
cento nella media dei primi anni 2000 (cfr. Riquadro).
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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-1
-0,5
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
4
4,5
1971-80 1981-90 1991-00 2001-05
PIL Domanda finale Variazione Scorte Esportazioni nette PIL potenziale
Figura III.1 – Contributi alla crescita del PIL e PIL potenziale. Confronti decennali
Nota: Per l’ultimo quinquennio dati della nuova Contabilità nazionale.
Fonte: Elaborazioni su dati Istat di Contabilità nazionale
L’abbassamento del tasso di crescita della nostra economia trova le sue
principali ragioni nella progressiva decelerazione della dinamica della produttività (oltre
che nel rallentamento demografico): dal 2,2 per cento della prima metà degli anni ’90
all’1 per cento della seconda metà fino ad annullarsi tra il 2001 e il 2005. In un contesto
europeo di generale riduzione della produttività, l’Italia si caratterizza per una più
accentuata tendenza.
Tavola III.1 – Valore aggiunto per unità standard di lavoro
(variazione percentuali annue)
1981-1990 1991-1995 1996-2000 2001-2005
Germania 2,9 2,4 1,8
Spagna 1,9 1,4 0,2 0,2
Francia 2,4 1,8 1,7 0,9
Italia 1,8 2,2 1,0 0,0
Stati Uniti 1,4 1,3 2,0 2,5
Nota: I dati per la Germania sono disponibili dal 1991; per Francia e Stati Uniti i dati sono disponibili
fino al 2004.
Fonte: Elaborazioni su dati AMECO
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ANDAMENTO SETTORIALE DELLA PRODUTTIVITA’ DEL LAVORO
Il rallentamento della produttività del lavoro in Italia ha interessato, negli ultimi
dieci anni, tutti i settori dell’economia. L’industria (al netto delle costruzioni) che, nella
prima metà degli anni novanta, registrava tassi medi di crescita della produttività pari
al 3 per cento, ha mostrato una forte decelerazione nella seconda metà del decennio, (1
per cento in media) che si è tradotta in una dinamica negativa negli anni 2000 (-0,4 per
cento). Anche il settore terziario privato ha registrato un profilo di progressiva
riduzione della produttività: dopo il recupero registrato nella prima metà degli anni
novanta, la produttività è cresciuta, in media d’anno, dello 0,4 per cento nell’ultima
parte del decennio fino a mostrare nell’ultimo quinquennio un andamento flettente.
Figura 1 – Produttività del lavoro nei principali settori di attività economica
(variazioni percentuali medie annue)
-1,5
-0,5
0,5
1,5
2,5
3,5
1981-1990 1991-1995 1996-2000 2001-2005
Industria in senso stretto Costruzioni Servizi privati Intera economia
Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT, Contabilità nazionale
Ad un’analisi più specifica, nell’industria, i settori tradizionali, che nei decenni
passati avevano avuto un ruolo trainante dell’economia italiana, hanno mostrato
un’inversione di tendenza nella dinamica della produttività già dalla prima metà degli
anni novanta. Nel settore tessile, per esempio, il prodotto per addetto che cresceva del
3,5 per cento in media negli anni novanta è diminuito del 3,3 per cento nei primi anni
2000.
Per quanto riguarda i servizi privati, i settori a più alta intensità di utilizzo di ICT
hanno mostrato tassi di sviluppo più elevati, così come i settori dei servizi interessati da
liberalizzazioni e privatizzazioni (ad es. poste e telecomunicazioni). Tale andamento
non è riuscito però a compensare quello negativo di servizi tradizionalmente meno
produttivi quali il commercio al dettaglio e quello alberghiero e della ristorazione. La
bassa dimensione degli esercizi e la frammentazione hanno pesato sull’efficienza e
sull’adozione di nuove tecnologie.
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Tavola 1 – Produttività in alcuni settori tradizionali dell’industria manifatturiera e nei servizi
privati
(variazioni percentuali medie annue)
1981-1990 1991-1995 1996-2000 2001-2005
SETTORI TRADIZIONALI DELL'INDUSTRIA MANIFATTURIERA
Industrie tessili e dell'abbigliamento 2,5 5,3 1,9 -3,3
Industrie conciarie, prodotti in cuoio, pelle e similari 3,9 4,6 -0,8 -1,4
Industria del legno e dei prodotti in legno 4,4 2,6 4,3 -1,0
Metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo 3,5 5,3 0,3 0,5
Fabbricazione di macchine elettriche e di apparecchiature elettriche, elettroniche
ed ottiche 5,7 3,4 1,0 -0,9
SETTORE TERZIARIO PRIVATO
Commercio all'ingrosso, al dettaglio e riparazioni 1,0 3,5 1,1 -0,9
Alberghi e ristoranti -2,2 1,3 1,2 -3,2
Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni 2,3 4,5 2,2 2,8
di cui: Poste e telecomunicazioni 8,0 12,0
Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT, Contabilità nazionale
La caduta del tasso di produttività dell’economia italiana riflette una serie di
fattori di carattere sia strutturale che congiunturale.
Una parziale spiegazione di questo fenomeno deriva dalla ricomposizione in atto
del sistema produttivo italiano dal settore manifatturiero a quello dei servizi. Il ritardo di
questo processo rispetto alle principali economie avanzate, si è tradotto in un aumento,
all’interno dei servizi, del peso dei settori caratterizzati da un più elevato impiego del
fattore lavoro, da bassi livelli di efficienza e da una minore esposizione alla concorrenza
internazionale. Pertanto, il tasso di crescita della produttività del terziario è risultato
costantemente inferiore a quello dell’industria, determinando così una riduzione
strutturale della produttività media dell’economia.
La caduta della produttività del settore manifatturiero ha aggravato tali tendenze.
Il ridursi del dinamismo dell’industria ha riflesso alcuni limiti del nostro sistema
produttivo, riconducibili al modello di sviluppo dell’economia italiana, basato
prevalentemente su un insieme di piccole e medie imprese manifatturiere, specializzate
nella produzione ed esportazione di beni tradizionali a basso contenuto tecnologico.
Gli effetti della crescente concorrenza globale hanno progressivamente intaccato
le capacità di sviluppo, mentre fattori strutturali interni hanno impedito o rallentato il
processo di riposizionamento verso segmenti di produzione a più elevato valore
aggiunto, determinando così l’attuale situazione di “stallo” dell’economia italiana.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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Questi problemi strutturali trovano origine nella limitata dimensione media
dell’impresa e nella bassa propensione a innovare.
Il numero medio di addetti per impresa manifatturiera in Italia risulta, nel 2003,
pari a 8,7, circa la metà di quello rilevato in Francia e circa un terzo di quello registrato
in Germania. Fino al recente passato la dimensione ridotta aveva rappresentato un
fattore di successo perché le piccole e medie imprese godevano di una elevata
flessibilità ed erano in grado di adattarsi rapidamente alle mutate esigenze della
produzione e della domanda. Tuttavia gli effetti degli elevati costi fissi, connessi
all’attività di esportazione e crescenti all’aumentare della distanza geografica e culturale
dei mercati di sbocco, hanno progressivamente colpito anche realtà di successo come i
distretti industriali.
Ai problemi dimensionali si collegano le difficoltà da parte delle imprese di
intraprendere una adeguata attività di ricerca e innovazione, indispensabile per
competere sullo scenario internazionale. Tali difficoltà sono anche riconducibili alla
presenza di vincoli finanziari che rendono arduo il reperimento di risorse sul mercato
dei capitali. La spesa privata in ricerca e sviluppo in rapporto al PIL è tra le più basse
nell’ambito dei paesi industrializzati (0,55 per cento del PIL contro 1,53).
Oltre agli effetti della ricomposizione settoriale e alle criticità del settore
manifatturiero fin qui esposte, la caduta del tasso di produttività è connessa all’agire di
ulteriori fattori strutturali, quali: forti divari tra le aree del paese, la segmentazione del
mercato del lavoro, la scarsa concorrenza nel settore energetico, la regolamentazione
poco orientata al mercato, la inadeguatezza degli investimenti in capitale umano.
Infine, fattori congiunturali hanno contribuito ad amplificare le tendenze di
fondo già in atto: nella seconda metà degli anni novanta, le politiche di consolidamento
di bilancio adottate per rispettare nei tempi stabiliti gli obiettivi del processo di
convergenza europeo1; nei primi anni 2000, il forte incremento del prezzo del petrolio e
l’apprezzamento dell’euro rispetto al dollaro.
La riduzione del tasso di crescita della produttività si è tradotta in una perdita di
competitività del sistema paese che si è via via accentuata nel corso degli ultimi dieci
anni.
1 Secondo le conclusioni della Commissione Europea, tali effetti sarebbero, tuttavia, dovuti scomparire
una volta consolidato il processo di risanamento economico-finanziario: gradualmente, la combinazione
di una politica di bilancio meno restrittiva e una politica monetaria più accomodante avrebbe migliorato le
prospettive di crescita nel breve periodo.
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1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 (1)
Area euro Germania Italia
Manifestazioni evidenti della ridotta capacità di competere, e quindi di crescere,
dell’economia italiana sono l’andamento deludente della produzione industriale e delle
esportazioni, l’erosione delle quote di mercato, la scarsa capacità di attrarre e effettuare
investimenti diretti esteri (IDE).
Nella seconda metà degli anni novanta, la produzione industriale italiana ha
mostrato un andamento meno favorevole rispetto a quello dell’area dell’euro. A partire
dal 2000, la dinamica è risultata addirittura negativa e divergente rispetto al resto
dell’area dell’euro (cfr. Fig. III.2), e soprattutto della Germania dove il settore
industriale ha costituito, pur in presenza di un prolungato rallentamento dell’attività
economica, il principale traino alla crescita del prodotto interno.
Figura III.2 – Produzione industriale Area Euro - Italia
(indice 1995=100)
(1) Per il 2006, stime Commissione Europea
Fonte: Elaborazione su dati Commissione Europea, Database Ameco
A partire dal 1995 le esportazioni italiane, che nella prima metà degli anni ’90
risultavano più dinamiche di quelle dei principali paesi europei, sono cresciute a tassi
sistematicamente inferiori. Tale evoluzione risulta ancora più deludente alla luce della
forte espansione del commercio internazionale registratasi contestualmente.
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1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
Francia Germania Italia
Figura III.3 – Esportazioni di beni e servizi: Confronti internazionali
(indice 1991=100)
Fonte: Elaborazioni su dati Istat e Commissione Europea
La minore capacità di competere nei mercati esteri si è conseguentemente
tradotta nella graduale erosione della quota italiana sul totale delle esportazioni
mondiali. La quota italiana si è progressivamente ridotta (ad eccezione del 2001)
passando dal 4,4 per cento del 1995 al 3 per cento del 2005, evidenziando una perdita in
termini cumulati pari a circa il 30 per cento (cfr. Fig. III.4).
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40
85,00
90,00
95,00
100,00
105,00
110,00
1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
2,5
3
3,5
4
4,5
Quote di mercato (scala dx) Tasso di cambio effettivo reale
Figura III.4 – Quote di mercato e tasso di cambio effettivo reale
(indice 1993=100)
Nota: Le quote di mercato sono espresse a prezzi costanti, in percentuale delle esportazioni mondiali.
Per il tasso di cambio effettivo reale, variazioni in diminuzione indicano un apprezzamento reale e, di
conseguenza, indicano una perdita di competitività.
Fonte: Elaborazioni su dati ICE e Banca d’Italia
Con riferimento alla principale componente del cambio reale, le Figure III.5a e
III.5b mostrano l’evoluzione del costo del lavoro per unità di prodotto nel settore
manifatturiero per l’Italia e per i principali paesi europei, differenziando tra il periodo
precedente all’avvio della Unione Monetaria e quello successivo.
L’analisi conferma che la tendenza di fondo relativa alla maggior crescita dei
costi unitari del lavoro italiani rispetto a quelli dei principali concorrenti europei non si
è, di fatto, modificata a seguito dell’entrata in vigore dell’euro. Tuttavia, il venir meno
della politica del cambio ha impedito l’artificioso recupero della competitività fornito
dalla svalutazione della moneta, come avvenuto nel 1992.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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41
90
95
100
105
110
115
1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
Italia Francia Germania
80
85
90
95
100
105
110
115
1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998
Italia Francia Germania
Figura III.5a – Andamento del costo del lavoro unitario in valuta nazionale del settore
manifatturiero: Confronti internazionali
(indici base 1992=100)
Figura III.5b – Andamento del costo del lavoro unitario in valuta nazionale del settore
manifatturiero: Confronti internazionali
(indici base 1999=100)
Fonte:OCSE
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42
Infine, la scarsa capacità di effettuare ed attrarre Investimenti Diretti Esteri
(IDE), evidenziando il basso grado di internazionalizzazione delle imprese italiane, è
un'altra manifestazione della ridotta capacità di competere e integrarsi nell’economia
globale del nostro sistema produttivo.
Gli investimenti diretti verso l’estero rappresentano, infatti, la capacità delle
imprese nazionali di ristrutturare e rafforzare i propri processi produttivi conseguendo
un utilizzo più efficiente delle risorse. In Italia, l’ammontare dei flussi verso l’estero, in
percentuale della formazione di capitale lordo, è risultato nella media dei primi anni
2000 pari a circa la metà di quello dei principali paesi europei, attestandosi nel 2004 al 6
per cento2.
Gli investimenti diretti dall’estero, viceversa, segnalano il grado di appetibilità
del sistema produttivo di un paese per gli investitori internazionali. Si tratta
generalmente di investimenti di medio-lungo periodo, alla base dei quali vi sono
considerazioni riguardanti la qualità delle risorse produttive, nonché la competitività
complessiva del sistema paese. Quest’ultima, in particolare, viene normalmente
associata a fattori quali la qualità delle infrastrutture materiali ed immateriali
(regolamentazione, sistema legale), l’efficienza della pubblica amministrazione. Gli
investimenti diretti dall’estero, quindi, retroagiscono positivamente sul sistema
economico nazionale aumentandone l’efficienza complessiva, rappresentando un
costante metro di confronto con le realtà internazionali piú produttive e favorendo un
consistente trasferimento di conoscenze tecnologiche e imprenditoriali nelle imprese3.
Anche dal punto di vista dei flussi di IDE in entrata, l’Italia registra un ritardo rispetto
alla media europea, il cui ordine di grandezza è comparabile, anche se leggermente
inferiore, a quello dei flussi in uscita.
CRESCITA DEL PRODOTTO POTENZIALE E SUE COMPONENTI
Alla prolungata fase di bassa crescita dell’economia italiana ha corrisposto il
progressivo rallentamento del tasso di crescita del PIL potenziale, reso ancora più
evidente se confrontato con l’evoluzione registrata dagli altri paesi industrializzati (ad
eccezione della Germania).
2 Fonte: UNCTAD, 2005
3 Per un ulteriore approfondimento si confronti i rapporti ISTAT del 2004 e 2005.
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Tavola 1 – Tasso di crescita del PIL potenziale
U.S.A. Francia Germania Regno Unito Italia
media 1981- 1990 2,97 2,40 2,33 2,35 2,52
media 1991-2000 3,20 2,00 2,17 2,47 1,58
media 2001- 2005 3,03 2,19 1,06 2,72 1,29
Fonte: Commissione Europea
Il PIL potenziale può essere definito come la produzione massima che l’economia
è in grado di sostenere senza generare tensioni inflazionistiche. Con il riferimento al
medio periodo, la stima dell’andamento della produzione potenziale aiuta a
determinare il sentiero della crescita considerata “sostenibile”. Nel breve periodo, il
confronto con il PIL reale effettivo costituisce un indicatore di potenziali pressioni
inflazionistiche future.
La metodologia ufficialmente seguita dagli Organismi internazionali per il
calcolo del PIL potenziale si basa sull’analisi della funzione di produzione. Il
principale vantaggio di tale approccio risiede nel legame diretto che intercorre tra
l’evoluzione del prodotto potenziale e quella dei fattori produttivi.
Coerentemente a tale impostazione, il prodotto potenziale corrisponde al livello
della produzione che si ottiene quando il tasso di utilizzazione del capitale è
considerato a livelli “normali”, il fattore lavoro impiegato è coerente con il tasso
naturale di disoccupazione ed, infine, la produttività totale dei fattori coincide con
quella di lungo periodo.
Di norma, la funzione di produzione adottata è la tradizionale Cobb-Douglas a
due fattori. Analiticamente la ben nota relazione si esprime come segue:
= ( , ) = α (1−α ) t t t t t t t Y A f K N A K N
Tale equazione costituisce la funzione di produzione aggregata caratterizzata da
rendimenti di scala costanti, dove (1-α) ed α4 indicano rispettivamente la quota di
prodotto da lavoro e da capitale sul PIL; At coincide con la produttività totale dei
fattori (una buona approssimazione del progresso tecnologico), e viene calcolata come
residuo a partire dalla funzione di produzione5.
Tale tecnica permette, inoltre, di valutare singolarmente le principali
determinanti della crescita potenziale, evidenziando esplicitamente il contributo di
ciascuna di essa alla formazione della produzione di pieno impiego e consentendo di
valutare l’impatto degli eventi passati e attesi sulla crescita potenziale6.
4 Più correttamente, 1-α e α rappresentano rispettivamente l’elasticità dell’output al capitale e al lavoro,
mentre il parametro A si riferisce alla tecnologia; quindi più questa è avanzata, tanto più grande sarà il
valore di A. Il parametro α (1- α) rappresenta la crescita percentuale di Y per un aumento dell’1 per cento
del fattore lavoro (capitale) utilizzato, tenendo costante k.
5 Per ulteriori approfondimenti riguardo la metodologia della funzione di produzione si confronti
Programma di Stabilità dell’Italia Aggiornamento, Novembre 2002, pag. 9-11.
6 Tuttavia, questo metodo non è esente da limiti. In primo luogo, si caratterizza per una maggiore
necessità di dati rispetto all’approccio statistico precedentemente utilizzato; questo può costituire un
problema, soprattutto, in riferimento ad alcune variabili di difficile misurazione come lo stock di capitale,
le cui informazioni implicano un costante aggiornamento; in secondo, tale approccio richiede delle
assunzioni sulla forma funzionale delle tecnologia produttiva, sui rendimenti di scala, sul progresso
tecnologico e, infine, sulle tecniche di utilizzazione dei fattori produttivi. Infine,un’ulteriore difficoltà
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44
La Figura 1 mostra le principali determinanti della crescita del PIL potenziale,
evidenziandone l’apporto del settore privato, mentre, in linea con le ipotesi degli
Organismi internazionali, si assume che il contributo del settore pubblico sia coerente
con il livello di piena occupazione. Tale rappresentazione, inoltre, fornisce un valido
punto di partenza per chiarire alcune delle possibili cause del deludente andamento
dell’economia italiana a partire dai primi anni novanta.
Figura 1 – Scomposizione della crescita del PIL potenziale
Nota. Per NAWRU si intende il tasso di disoccupazione che non accelera il tasso di crescita del salari.
Qualora le variazioni del salario coincidano con quelle del livello generale dei prezzi, è possibile
sostituire il NAWRU con il NAIRU che corrisponde al tasso di disoccupazione che non accelera
l’inflazione che conduce al equilibrio di lungo periodo il mercato del lavoro.
In Italia, in particolare, a spiegare la discesa tendenziale della produttività
complessiva del sistema economico, ha concorso in modo rilevante la caduta della
produttività totale dei fattori (TFP), variabile che incorpora il progresso tecnologico e
la qualità dell’input di lavoro (cfr. Tav. 2).
deriva dal fatto che l’output corrente si discosta sistematicamente dal livello dato dei fattori produttivi e la
differenza è sempre imputata alla crescita della produttività totale degli stessi. Quando, però, la
produttività totale non è direttamente osservabile, stimare il suo andamento di lungo periodo pone
qualche incertezza sulla valutazione del prodotto potenziale.
Settore privato
Crescita dello stock di
capitale
Crescita delle ore lavorate
Effetti di
variazioni
nel NAWRU
Progresso
tecnologico
Qualità del
fattore lavoro
CRESCITA DEL PIL POTENZIALE
Crescita dell’occupazione di
pieno impiego
Aumento del
tasso di attività
di lungo periodo
Crescita della TFP
Aumento della
popolazione in
età lavorativa
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Tavola 2 – Contributo della TFP alla crescita del PIL potenziale
U.S.A. Francia Germania Regno Unito Italia
media 1981- 1990 1,02 1,82 1,63 1,52 1,32
media 1991-2000 1,25 1,30 1,51 2,02 0,82
media 2001- 2005 1,48 1,21 0,93 1,60 0,27
Fonte: Commissione Europea
Durante l’ultimo decennio, il sostegno della TFP alla crescita del prodotto
potenziale è andato marcatamente riducendosi, arrivando a spiegare, nei primi anni
2000, solo il 20 per cento del prodotto di pieno impiego. Tale tendenza risulta meno
accentuata negli altri paesi europei, mentre negli Stati Uniti l’apporto della TFP è
gradualmente aumentato negli ultimi 25 anni.
Anche l’analisi settoriale (cfr. Tav. 3) evidenzia che, a partire dal 2001, il
peggioramento della dinamica della TFP ha interessato tutte i principali comparti
dell’economia, e in particolare i servizi.
Tavola 3 – Produttività totale dei fattori per settore
1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003
Agricoltura 5,5 3,4 3,0 3,3 1,9 2,5 6,3 -1,9 -0,9 -2,7 /
Industria -0,6 2,9 1,6 -0,9 0,9 0,0 0,1 0,6 -0,4 -0,7 /
Costruzioni -1,4 -1,1 2,3 2,4 -1,5 0,3 -0,5 -0,2 -1,0 -0,7 /
Servizi di rete 0,7 2,3 2,1 -0,8 0,6 0,6 -0,9 1,2 0,4 -1,4 /
Servizi alle imprese 4,1 1,3 -0,2 0,9 0,8 0,3 -0,4 2,2 -0,9 -1,4 /
Servizi alle famiglie -1,0 0,4 0,8 1,7 1,1 1,0 0,9 0,0 0,7 0,0 /
Totale 0,7 2,7 2,1 0,2 1,0 0,7 0,1 1,3 -0,2 -1,4 -1,0
Fonte: ISTAT
Alla luce di tali evidenze empiriche e coerentemente alla strategia europea fissata
nel marzo 2000 dall’Agenda di Lisbona e recepita nell’ambito delle “linee guida di
politica economica” adottate annualmente dal Consiglio Europeo, gli interventi volti ad
innalzare la crescita del PIL potenziale dovrebbero perseguire i seguenti obiettivi:
a) l’aumento della popolazione in età lavorativa, nonché del tasso di attività di lungo
periodo da realizzare attraverso politiche di inclusione sociale supportata
dall’introduzione di una adeguata riforma degli ammortizzatori sociali;
b) migliorare il grado di efficienza nei mercati dei beni e dei prodotti, promuovendo
la concorrenza nei settori economici ancora protetti, nonché abbattendo
progressivamente le numerose barriere amministrative per l’avvio di attività
imprenditoriali e per l’esercizio di determinate attività professionali (ad esempio
l’iscrizione agli albi professionali);
c) favorire l’investimento in capitale umano attraverso una migliore formazione e
organizzazione professionale ed universitaria, un incremento delle spese destinate
alla ricerca e sviluppo e un utilizzo diffuso di tecnologie della informazione e
della comunicazione.
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46
Da tale classificazione si evince che, accanto ai tradizionali provvedimenti di
politica economica (come ad esempio, le politiche dell’occupazione nel punto a), la cui
attuazione incide sul bilancio pubblico attraverso maggiori oneri finanziari, esiste una
classe di interventi (riconducibili al punto b) e, almeno, in parte al c) che costituiscono
a tutti gli effetti delle riforme a “costo zero”, la cui introduzione in via prioritaria
conduce già nel medio periodo ad un innalzamento della crescita potenziale.
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47
III.2 Stabilità: squilibri della finanza pubblica
L’analisi sui principali indicatori di finanza pubblica mostra che l’attuale
condizione dei conti pubblici è grave e che il raffronto con la situazione critica in cui si
trovava l’economia italiana nel 1992 è appropriato. Gli indicatori che sintetizzano lo
stato della finanza pubblica relativi al saldo primario e al debito pubblico espressi in
rapporto al PIL confermano la validità del confronto, anche se in termini nominali si
osservano livelli inferiori a quelli degli anni ’90 per effetto di una piú alta inflazione.
Figura III.6 – Indebitamento netto, spesa per interessi e saldo primario
(in percentuale del PIL)
-14
-12
-10
-8
-6
-4
-2
0
2
4
6
8
1980 1981 1982 1983 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
Indebitamento netto / Pil Spesa per interessi Saldo primario / Pil
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT.
Tre fasi distinte
Dopo la crisi valutaria e finanziaria dell’estate del 1992, il processo di
risanamento dei conti pubblici è stato avviato dapprima con l’impostazione di una
manovra di ragguardevoli dimensioni, volta a spezzare la spirale inflazione
svalutazione, e successivamente attraverso aggiustamenti in grado di far partecipare
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48
l’Italia all’Unione Economica e Monetaria sin dal suo avvio. Dall’inizio del decennio in
corso, la spinta al risanamento si è attenuata e il peggioramento della congiuntura, che
ha toccato il punto di minimo nel 2005, si è tradotto in un aggravio degli squilibri di
bilancio.
Nell’evoluzione della finanza pubblica degli ultimi 15 anni si possono
evidenziare tre fasi distinte.
Nella prima fase dal 1992 al 1997, l’indebitamento netto delle Amministrazioni
pubbliche in percentuale di PIL è diminuito di circa otto punti percentuali, collocandosi
al 2,7 per cento secondo un percorso di risanamento tra i più rapidi nell’ambito dei
Paesi che aderiscono all’Unione. Il saldo primario, dopo l’inversione di tendenza del
1991, ha registrato avanzi in progressiva crescita raggiungendo a fine periodo il 6,6 per
cento del PIL, con un aumento di 4,8 punti percentuali rispetto al 1992. La spesa per
interessi è diminuita di circa 3,5 punti percentuali rispetto al massimo registrato nel
1993. Contestualmente, il saldo corrente ha realizzato passivi sempre più ridotti fino ad
annullarsi nel 1997 e a conseguire, per la prima volta dopo 25 anni, un attivo pari allo
0,3 per cento del PIL nel 1998.
Il risanamento finanziario realizzato in quegli anni è l’effetto di una politica di
bilancio incentrata sul controllo della spesa e su provvedimenti di aumento delle entrate
tributarie. Con la consistente manovra finanziaria per il 1993 vengono avviate
importanti riforme strutturali nei settori della previdenza, sanità e pubblico impiego e
nel sistema dei trasferimenti agli enti decentrati. Successivamente, sono seguiti
aggiustamenti fiscali di importi più limitati che hanno proseguito lungo il percorso di
razionalizzazione della spesa. Infine, vi é stato un temporaneo maggior ricorso alla leva
fiscale.
Nella seconda fase, dal 1997 al 2000, il processo di correzione degli squilibri di
finanza pubblica é proseguito, sia pure con minore incisività. A fronte di una ulteriore
riduzione dell’indebitamento di circa 2 punti percentuali (0,8 per cento del PIL a fine
periodo) l’avanzo primario ha registrato un ridimensionamento di circa 1 punto
percentuale collocandosi al 5,5 per cento. Il bilancio pubblico ha beneficiato degli
introiti derivanti dalla assegnazione delle licenze UMTS nel 2000, pari a circa 1,2 punti
percentuali del PIL. Al netto di tali proventi, la riduzione dell’indebitamento risultava
più contenuta (0,7 punti percentuali) e il ridimensionamento dell’avanzo primario
ancora più accentuato (2,3 punti percentuali).
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49
Il saldo corrente é rimasto positivo nel periodo considerato raggiungendo il
valore più alto nel 1999.
In presenza di un miglioramento del ciclo economico e di prospettive favorevoli,
la politica di bilancio ha avuto un’intonazione meno restrittiva a partire dal 1998,
coniugando l’esigenza del risanamento finanziario con la volontà di devolvere risorse
allo sviluppo sia attraverso la riduzione del prelievo tributario sia finanziando politiche
volte all’attivazione degli investimenti. Nonostante questo atteggiamento pro-ciclico, vi
è stato un ulteriore modesto miglioramento nelle principali variabili di finanza pubblica.
Nella terza fase, dal 2000 al 2005, si é registrata un’inversione di tendenza che
ha portato a una accentuazione degli squilibri di bilancio. L’indebitamento netto delle
Amministrazioni pubbliche in percentuale di PIL é aumentato in cinque anni di 3,3
punti percentuali (2 punti circa ove si escludano i proventi UMTS), collocandosi al 4,1
per cento nel 2005. L’avanzo primario si é ridotto progressivamente fino a raggiungere
lo 0,4 per cento nel 2005. Il saldo corrente ha realizzato attivi sempre più ridotti e, dopo
l’inversione del 2003, si é attestato a fine periodo su un valore negativo pari allo 0,5 per
cento del PIL.
La politica di bilancio è stata resa più difficile da un netto peggioramento del
quadro macroeconomico, che ha richiesto una difficile conciliazione tra l’esigenza di
riequilibrare i conti e quella di non ostacolare la ripresa economica. Il ricorso a misure a
carattere straordinario é andato accentuandosi, seppure con la previsione di una loro
graduale eliminazione. Da un lato venivano fissati tetti alla crescita della spesa e
proseguita l’azione di riforma del sistema previdenziale e, dall’altro, veniva introdotta la
riforma fiscale per moduli e incentivata la ripresa del ciclo degli investimenti, in
particolare nel settore delle infrastrutture.
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Figura III.7 – Disavanzo corrente, disavanzo in conto capitale, indebitamento netto
(in percentuale del PIL)
-12
-10
-8
-6
-4
-2
0
2
4
1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
Saldo corrente Saldo c/capitale Indebitamento netto / Pil
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT.
Gli andamenti sopra descritti si sono riflessi nell’evoluzione dell’avanzo
primario corretto per il ciclo e al netto delle misure una tantum. Il livello di tale saldo é
passato dallo 0,2 per cento del PIL nel 1992 al 6,5 per cento nel 1997.
Figura III.8 – Avanzo primario corretto per il ciclo e al netto delle misure una tantum
(in percentuale del PIL)
-1
0
1
2
3
4
5
6
7
8
1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
Avanzo primario
Avanzo primario corretto per il ciclo
Avanzo primario corretto per il ciclo e al netto delle misure una tantum
Fonte: Elaborazione su dati Commissione Europea.
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A partire dal 1997, in presenza di un miglioramento della congiuntura
economica che ha comportato un livello del prodotto superiore a quello potenziale, si é
determinato un progressivo peggioramento dell’avanzo primario corretto per il ciclo.
Dal 2001, con una politica di bilancio meno attenta all’equilibrio dei conti e un maggior
ricorso alle misure una tantum, il processo di risanamento strutturale è stato
ulteriormente incrinato.
Spesa per interessi e debito
L’evoluzione della spesa per interessi (cfr. Figura III.6) riflette l’attenzione
crescente dedicata al consolidamento della struttura del debito pubblico, dopo
l’esperienza traumatica della crisi valutaria e finanziaria del 1992 che ne aveva
evidenziato l’eccessiva esposizione al rischio di tasso. Il valore massimo nella spesa per
interessi, pari al 12,7 per cento del PIL, si é registrato nel 1993, anno successivo alla
crisi. La composizione dei titoli di Stato era allora rappresentata per due terzi da titoli a
breve termine o indicizzati. Negli anni successivi, ampliando progressivamente la quota
di titoli a medio-lungo termine a tasso fisso e riducendo drasticamente la quota di BOT
sullo stock dei titoli di Stato, si é ottenuto un allungamento della vita residua del debito,
che é raddoppiata dai 3,26 anni del 1993 ai 6,56 del 2005. Anche la duration, indicatore
particolarmente significativo dell’esposizione al rischio di tasso, si é accresciuta in
maniera molto rilevante, passando da 1,62 anni nel 1993 a 4,24 anni nel 2005.
Figura III.9 – Composizione dei titoli di Stato e indici di rischio
3,26
4,69 4,53
4,49 4,72
5,15
5,63 5,76
5,87
5,56
6,05
6,45
6,56
1,62
1,47 1,48
1,63
2,50
3,20 3,37 3,64 3,58
3,49
3,70
4,06 4,24
0
10
20
30
40
50
60
70
80
1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
%
0
1
2
3
4
5
6
7
Tasso variabile Indic. all'inflazione Tasso fisso Vita media Duration
anni
Fonte: Ministero dell’Economia e delle Finanze
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52
Questo processo si é accompagnato ad una sensibile riduzione dei tassi di
interesse di mercato, da cui l’Italia ha tratto vantaggio in misura particolarmente
accentuata tra il 1996 e il 1999, quando l’impegno ad entrare fin dall’inizio nell’Unione
Economica e Monetaria si é manifestato nel risanamento dei conti pubblici e ha indotto
una rapida compressione degli spread di rendimento tra i titoli di Stato italiani e quelli
di altri paesi.
Figura III.10 – Spread di rendimento tra BTP e Bund
(medie annuali su dati giornalieri sulla scadenza a 10 anni)
0
100
200
300
400
500
600
1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
anni
punti base
Fonte: Elaborazioni su dati Bloomberg
La politica di gestione del debito ha sfruttato la discesa dei tassi di interesse,
senza perdere di vista l’obiettivo di medio-lungo periodo di allungare vita media e
durata finanziaria del debito. In particolare, dal 2002 in poi, é riuscita a combinare tale
allungamento mantenendo il tasso medio all’emissione ad un livello pari o inferiore a
quello dei soli BTP triennali.
La rapida discesa del costo medio all’emissione si é accompagnata ad una
diminuzione più graduale della spesa per interessi rapportata al PIL, in quanto
quest’ultima risente del livello più elevato dei tassi dei titoli di vecchia emissione. Nel
2005 si é toccato il minimo per entrambi: il tasso medio all’emissione si é attestato al
2,47 per cento, mentre il rapporto tra spesa per interessi e PIL é risultato pari al 4,6 per
cento. Dal 2006, a seguito dell’incremento già verificatosi sui tassi di mercato, non
potrà che registrarsi un’inversione di tendenza.
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Figura III.11 – Costo del finanziamento del debito
14,05
10,88
9,37
11,1
8,67
6,44
4,64
2,47
2,72 2,66
3,74
3,35
4,79 4,33
0
2
4
6
8
10
12
14
1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
Interessi in % di PIL Tasso medio all'emissione
Fonte: Ministero dell’Economia e delle Finanze
Il rapporto debito pubblico/PIL, dopo il massimo raggiunto nel 1994 (121,5 per
cento), ha avuto un andamento decrescente fino al 2004. La tendenza al
ridimensionamento è risultata più accentuata negli anni ’90, nei quali la flessione è stata
pari a 12,3 punti percentuali rispetto al 1994, favorita dal circolo virtuoso innescato
dalla riduzione della spesa per interessi e dalla crescita dell’avanzo primario. A partire
dal 2000, il passo di discesa é rallentato, pur conseguendo un ulteriore
ridimensionamento pari a 5,2 punti percentuali nel periodo 2000-2004.
Il rientro del rapporto debito/PIL nell’intero periodo è stato anche favorito dal
programma di privatizzazioni intrapreso a partire dal 1994. Infatti, i proventi delle
dismissioni di partecipazioni azionarie dirette dello Stato confluiscono nel Fondo per
l’ammortamento dei titoli di Stato e, attraverso i riacquisti di titoli sul mercato o il
rimborso a scadenza degli stessi, cointribuiscono alla riduzione del debito. Tra il 1995 e
il 2005, questo contributo é stato di 107,2 miliardi di euro.
Un contributo indiretto, attraverso il minor fabbisogno finanziario conseguente,
è stato anche portato dalle operazioni di cartolarizzazione condotte a partire dal 1999,
anche se il trattamento contabile delle stesse da parte di Eurostat ne ha limitato i
benefici a circa 31,5 miliardi di euro, a fronte dei 44 miliardi circa di ricavi incassati1.
1 E’ anche da segnalare che altre due operazioni straordinarie hanno contribuito a ridurre il valore del
debito negli anni 2002 e 2003. La prima, realizzata a fine dicembre 2002, è un’operazione di concambio
sui titoli con cedola dell’1 per cento detenuti nel portafoglio della Banca d’Italia dal 1994, sostituiti con
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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54
Il venir meno degli effetti delle operazioni straordinarie sul debito ed il
deterioramento del saldo di bilancio hanno fatto emergere un peggioramento del
rapporto debito/PIL dal 103,9 per cento del 2004 al 106,4 per cento nel 2005,
interrompendo il processo di rientro in atto da un decennio.
Figura III.12 – Debito delle Amministrazioni Pubbliche
(in percentuale del PIL)
100
102
104
106
108
110
112
114
116
118
120
122
124
1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT.
titoli di mercato di pari valore finanziario. E’ a causa di tale operazione, fra l’altro, che nel 2002 il
processo di allungamento della vita media dei titoli di Stato sembra registrare una battuta d’arresto.
Infatti, i titoli offerti in sostituzione avevano una vita residua sensibilmente inferiore a quelli ritirati. Il
beneficio sul debito/PIL di tale operazione è stato pari a circa 1,8 punti percentuali. La riduzione
complessiva del rapporto nel 2002 è stata di 3,2 punti percentuali, la più elevata del periodo 2001-2004.
L’altra operazione è rappresentata dalla trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti in una società per
azioni, con una rideterminazione delle funzioni e della governance che l’ha portata fuori del perimetro
della Pubblica Amministrazione. La ridistribuzione degli attivi e dei passivi tra CDP SpA e Tesoro
determina una riduzione del debito rilevato ai valori nominali per circa 11 miliardi di euro (0,8 per cento
del PIL).
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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55
PROCESSO DI PRIVATIZZAZIONE IN ITALIA – PERIODO 1992-2006
Fino al 1991, lo Stato controllava direttamente o indirettamente il settore
bancario/assicurativo e importanti comparti dell’industria e dei servizi. Questo
avveniva tramite il Ministero delle Partecipazioni Statali al quale facevano capo gli
Enti di gestione (IRI, ENI ed EFIM) ed altri Enti pubblici economici.
Per avere un’idea dell’entità di tale presenza, basti ricordare che, all’inizio degli
anni ’90, lo Stato deteneva in Italia circa il 45 per cento dell’intero settore industriale e
dei servizi e oltre l’80 per cento del settore bancario.
A questo si accompagnava una situazione finanziaria del Paese caratterizzata da
un debito pubblico di dimensioni eccezionali, sia in valore assoluto che in rapporto al
PIL, una generale assenza di liquidità nei mercati finanziari e un sottodimensionamento
della Borsa Valori. Quest’ultima non era ancora sviluppata in
termini di capitalizzazione e di numero di società presenti nel listino e aveva un’elevata
incidenza delle società a controllo pubblico (le tre BIN, Mediobanca, Gruppo STET,
Alitalia, Autostrade, Gruppo SME).
Il contesto finanziario era inoltre appesantito dall’indebitamento dell’IRI e dalla
situazione di profonda crisi industriale che stava investendo alcuni settori rilevanti
dell’industria nazionale (acciaio e impiantistica in particolare).
L’attivazione di un rilevante processo di privatizzazione in Italia rappresentava
pertanto un importante contributo al risanamento delle finanze pubbliche oltre ad avere
delle finalità economiche di rilevanza fondamentale. In particolare, quelle di:
• realizzare anche nel nostro Paese una ampia liberalizzazione dei mercati;
• sviluppare in misura consistente il mercato dei capitali, promuovendo al
contempo una vasta diffusione dell’azionariato tra i risparmiatori;
• adottare riforme complementari in materia di regolamentazione dei mercati
finanziari, istituzioni economiche (creazione di Autorità di Regolazione indipendenti e
dell’Antitrust), diritto societario e corporate governance.
Partecipazioni dello Stato
EFIM ENEL
SIV
95%
MICS
100%
Iritecna
100%
RAI
99%
STM
50%
Comit
54%
B. Roma
25%
Credit
58%
SME
62%
STET
59%
IRI
Savio
100%
SNAM (3)
99%
Terfin
100%
SOFID
100%
Snamprog.
100%
Sogedit
100%
ENI
Altre Società/Enti
Ferrovie dello Stato
Poste Italiane
IMI
Altre
(BNL, Mediocredito
Centrale, Banco
di Sicilia, …)
Alitalia
86%
Cementir
52%
Finmare
99%
Finmec.
99%
Ilva
100%
Finsiel
83%
COFIRI
100%
Fincantieri
99%
Alumix
100%
Efimpianti
100%
Fin.E.Breda
53%
Agip
100%
Agip Petroli
100%
N.Pignone
78%
SAIPEM
79%
EniChem
99%
Enirisorse)
100%
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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56
Il provvedimento cardine che ha rappresentato formalmente l’avvio del processo
di privatizzazione è rappresentato dalla legge 359 del 1992. Questa legge ha tra l’altro
disposto la trasformazione in società per azioni di IRI, ENEL, ENI ed INA le cui azioni
– unitamente alle partecipazioni in BNL, IMI e CDP – sono state attribuite al Ministero
del Tesoro.
Mediante la cosiddetta “privatizzazione formale” – che negli anni seguenti ha
riguardato anche FS, IMI, Poste Italiane, ANAS, CDP, IPZS, ETI ed ENAV – si
intendeva prioritariamente intervenire sulle partecipazioni statali perseguendo
l’obiettivo di migliorare la governance, introdurre efficaci strumenti amministrativi di
pianificazione e di controllo direzionale, nonché rinnovare e far crescere
professionalmente il management.
Ovviamente, l’effettiva attivazione di procedure di privatizzazione richiedeva il
più delle volte una fase ben più impegnativa e rilevante di risanamento e
ristrutturazione per migliorare l’efficienza e adeguare organizzativamente e
culturalmente l’azienda in funzione del collocamento sul mercato. Tutto questo per
permettere all’impresa di creare valore ed essere pertanto appetibile per il mercato.
Oltre ad attivare i necessari provvedimenti per la trasformazione in società per
azioni degli Enti, nei primi anni ’90 il Governo ha emanato un complesso di norme e di
direttive per garantire la trasparenza del processo di privatizzazione (come, ad
esempio, la costituzione del cosiddetto “Comitato Privatizzazioni”) e dare un quadro di
riferimento certo per la concreta realizzazione delle diverse procedure di vendita.
Fondamentali in questo senso sono risultate le Leggi:
• la Legge 474 del 1994 che ha, tra l’altro, regolato il momento decisionale della
definizione delle procedure di privatizzazione, previsto la possibilità per lo Stato di
assicurare un presidio (poteri speciali) nelle società privatizzate e introdotto il voto di
lista;
• la Legge 481 del 1995 che, in particolare, ha regolato le procedure di
privatizzazione delle aziende operanti nei settori dei servizi di pubblica utilità ed ha
istituito/previsto specifiche Autorità di controllo nei pubblici servizi.
L’avvio del processo di privatizzazione è stato anche favorito dalla presenza di
partecipazioni facilmente collocabili sul mercato. Nell’ampio portafoglio detenuto dallo
Stato all’epoca, alcune partecipazioni erano sostanzialmente “pronte” per essere
collocate sul mercato in quanto già quotate (in particolare quelle facenti capo all’IRI)
oppure caratterizzate da risultati economico-patrimoniali positivi e operanti in settori
di concreto interesse per i potenziali investitori.
Ciò ha permesso di attivare le procedure di vendita in tempi assai ristretti,
specialmente nel settore bancario e assicurativo (IPO di IMI e INA nel 1994; ulteriori
tranche di IMI ed INA e IPO di ENI nel 1995). Per quanto attiene all’IRI, le prime
procedure sono state realizzate nel 1993 e 1994 con la privatizzazione delle due banche
di interesse nazionale, Credito Italiano e Banca Commerciale Italiana.
Come si evince dalle tavole allegate (cfr. Allegato 1 e 2), le operazioni realizzate
tra il 1994 ed il 2005 ammontano in valore corrente ad oltre 96 miliardi di euro ed
hanno comportato il completo “disimpegno” dello Stato dal settore bancario,
assicurativo, delle telecomunicazioni e dei tabacchi, con un consistente
ridimensionamento nei settori strategici dell’energia (ENI ed ENEL) e della difesa
(Finmeccanica). Nel complesso le operazioni realizzate nei 12 anni considerati sono
state 46 e hanno riguardato nel complesso 28 aziende. L’Italia é stata il secondo paese
al mondo per l’entità delle privatizzazioni, dietro al solo Giappone.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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57
Oltre agli effetti benefici per l’economia, vi é stata una significativa riduzione del
debito pubblico ed un conseguente risparmio nella spesa per interessi.
Nel periodo considerato sono risultate di entità rilevante anche le privatizzazioni
realizzate da ENI ed IRI. Per quest’ultima, il processo di privatizzazione ha comportato
non solo l’azzeramento dell’ingente debito accumulato sino ad allora, ma anche la
corresponsione al Ministero di rilevanti risorse in termini di dividendi e riserve.
In conclusione, si può quindi affermare che le privatizzazioni effettuate in questi
anni hanno avuto molteplici effetti positivi, tra i quali, in particolare:
• crescita dei mercati finanziari e dei prodotti
• crescita dell’economia, in quanto la migliore allocazione degli asset favorisce lo
sviluppo
• miglioramento della finanza pubblica, sia in misura diretta (riduzione dello
stock di debito) che indiretta (sequenza “virtuosa”: allocazione più efficiente degli
attivi - crescita economica - maggiore avanzo primario - diminuzione del debito).
Rispetto ai primi anni ’90, il portafoglio di partecipazioni gestito dal Ministero, si
é arricchito a seguito del richiamato processo di “privatizzazione formale”
(trasformazione in società per azioni) e dell’acquisizione di partecipazioni ex IRI
(Alitalia, RAI e Finmeccanica). Tuttavia, esso evidenzia anche la presenza di:
• partecipazioni in società quotate di rilevante valore (circa 30 miliardi) attestate
ormai su soglie appena superiori a quelle necessarie ad assicurare una qualificata
presenza pubblica in settori strategici (energia e difesa);
• partecipazioni che per entità, tipologia del business e peculiarità normative non
risultano tali da essere oggetto di processi di privatizzazione;
• realtà caratterizzate da profonde crisi di natura finanziaria e/o economica (FS e
ANAS) che non le rendono appetibili per il mercato;
• di società con potenziale interesse per il mercato ma che tuttora sono oggetto di
importanti processi di ristrutturazione (IPZS) o che comunque necessitano di non facili
processi di razionalizzazione e di individuazione di un quadro regolamentare certo.
MINISTERO
ECONOMIA E FINANZE
Alitalia
49.9%
ENEL
21.4%
ENI
20.3%
Finmec.
34.0%
ANAS
100%
CDP
70.0%
Cinecittà
H.
100%
Coni Serv.
100%
CONSIP
100%
ENAV
100%
EUR
90.0%
Ferrovie
dello Stato
100%
Fintecna
100%
GRTN
100%
IPZS
100%
Italia
Lavoro
100%
Patrimonio
dello Stato
100%
Poste
Italiane
65%
RAI
99.6%
SACE
100%
SICOT
100%
Sogesid
100%
SOGIN
100%
Sviluppo
Italia
100%
CONSAP
100%
ARCUS
100%
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58
ALLEGATO 1
MINISTERO DELL'ECONOMIA - CESSIONI DI PARTECIPAZIONI NEL PERIODO 1994-2005
Società Settore Modalità di cessione % ceduta
Incasso lordo
€/ml
% sul
PIL
IMI - 1^ tranche Bancario OPV 27,90% 927,2
INA - 1^ tranche Assicurativo OPV 49,45% 2.342,6
Totale 1994 3.269,8 0,37%
IMI - 2^ tranche Bancario Offerta Globale 14,48% 471,7
INA - 2^ tranche Assicurativo Offerta Globale 18,37% 871,1
ENI - 1^ tranche Petrolifero OPV 15,05% 3.253,7
Totale 1995 4.596,5 0,49%
INA - 3^ tranche Assicurativo Emissine convertibile 31,08% 1.683,5
IMI - 3^ tranche Bancario Market blok trade 6,94% 258,9
ENI - 2^ tranche Petrolifero Offerta Globale 16,19% 4.586,1
Totale 1996 6.528,5 0,65%
San Paolo Torino Bancario OPV 3,36% 147,7
Banco di Napoli Bancario Procedura competitiva 60,00% 31,9
ENI - 3^ tranche Petrolifero Offerta Globale 18,21% 6.833,0
Telecom Italia Telecomunicazioni Nucleo stabile + Off. Glob. 29,18% 11.817,9
SEAT Editoria Procedura competitiva 44,74% 853,7
Totale 1997 19.684,2 1,88%
ENI - 4^ tranche Petrolifero Offerta Globale 15,20% 6.712,1
BNL Bancario Nucleo stabile + Off. Glob. 68,25% 3.463,7
Totale 1998 10.175,8 0,93%
ENEL - 1^ tranche Energetico OPV 32,42% 16.549,9
Mediocredito Centrale Bancario Procedura competitiva 100,00% 2.036,9
UNIM Immobiliare Adesione OPA 0,94% 21,6
Totale 1999 18.608,4 1,65%
CIS Bancario Procedura competitiva 53,23% 21,7
Meliorbanca Bancario Procedura competitiva 7,21% 30,0
Mediocredito Lombardo Bancario Esercizio opzione 3,39% 38,7
Banco di Napoli Bancario Adesione OPA 16,16% 493,6
Totale 2000 584,0 0,05%
ENI - 5^ tranche Petrolifero Accelerated bookbuilding 5,00% 2.720,8
Beni Stabili Immobiliare Trattativa diretta 0,25% 2,3
San Paolo IMI Bancario Cessiobne sul mercato 0,35% 80,2
Mediocredito Centrale Bancario Trattativa diretta 0,30% 1,6
BNL Bancario Cessiobne sul mercato 1,31% 76,9
Mediocredito dell'Umbria Bancario Trattativa diretta 6,86% 5,9
Totale 2001 2.887,7 0,23%
Cariverona Bancario Trattativa diretta 0,01% 0,3
Mediovenezie Bancario Trattativa diretta 0,22% 0,1
Mediocredito Toscano Bancario Trattativa diretta 6,51% 17,8
INA/Generali Assicurativo Cessiobne sul mercato 0,22% 76,1
Mediocredito Fond. Centroitalia Bancario Trattativa diretta 3,39% 5,6
Telecom Italia (quota residua) Telecomunicazioni Accelerated bookbuilding 2,67% 1.434,1
Totale 2002 1.534,0 0,12%
Mediocredito Friuli Ven. Giulia Bancario Procedura competitiva 34,01% 61,3
ETI Tabacchi Procedura competitiva 100,00% 2.325,2
ENEL - 2^ tranche Energetico Bought Deal 6,60% 2.172,8
ENEL Energetico Cessione diretta a CDP 10,35% 3.156,5
ENI Petrolifero Cessione diretta a CDP 10,00% 5.315,8
Poste Italiane Servizi postali Cessione diretta a CDP 35,00% 2.518,7
Cassa Depositi e Prestiti Bancario Cessione diretta a Fondazioni 30,00% 1.050,0
Totale 2003 16.600,3 1,24%
Coopercredito Bancario Trattatva diretta 14,42% 15,5
ENEL - 3^ tranche Energetico Offerta Globale 18,86% 7.636,0
Totale 2004 7.651,5 0,55%
Fime in liq. Finanziario Procedura competitiva 71,80% 4,4
ENEL - 4^ tranche Energetico Offerta Globale 9,35% 4.101,0
Telecom Italia Media Editoriale Adesione OPA 0,06% 0,9
Alitalia Trasporto aereo Cessione diritti 12,50% 13,3
Totale 2005 4.119,6 0,29%
Totale generale 96.240,3
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59
ALLEGATO 2
CESSIONI DI PARTECIPAZIONI NEL PERIODO 1993-2005 (€ milioni)
Anno
MEF IRI (*) ENI Totale
% rispetto
al PIL
1993 1.390,0 1.390,0 0,17%
1994 3.269,8 2.786,3 847,0 6.903,1 0,79%
1995 4.596,5 1.474,9 763,0 6.834,4 0,72%
1996 6.528,5 256,7 619,0 7.404,2 0,74%
1997 19.684,2 377,0 520,0 20.581,2 1,96%
1998 10.175,8 594,6 612,0 11.382,4 1,04%
1999 18.608,4 6.775,0 25.383,4 2,25%
2000 584,0 7.499,8 8.083,8 0,68%
2001 2.887,7 510,9 3.398,6 0,27%
2002 1.534,0 1.534,0 0,12%
2003 16.600,3 16.600,3 1,24%
2004 7.651,5 7.651,5 0,55%
2005 4.119,6 4.119,6 0,29%
96.240,3 21.665,2 3.361,0 119.876,5
(*) Non tiene conto dei debiti deconsolidati per oltre 11 miliardi complessivi e delle cessioni di 2° livello
Totale
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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60
Componenti del bilancio
L’esame delle principali componenti della struttura del bilancio nel corso degli
ultimi quindici anni mette in luce tendenze che confermano la gravità della situazione
attuale dei conti pubblici.
Negli anni ‘90 le entrate totali evidenziano un tasso di incremento medio annuo
pari al 5,3 per cento, superiore a quello della spesa totale primaria che si accresce
mediamente del 4,4 per cento. Successivamente le dinamiche risultano capovolte, con
un rallentamento delle entrate che si sviluppano ad un tasso del 3 per cento ed una
accelerazione della spesa totale primaria, che nel periodo 2000-2005 si incrementa ad
un tasso medio annuo pari al 4,9 per cento.
Figura III.13 – Entrate e spese delle Amministrazioni Pubbliche
(in percentuale del PIL)
38
40
42
44
46
48
50
52
54
56
58
1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
Entrate totali / Pil
Uscite totali al netto interessi / Pil
Uscite totali / Pil
Uscite totali (al netto dei proventi UMTS e delle dismissioni) / Pil
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT.
Entrate
Le entrate tributarie delle pubbliche amministrazioni, considerate nelle
loro componenti dirette, indirette e in conto capitale hanno manifestato nel
periodo 1992-2005 un andamento crescente rispetto al prodotto interno lordo fino
al 1999, passando in termini di PIL dal 26,2 per cento nel 1994 al 29,9 del 1999.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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61
Nel biennio 1992-1993 si è evidenziata un’incidenza più elevata di quella del
1994 per effetto delle consistenti manovre di finanza pubblica realizzate in quegli anni
che hanno influito sulle entrate tributarie rispettivamente per 20 e 23 miliardi di euro.
A partire dal valore massimo raggiunto nel 1999, l’incidenza sul PIL delle
entrate tributarie è andata progressivamente riducendosi, con una lieve interruzione nel
2003, fino a raggiungere il 27,7 per cento nel 2005. L’inversione di tendenza che si è
verificata in quell’anno è da porsi in relazione all’andamento delle entrate da condono,
che hanno determinato un maggior gettito per circa 18 miliardi.
Andamento analogo si rileva anche per le entrate tributarie correnti (ovvero al
netto della componente in conto capitale, che includono le imposte straordinarie), le
quali sono passate dal 26,1 per cento del 1994 al 29,8 per cento del 1999 per poi
scendere fino al 27,4 per cento nel 2004 e stabilizzarsi al 27,6 nel 2005.
Tra il 1992 e il 1997 il rapporto al PIL delle imposte dirette è risultato più
elevato rispetto a quello delle imposte indirette, mentre mostra un andamento
altalenante tra il 1998 e il 2001, e infine si inverte dal 2002 al 2005. Alla riduzione
dell’incidenza sul PIL delle entrate tributarie si è associata una redistribuzione del
carico fiscale dalle imposte dirette alle imposte indirette.
Tavola III.2 – Pressione fiscale
(in percentuale del PIL)
Imposte
dirette
Imposte
indirette
Imposte in
c/capitale
Pressione
tributaria
Contributi
sociali
Pressione
fiscale
consolidata
1992 14,3 11,0 1,9 27,2 14,7 41,8
1993 15,7 11,7 0,7 28,0 14,9 42,8
1994 14,6 11,5 0,1 26,2 14,6 40,7
1995 14,5 11,8 0,6 26,8 14,4 41,1
1996 15,1 11,6 0,3 26,9 14,7 41,5
1997 15,8 12,2 0,7 28,7 15,0 43,6
1998 14,3 15,1 0,4 29,7 12,6 42,2
1999 14,9 14,9 0,1 29,9 12,5 42,2
2000 14,4 14,7 0,1 29,2 12,4 41,5
2001 14,7 14,2 0,1 29,0 12,3 41,2
2002 13,9 14,3 0,2 28,4 12,5 40,7
2003 13,4 14,0 1,3 28,7 12,6 41,3
2004 13,3 14,1 0,6 28,0 12,7 40,6
2005 13,3 14,2 0,1 27,7 12,9 40,5
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT.
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62
L’elasticità delle entrate tributarie rispetto al PIL mostra un andamento erratico
in ragione del fatto che su di essa hanno pesato gli effetti delle manovre fiscali attuate
nei vari anni.
A partire dal 2000, l’elasticità ha registrato una sensibile riduzione dovuta
all’attuazione di importanti interventi strutturali di riduzione dell’imposta sulle persone
fisiche (principale imposta progressiva del sistema fiscale) e, in misura minore,
dell’IRAP. Su tale andamento ha inciso, inoltre, il forte incremento dei rimborsi
d’imposta registrato nello stesso periodo, favorito dal meccanismo delle compensazioni
in sede di versamento delle imposte.
Spese
Dal lato della spesa totale (al netto dei proventi per le licenze UMTS e le
dismissioni), si é evidenziata una contrazione di oltre 9 punti percentuali tra il 1993 e i
2000, prevalentemente grazie alla riduzione di 6,4 punti nel costo del servizio del
debito.
Tavola III.3 – Spese delle Amministrazioni Pubbliche
(in percentuale del PIL)
CORRENTI
PRIMARIE
di cui:
C/CAPITALE
(*)
SPESE
TOTALI
PRIMARIE
Interessi SPESE
TOTALI
Redditi da
lavoro
dipendente
Consumi
intermedi
Prestazioni
sociali in
natura
Prestazioni
sociali in
denaro
1992 39,0 12,1 5,2 2,4 16,1 4,4 43,4 12,2 55,7
1993 39,8 12,0 5,3 2,3 16,6 4,2 44,0 12,7 56,7
1994 38,9 11,6 5,3 2,1 16,8 3,6 42,5 11,4 53,8
1995 36,7 11,0 4,8 1,9 16,3 4,5 41,2 11,6 52,8
1996 37,4 11,3 4,9 1,9 16,5 3,7 41,1 11,5 52,7
1997 37,7 11,5 4,8 2,0 17,0 3,4 41,1 9,3 50,4
1998 37,3 10,6 4,9 2,0 16,7 3,8 41,2 7,9 49,1
1999 37,6 10,6 5,0 2,1 16,9 4,0 41,6 6,6 48,2
2000 37,3 10,4 5,0 2,3 16,4 3,8 41,1 6,3 47,5
2001 37,6 10,5 5,1 2,5 16,2 4,3 42,0 6,3 48,3
2002 38,3 10,6 5,2 2,6 16,5 3,8 42,0 5,5 47,6
2003 39,1 10,8 5,3 2,6 16,8 4,4 43,5 5,1 48,6
2004 39,3 10,8 5,4 2,7 16,9 4,2 43,6 4,7 48,3
2005 39,9 11,0 5,5 2,8 17,1 4,2 44,1 4,6 48,7
(*) Al netto delle dismissioni immobiliari e delle cartolarizzazioni.
Il dato del 2000 è al netto delle entrate per l'assegnazione delle licenze UMTS, pari a 13.815 mln.
Fonte: Elaborazione su dati ISTAT.
L’incidenza della spesa corrente primaria, dopo il valore massimo del 1993 ha
registrato una riduzione di oltre 3 punti in soli due anni e, successivamente, si é
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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63
stabilizzata su valori prossimi al 37 per cento fino alla fine del decennio. A partire dal
2000, la tendenza si é invertita, ritornando a un valore analogo al 1993. La spesa in
conto capitale, dopo la riduzione registrata nel corso degli anni ’90, ha realizzato in
termini di PIL un recupero, passando dal 3,8 per cento del 2000 al 4,2 del 2005 (al netto
dei proventi per le licenze UMTS e le dismissioni).
Spesa per prestazioni sociali: prestazioni sociali in denaro e sanità
La spesa per le prestazioni di protezione sociale (sanità, previdenza e assistenza)
ha assorbito quote crescenti della spesa corrente primaria negli anni 1992-2005. In
termini di PIL la spesa sociale è stata caratterizzata da un andamento di lungo periodo
improntato ad un progressivo incremento nell’ordine di 2 punti percentuali, passando
dal 22 per cento del 1992 al 23,7 del 2005.
Dall’analisi per funzione economica si osserva che le prestazioni a copertura dei
rischi di invalidità, vecchiaia e superstiti hanno assorbito il 66,6 per cento della spesa
erogata dalle Amministrazioni pubbliche nel 2005, in riduzione rispetto al 71,5 per
cento circa nel 1995. Il 27,1 per cento è stata destinata alla funzione salute, in aumento
rispetto al 23,3 per cento del 1995, e il 3,9 per cento è stato attribuito alle prestazioni
che rientrano nella funzione sostegno alla famiglia, in aumento rispetto al 2,9 per cento
del 1995.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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64
Figura III.14 – Spesa delle Amministrazioni pubbliche per prestazioni di protezione sociale per
funzione
(valori percentuali)
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
80%
90%
100%
1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
Malattia Invalidità Vecchiaia Superstiti Famiglia e materinità Altro(*)
Fonte:ISTAT. Sistema europeo delle statistiche integrate della protezione sociale SESPROS96 e in
accordo con il Sistema dei conti nazionali SEC95.
(*) Comprende le funzioni abitazione, disoccupazione ed esclusione sociale.
Quanto all’incidenza della spesa per prestazioni previdenziali sul PIL, fasi di
crescita si sono alternate a fasi di contenimento nel corso degli anni ‘90. Tali andamenti
hanno rispecchiato l’impatto degli interventi di riforma del sistema pensionistico
introdotti a più riprese nel periodo al fine di correggere gli squilibri finanziari
determinati dalla presenza di un regime non compatibile con gli sviluppi demografici.
Il rapporto fra la spesa per prestazioni previdenziali e il PIL ha raggiunto nel
1997 il valore massimo del 15,8 per cento, per effetto principalmente degli aumenti del
valore medio delle pensioni. Il rapporto é ridisceso fino al 15,1 per cento del PIL nel
2001, e successivamente ha registrato un progressivo aumento fino al 15,7 per cento nel
2005.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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65
Tavola III.4 – Spesa delle Amministrazioni pubbliche per prestazioni previdenziali
Valori assoluti in % del PIL
in % della Spesa
per la protezione
sociale
in % della Spesa
corrente primaria
1992 119.447 14,8 67,4 38,0
1993 126.200 15,2 68,2 38,2
1994 135.515 15,4 69,5 39,7
1995 142.127 15,0 70,5 40,9
1996 153.322 15,3 70,7 40,8
1997 165.675 15,8 71,2 41,9
1998 169.947 15,6 71,1 41,7
1999 177.320 15,7 71,1 41,8
2000 182.180 15,3 69,5 41,0
2001 188.211 15,1 68,1 40,0
2002 197.334 15,2 67,2 39,8
2003 206.482 15,5 67,3 39,5
2004 215.570 15,5 66,4 39,5
2005 222.369 15,7 66,2 39,3
Fonte:ISTAT. Sistema europeo delle statistiche integrate della protezione sociale SESPROS96 e in
accordo con il Sistema dei conti nazionali SEC95. Dati rivisti dal 2002 al 2005.
La spesa pensionistica, è stata pari nel 2005 al 14 per cento del PIL, in lieve
aumento rispetto al 13,7 per cento del 2002, in presenza, comunque, di una dinamica
molto contenuta del PIl medesimo.
RIFORME PENSIONISTICHE
La prima organica riforma nel 1992 (riforma Amato) ha provveduto alla modifica
della base di calcolo delle pensioni, all’introduzione di una indicizzazione ai prezzi,
all’abolizione degli schemi di favore per i dipendenti pubblici e dei trattamenti
differenziati congiuntamente con il progressivo incremento dell’età pensionabile. Un
ulteriore intervento nel 1995 (riforma Dini) ha modificato l’architettura di base del
sistema, creando un più stretto collegamento tra benefici pensionistici e contributi
nominali versati durante la vita lavorativa attraverso la previsione di un
aggiornamento decennale dei coefficienti di trasformazione alle dinamiche
demografiche. Nonostante ciò, la riforma non riduceva significativamente le spinte al
prepensionamento. Inoltre il mantenimento di una aliquota di calcolo dei benefici
superiore all’effettiva aliquota contributiva lasciava il finanziamento di una parte della
spesa pensionistica a carico della fiscalità generale. Nel 1997 è stata raggiunta una
maggiore armonizzazione tra i regimi pensionistici del settore pubblico e privato
(riforma Prodi). Infine, nel 2004 il sistema è stato sottoposto ad un’ulteriore organica
revisione finalizzata a rafforzare la sostenibilità finanziaria di medio e lungo periodo
attraverso l’innalzamento dei requisiti di accesso al pensionamento anticipato in tutti e
tre i regimi (retributivo, misto e contributivo), la definizione di incentivi monetari al
posticipo del pensionamento, l’enucleazione dei criteri per lo sviluppo della previdenza
integrativa, la riduzione delle cosiddette “finestre” per la fuoriuscita dal lavoro.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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66
Passando all’altro rilevante capitolo di spesa sociale la dinamica si inverte. La
spesa sanitaria ha evidenziato una progressiva riduzione in rapporto al PIL fino al 1998,
collocandosi al 5,3 per cento, ed una successiva espansione fino a raggiungere il 6,7 per
cento nel 2005.
Questo è da porsi principalmente in relazione all’andamento della spesa
farmaceutica, che risulta in forte accelerazione nella fase centrale del periodo, e di
quella per la medicina generale in convezione e dei servizi a gestione diretta.
Tavola III.5 – Spesa sanitaria corrente delle Amministrazioni pubbliche
(in milioni di euro)
Spesa
complessiva di cui:
in % di PIL Personale Beni e altri
servizi
Prestazioni
in natura
Altra spesa
Medicina
gen. conv.
Farmaceutica
conv.
Altre
prestazioni
1992 49.364 6,1 19.050 9.783 19.094 2.805 6.777 9.511 575
1993 49.103 5,9 19.366 10.036 18.379 2.800 6.068 9.511 781
1994 49.099 5,6 19.811 10.397 17.565 2.866 5.047 9.652 869
1995 47.898 5,1 20.180 9.968 17.309 2.854 4.994 9.461 90
1996 51.706 5,2 21.854 10.546 18.603 3.161 5.468 9.974 301
1997 55.711 5,3 24.265 10.957 19.999 3.437 6.017 10.546 140
1998 57.569 5,3 22.736 11.988 21.169 3.485 6.628 11.056 1.483
1999 60.520 5,4 23.754 12.240 22.506 3.735 7.372 11.399 1.637
2000 67.574 5,7 26.285 12.988 26.334 4.019 8.743 13.572 1.868
2001 74.744 6,0 28.156 14.211 30.036 4.505 11.661 13.870 2.256
2002 79.106 6,1 29.367 15.598 31.263 4.613 11.723 14.927 2.790
2003 81.844 6,1 29.684 16.825 32.227 4.795 11.096 16.336 3.013
2004 89.971 6,5 32.417 18.733 35.317 5.010 11.988 18.319 3.403
2005 94.571 6,7 33.666 20.061 36.978 6.127 11.855 18.996 3.866
Fonte:ISTAT. Sistema europeo delle statistiche integrate della protezione sociale SESPROS96 e in
accordo con il Sistema dei conti nazionali SEC95. Dati rivisti dal 2002 al 2005.
Nel confronto con gli altri paesi dell’area UE, con sistemi sanitari omologhi2,
l’Italia ha evidenziato nel 2004 una spesa sanitaria pubblica al di sotto della Danimarca,
della Svezia e del Regno Unito, mentre rispetto ai Paesi con sistemi sanitari differenti3
risulta superata dalla Francia.
2 Sistemi assistenziali pubblici, caratterizzati dalla fornitura universale delle prestazioni a carico dello
Stato, dal finanziamento attraverso la tassazione generale e dalla gestione e/o controllo pubblico dei
fattori di produzione.
3 Sistemi mutualistici con obbligatorietà della copertura all’interno di un sistema di sicurezza sociale,
finanziato in larga parte da contributi individuali attraverso fondi assicurativi non profit e con gestione dei
fattori di produzione pubblica e/o privata.
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67
Tavola III.6 – Spesa sanitaria pubblica nei Paesi UE 15
(in percentuale del PIL)
1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Paesi a prevalente sistema assistenziale pubblico
Danimarca 6,5 6,5 6,3 6,4 6,3 6,1 6,3 6,5 6,6 6,6
Finlandia 5,4 5,5 5,2 5,0 5,0 4,9 5,1 5,4 5,6 5,7
Grecia 3,6 3,5 3,5 3,6 3,7 3,7 3,1 3,1 3,0 2,9
Irlanda 5,5 5,2 5,1 4,9 5,0 4,9 5,5 5,8 6,1 6,3
Italia 5,0 5,1 5,3 5,2 5,3 5,6 6,1 6,2 6,2 6,5
Portogallo 4,6 4,8 4,8 4,9 5,1 5,4 5,5 5,7 5,1 5,3
Spagna … … … … … … … … … …
Svezia 6,0 6,2 6,0 6,1 6,1 6,1 6,4 6,7 6,9 6,7
Regno Unito 5,3 5,5 5,3 5,3 5,5 5,5 5,8 6,0 6,3 6,7
Paesi a prevalente sistema mutualistico o delle assicurazioni sociali
Austria 5,4 5,3 4,7 4,8 4,8 4,8 4,9 5,0 5,1 5,1
Belgio 5,8 6,1 5,8 5,9 6,0 6,0 6,2 6,2 6,6 ,,,
Francia 5,6 5,7 5,6 5,6 5,6 5,7 6,1 6,4 6,9 7,0
Germania 6,1 6,2 6,0 6,0 6,0 6,0 6,1 6,2 6,3 5,9
Lussemburgo 4,4 4,8 4,5 4,2 4,0 3,6 4,0 4,2 4,3 4,5
Olanda 3,9 3,5 4,0 3,9 3,9 4,0 3,8 4,1 4,3 4,4
Fonte: Eurostat.
Per un controllo più efficace della spesa sanitaria (esclusa dalla disciplina del
“Patto di stabilità interno”), sono stati posti in essere una molteplicità d’interventi.
Questi includevano gli Accordi Stato-Regioni (negli anni 2000, 2001 e 2005), finalizzati
alla definizione delle responsabilità dei diversi livelli di Governo, e provvedimenti
normativi concernenti misure di contenimento della spesa. Questi ultimi si sono
incentrati sull’apposizione di tetti alla spesa farmaceutica, sulla revisione delle modalità
di rimborso del prezzo dei farmaci, sui limiti alla prescrizione e alla riduzione del
prezzo dei farmaci, sulla ristrutturazione del prontuario terapeutico e sulla
rimodulazione della compartecipazione alla spesa a carico dei privati, sulla definizione
degli standard dei posti letto e tasso di ospedalizzazione. Includevano inoltre la
definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza (parametri cui le Regioni devono
uniformare le prestazioni erogabili tramite il SSN), l’istituzione dell’Agenzia per il
farmaco, l’attivazione della Carta sanitaria, l’introduzione dell’istituto del
“commissariamento ad acta”.
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68
Spesa per il personale
La spesa per redditi da lavoro dipendente del complesso delle Amministrazioni
pubbliche è diminuita in termini di PIL, passando dal 12 per cento circa del 1993 all’11
per cento del 2005.
Tavola III.7 – Spesa delle Amministrazioni pubbliche per redditi
Valori assoluti in % del PIL
in% della Spesa
corrente primaria
1992 97.852 12,1 31,1
1993 99.702 12,0 30,2
1994 101.939 11,6 29,9
1995 103.940 11,0 29,9
1996 113.378 11,3 30,2
1997 120.411 11,5 30,5
1998 115.740 10,6 28,4
1999 118.916 10,6 28,1
2000 124.306 10,4 28,0
2001 131.647 10,5 28,0
2002 137.621 10,6 27,8
2003 144.749 10,8 27,7
2004 149.609 10,8 27,4
2005 155.533 11,0 27,5
Fonte:Elaborazioni su dati ISTAT.
Tale andamento ha rispecchiato i numerosi interventi che hanno interessato il
settore. Dopo il blocco degli automatismi (1992), una riforma organica è stata introdotta
nel 1993, al fine di allineare il rapporto di lavoro per la maggior parte delle categorie dei
dipendenti pubblici a quello privato e rafforzare il controllo sulla dinamica delle
retribuzioni. Gli interventi a carattere strutturale prevedevano la regolazione dei
contratti su scala nazionale, l’introduzione di una maggiore flessibilità nella gestione
delle risorse umane, l’istituzione di un sistema di valutazione del personale basato
sull’efficienza. La riforma del sistema è stata affiancata da soluzioni di impatto
immediato riproposte nelle manovre finanziarie annuali, quali la programmazione degli
organici, il blocco del turnover, il rinvio dei rinnovi contrattuali e il contenimento delle
retribuzioni.
Tali soluzioni non hanno, tuttavia, comportato un cambiamento nelle dinamiche
di fondo. L’occupazione, pari nel 1990 a 3 milioni e 530 mila unità, dopo essersi ridotta
di circa 130 mila unità nell’arco di dieci anni, ha ripreso ad aumentare nell’ultimo
quinquennio, recuperando nel 2005 il livello iniziale.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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69
Contestualmente, la crescita delle retribuzioni pro-capite pubbliche, che pur con
alcune discontinuità si era mantenuta inferiore rispetto a quella dell’intera economia
fino al 1999, negli anni successivi ha sopravanzato quella complessiva.
Figura III.15 – Retribuzioni lorde pro capite
0,0
1,0
2,0
3,0
4,0
5,0
6,0
7,0
8,0
9,0
10,0
1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Retribuzioni lorde pro-capite PA Retribuzioni lorde pro-capite Intera economia
Fonte: ISTAT, contabilità nazionale. Dati per il 2005 non comparabili.
Una mappatura effettuata di recente dalla Ragioneria Generale dello Stato sul
pubblico impiego evidenzia che circa il 95 per cento è a tempo indeterminato e che le
quote più elevate si rilevano nei comparti della Scuola, della Sanità, delle Regioni e
Autonomie locali. Negli anni più recenti, il personale con contratto di lavoro flessibile
risulta in crescita (+14,6 per cento nel triennio), in particolare nei comparti Sanità,
Regioni e Autonomie locali e Ministeri.
Figura III.16 — Distribuzione percentuale del personale a tempo indeterminato nei comparti al 31
dicembre 2004
Aziende autonome
1,0%
Ministeri, Agenzie,
Presidenza
7,5%
Diplomatici e prefetti
0,1%
Enti di ricerca
0,5%
Enti pubblici non
economici
1,9%
Magistratura
0,3%
Scuola e A.F.A.M.
33,6%
Regioni ed autonomie
locali
17,8%
Servizio Sanitario
Nazionale
20,4%
Forze armate
4,0%
Corpi di polizia
9,7%
Università
3,3%
Fonte: MEF-RGS. Elaborazioni su dati Conto annuale 2002-2003-2004.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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70
L’analisi dei dati sulla spesa complessiva del personale secondo la
classificazione funzionale evidenzia una concentrazione degli oneri nei servizi a
carattere individuale (sanità ed istruzione) che rimane sostanzialmente costante nel
periodo intorno ad un valore del 61 per cento, con una diminuzione per l’istruzione ed
un aumento per la sanità.
Tavola III.8 – Spesa per il personale delle Amministrazioni pubbliche per funzioni
(composizione percentuale)
Servizi ad uso collettivo Servizi a carattere individuale
Servizi generali Difesa, ordine
pubbl. e
sicurezza
Altri Totale Sanità Istruzione Altri Totale Totale
generale
1992 11,0 20,2 7,1 38,2 19,7 37,0 5,1 61,8 100,0
1993 10,7 21,2 7,0 38,8 19,7 36,6 4,8 61,2 100,0
1994 10,6 21,9 6,8 39,3 19,6 36,3 4,8 60,7 100,0
1995 10,3 22,0 7,0 39,2 19,6 36,3 4,9 60,8 100,0
1996 10,9 21,8 6,7 39,3 19,5 36,3 4,9 60,7 100,0
1997 11,2 21,2 6,6 39,0 20,5 35,6 4,9 61,0 100,0
1998 11,7 21,0 6,5 39,2 20,0 35,7 5,0 60,8 100,0
1999 11,8 20,8 6,3 38,9 20,3 35,9 5,0 61,1 100,0
2000 11,3 20,5 6,2 38,0 21,4 35,3 5,2 62,0 100,0
2001 11,5 20,2 6,0 37,8 21,6 34,9 5,7 62,2 100,0
2002 11,8 20,1 6,0 37,9 21,5 35,0 5,6 62,1 100,0
2003 11,8 21,0 5,8 38,7 20,5 35,0 5,7 61,3 100,0
2004 12,4 20,1 6,1 38,6 21,9 33,7 5,8 61,4 100,0
Fonte:Elaborazioni su dati ISTAT.
Lo Stato ha investito in istruzione, formazione e ricerca universitaria una quota
di PIL pari al 4,8 per cento nella media del periodo 1994-2003.
Nonostante questi investimenti, un ammontare annuo di ore dedicate
all’istruzione tra i più elevati in Europa e costi complessivi (spesa per studente, rapporto
studenti/docenti) altrettanto elevati, un confronto con gli altri Paesi dell’area UE
incentrato su indicatori di performance vede l’Italia in una posizione di svantaggio per
quanto riguarda la conoscenza e la professionalità acquisita dagli studenti alla fine della
scuola obbligatoria (indicatore PISA).
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71
Tavola III.9 – Indicatori del settore dell’istruzione
Indicatore di
"performance"
PISA (1)
Spesa per
studente (2)
Totale ore
per anno (3)
Rapporto
studenti/docenti
(4)
Austria 514 8.504 1.148 -
Belgio 508 6.444 1.075 9,7
Danimarca 497 7.626 890 12,8
Finlandia 540 5.863 808 13,8
Francia 507 7.152 1.042 12,5
Germania 487 6.603 903 15,2
Grecia 460 2.904 1.064 10,7
Irlanda 514 4.383 891 -
Italia 473 6.518 1.020 10,3
Lussemburgo 436 - - 9,2
Paesi Bassi - - 1.067 17,1
Portogallo 456 5.181 842 9,0
Spagna 487 4.864 845 11,9
Svezia 513 5.911 741 14,1
Regno Unito 528 5.608 940 14,8
Media 500 5.595 932 14,4
Fonte: OCSE
(1) Media della performance dell’indicatore PISA (Programme for International Student Assessment) 2000.
(2) Spesa annua per l’istruzione per studente in dollari PPPs.
(3) Tempo, in ore per anno, per studenti dai 12 ai 14 anni nelle istituzioni pubbliche.
(4) Rapporto tra studenti e docenti nelle istituzioni pubbliche e private (scuole secondarie).
Finanza decentrata
Negli ultimi anni la dimensione e l’incidenza dei flussi di entrata e di spesa degli
enti decentrati si sono accresciute anche a causa del progressivo trasferimento di
funzioni e competenze amministrative a livello locale.
La quota delle uscite delle Amministrazioni Locali in rapporto al PIL è cresciuta
dal 12,2 per cento del 1980 al 14,8 per cento del 2004. In particolare, le uscite hanno
mostrato un andamento decrescente fino al 1995, mantenendosi intorno a un livello
medio di incidenza del 25 per cento rispetto alla spesa complessiva, e successivamente
crescente dal 1996 fino al 2004, in coincidenza con i primi interventi normativi di
decentramento delle funzioni amministrative.
Attualmente la spesa decentrata ammonta a circa il 30 per cento della spesa
totale della pubblica amministrazione. Di questo 30 per cento, il 44 per cento é
costituito dalla spesa sanitaria (gestita quasi per intero dalle Regioni), il 16 dagli affari
economici, il 10 dall’istruzione e il 5,4 dalle abitazioni e l’assetto del territorio.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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72
Nel periodo 1990-2004, sul versante delle entrate si è riscontrata una evoluzione
in rapporto al PIL analoga a quella delle uscite, in flessione fino al 1995 e in successiva
ripresa dal 1996 al 2004, raggiungendo livelli più alti rispetto al 1990. La quota di
entrate proprie delle Amministrazioni locali ha evidenziato una crescita costante fino a
risultare più che raddoppiata alla fine del periodo (da meno del 4 per cento del 1990 a
oltre l’8 per cento del 2004). Su tale andamento hanno influito l’introduzione di tributi
propri (l’istituzione dell’ICI nel 1993 e dell’IRAP nel 1997) e l’assegnazione agli enti
decentrati di interi tributi (tasse automobilistiche affidate completamente alle Regioni),
di quote di tributi nazionali (addizionali regionali e comunali all’IRPEF) e altri tributi
minori, determinando nel complesso una significativa crescita della pressione fiscale a
livello decentrato.
DECENTRAMENTO DELLE FUNZIONI AMMINISTRATIVE
A partire dagli anni ‘90 il processo di trasferimento di funzioni e competenze
amministrative dallo Stato a Regioni ed enti locali ha conosciuto una accelerazione in
coincidenza con il riconoscimento di un grado crescente di autonomia e
responsabilizzazione alle Amministrazioni Locali.
La legge 59/1997 ha costituito il primo passo verso l’attuazione di un concreto
decentramento amministrativo, disponendo una serie di deleghe legislative per il
conferimento di funzioni alle regioni e agli enti locali.
Con il decreto legislativo 112/1998 è stata affermata la regola generale
dell’esercizio delle funzioni amministrative a livello locale e dell’intervento dello Stato
in via residuale. Con tale intervento normativo sono state devolute agli enti territoriali
le competenze amministrative nei seguenti settori: sviluppo economico e attività
produttive (artigianato, industria, energia, miniere e risorse geotermiche, fiere, mercati
e commercio, turismo, agricoltura e pesca), territorio, ambiente e infrastrutture
(territorio e urbanistica, edilizia residenziale pubblica, tutela paesaggistica e
ambientale, inquinamento, risorse idriche, opere pubbliche, viabilità, trasporti,
protezione civile), servizi alla persona e alla comunità (tutela della salute, servizi
sociali, istruzione scolastica, formazione professionale, mercato del lavoro, attività
culturali e sportive), polizia amministrativa regionale e locale.
La legge costituzionale del 2001 di riforma del titolo V della Costituzione ha
confermato il quadro delle competenze e delle funzioni attribuite agli enti decentrati,
rafforzandone l’autonomia legislativa, amministrativa e finanziaria. Nello specifico il
nuovo art. 118 della Costituzione ha disposto che gli enti locali siano titolari di funzioni
amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale.
Di pari passo con la crescita delle competenze amministrative è stata attribuita
agli enti territoriali una maggiore autonomia in campo finanziario e tributario.
Il decreto legislativo 56/2000 ha introdotto le prime disposizioni in materia di
federalismo fiscale, prevedendo una serie di misure volte a delineare un nuovo sistema
di finanziamento delle Regioni a Statuto ordinario articolato non più su trasferimenti
statali, ma su tributi propri e compartecipazione ai tributi erariali, innanzitutto tramite
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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73
l’attribuzione di una quota di gettito IVA imputabile direttamente al territorio
regionale.
Il nuovo art. 119 della Costituzione ha raccolto tale impostazione riconoscendo a
regioni ed enti locali autonomia finanziaria in materia di entrate e di spese. Le fonti di
finanziamento previste dal testo costituzionale comprendono: tributi ed entrate proprie,
compartecipazioni al gettito di tributi erariali, un fondo perequativo per i territori con
minore capacità fiscale per abitante, risorse aggiuntive per promuovere lo sviluppo
economico e la coesione e la solidarietà sociale.
Attualmente il sistema tributario regionale si compone principalmente delle
seguenti voci: IRAP (imposta regionale sulle attività produttive), addizionale regionale
all’IRPEF, compartecipazione all’IVA, oltre a una serie di tributi minori
(compartecipazione all’accisa sulla benzina, tassa per il diritto allo studio
universitario, tributo speciale per il conferimento in discarica dei rifiuti solidi e
assimilati, imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili). Sul versante
delle spese, la quota largamente prevalente è costituita dai trasferimenti (pari nel 2005
all’89,1 per cento del totale), all’interno dei quali il peso più rilevante è occupato dai
trasferimenti alla sanità, pari nel 2005 al 79,9 per cento del totale dei trasferimenti.
Per quanto riguarda gli enti locali, l’art. 149 del decreto legislativo 267/2000
(Testo Unico degli Enti locali) ha elencato le risorse finanziarie di province e comuni:
imposte proprie, addizionali e compartecipazioni ad imposte erariali e regionali,
trasferimenti erariali e regionali, tasse e diritti per servizi pubblici, altre entrate
proprie anche patrimoniali, risorse per investimenti.
Attualmente il sistema tributario comunale si compone principalmente dei
seguenti tributi: I.C.I. (imposta comunale sugli immobili), addizionale IRPEF,
trasferimenti erariali e regionali, T.A.R.S.U. (tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi
urbani), T.O.S.A.P. (tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche).
Il sistema tributario provinciale si articola principalmente sull’IPT (imposta
provinciale di trascrizione), sui trasferimenti erariali e regionali e sull’imposta sulle
assicurazioni contro la responsabilità civile, oltre a una serie di tributi minori.
Sul versante delle spese degli enti locali, la quota prevalente è costituita dai
consumi intermedi (pari nel 2005 al 45,3 per cento del totale), seguita dai redditi da
lavoro dipendente (pari nel 2005 al 33,9 per cento) e dai trasferimenti (pari nel 2005 al
12,3 per cento), all’interno dei quali il peso più rilevante è occupato dai trasferimenti
alle famiglie.
L’accrescersi dell’impatto economico-finanziario delle Amministrazioni Locali
ha reso necessario un maggiore coordinamento fra livelli amministrativi centrali e
periferici per rendere la dinamica dei flussi finanziari degli enti territoriali coerente con
l’andamento dei saldi di finanza pubblica e con il rispetto degli obblighi di convergenza
concordati in sede comunitaria. In tale contesto, è nato nel 1999 il Patto di Stabilità
Interno che prevede l’imposizione di tetti alla crescita del disavanzo e/o di talune
tipologie di spese a carico delle amministrazioni locali e, nel contempo, dispone un
sistema di incentivi e sanzioni nei confronti dei destinatari in relazione al
raggiungimento o al mancato conseguimento degli obiettivi concordati.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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74
L’applicazione del Patto non ha finora raggiunto gli esiti sperati a causa della
difficile conciliazione delle esigenze di una pluralità di livelli di governo che chiedono
una crescente autonomia. Inoltre, l’imposizione di tetti alla spesa in termini di crescita
percentuale anziché di limiti sui saldi come originariamente previsto, ha ridotto i
margini di flessibilità a disposizione degli enti territoriali nella gestione del bilancio.
PATTO DI STABILITA’ INTERNO
Il Patto di Stabilità Interno (PSI) è un meccanismo introdotto con la Legge
Finanziaria 1999 che si propone di contemperare la crescente autonomia finanziaria
degli enti territoriali con il rispetto dei vincoli di bilancio concordati in sede europea.
L’art. 28 della legge n. 448 del 1998 (Finanziaria 1999) ha stabilito infatti che le
regioni, le province autonome, le province, e i comuni e le comunità montane
concorrano alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, assunti dall’Italia con
l’adesione al patto di stabilità e crescita, impegnandosi a diminuire progressivamente il
finanziamento in disavanzo delle proprie spese e ridurre il rapporto tra il proprio
ammontare di debito e il prodotto interno lordo.
Il Patto, sottoposto a revisione annuale in sede di Legge Finanziaria, nel corso
del tempo ha conosciuto adattamenti per quanto riguarda la tipologia delle
amministrazioni interessate, la definizione degli obiettivi da raggiungere e la struttura
degli incentivi e delle sanzioni.
Nel primo triennio di applicazione 1999-2001 il PSI ha prescritto gli obiettivi da
raggiungere (vale a dire il miglioramento del saldo finanziario e la riduzione del
rapporto debito/PIL) senza fornire indicazioni sulle modalità o sugli strumenti per il
conseguimento dei risultati.
La Finanziaria 2002 ha ridotto la flessibilità del Patto introducendo l’imposizione
di un tetto alle spese correnti in aggiunta al vincolo del saldo di bilancio.
La Finanziaria 2003 ha introdotto aspetti innovativi consistenti principalmente
nella previsione di forme di controllo statale ad opera del Ministero dell’Economia e
della Corte dei Conti per la verifica del conseguimento degli obiettivi,
nell’ampliamento dei compiti degli organi di controllo interno (collegio dei revisori dei
conti) e nel rafforzamento del sistema di monitoraggio e del sistema sanzionatorio a
carico degli enti inadempienti.
La Finanziaria 2005 ha introdotto due novità rilevanti: il criterio del controllo
della dinamica della spesa anziché del saldo finanziario, e l’inclusione della spesa in
conto capitale nella definizione della spesa complessiva.
La Finanziaria 2006 ha introdotto ulteriori novità in quanto ha previsto come
criterio un tetto alla crescita della spesa di tutte le amministrazioni, compresa la spesa
in conto capitale, sulla base della spesa storica di ogni singolo ente. Per il triennio
2006-2008 è stata inoltre prevista una diversificazione dei vincoli a seconda che si
tratti di spese correnti o spese in conto capitale.
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75
L’analisi della dinamica della finanza decentrata risente della discrepanza nelle
rilevazioni contabili attualmente adottate ai diversi livelli territoriali di governo che
impedisce comparazioni spaziali e temporali dotate di significatività. Gli schemi di
contabilità in uso presso gli enti territoriali rappresentano un miglioramento rispetto alla
situazione preesistente all’entrata in vigore del decreto legislativo 77/1995 (che ha
introdotto una articolazione più razionale del conto economico e l’esposizione delle
spese sostenute per centro di costo), ma le classificazioni impiegate risultano ancora fra
loro discordanti e non immediatamente convertibili in quelle adottate a livello
nazionale. Ai fini di una rilevazione attendibile delle tendenze in atto nella finanza
decentrata e di un adeguato monitoraggio dei flussi contabili delle Amministrazioni
Locali si rende quindi necessaria una maggiore armonizzazione contabile.
Spesa in conto capitale
Tra il 1992 e il 1997 la spesa in conto capitale, al netto delle dismissioni, è
passata in termini di PIL dal 4,4 per cento al 3,4 per cento4; l’ingresso nell’area Euro
insieme al gruppo di testa ha comportato una forte stretta di cassa nel 1997, con una
riduzione imputabile per sette decimi di punto agli investimenti diretti5. A partire dal
1998 si realizza un graduale recupero che consente alla spesa in conto capitale di
raggiungere a fine decennio il 4 per cento circa del PIL e a superarlo successivamente
giungendo al 4,5 nel 2002 (anche per la riclassificazione degli apporti al capitale delle
FS). Infine, in presenza di una accentuazione degli squilibri di finanza pubblica nel
biennio 2004-2005, si evidenzia una nuova contrazione delle risorse destinate alla spesa
in conto capitale, che a fine periodo si colloca al 4,2 per cento del PIL.
4 Oltre agli incassi da vendita e cartolarizzazione degli immobili (che per le norme del SEC 95 vengono
contabilizzata in riduzione degli investimenti fissi) ci sono poi altre voci di spesa classificate come spesa
in conto capitale ma che hanno una natura diversa rispetto all’aumento di dotazione di capitale fisso e di
sviluppo come, ad esempio: i proventi dell’UMTS, il rimborso concessioni governative pregresse, la
cancellazione dei crediti esteri, l’indennizzo a SCIP per lo sconto su immobili, ecc..
5 Nel 1995 il valore della spesa in conto capitale aumenta in misura anomala poiché viene classificata nei
trasferimenti di capitale a famiglie la spesa di una sentenza della Corte Costituzionale relativa alle
integrazioni al minimo delle pensioni.
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76
Figura III.17 – Spesa in conto capitale della Pubblica Amministrazione
(in percentuale del PIL)
0,0
0,5
1 ,0
1 ,5
2,0
2,5
3,0
1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
Inv est iment i (al n et to dism issioni)
Trasfer iment i e a ltr e spese in c/capitale
Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT
Per il 1995 i valori contengono la copertura degli oneri di una sentenza della Corte Costituzionale.
L’analisi delle principali componenti di spesa fa rilevare una diversa dinamica
fra gli investimenti diretti (al netto delle dismissioni), che nel 2005 rimangono ad un
livello inferiore a quello del 1992 e i trasferimenti in conto capitale6, che si mantengono
su un livello analogo a quello di inizio periodo.
Nel confronto con gli altri Paesi dell’Unione Europea, l’Italia evidenzia, dal
punto di vista dimensionale, una spesa in conto capitale al netto delle cartolarizzazioni
in linea con la media dell’area, con valori intorno al 4 per cento del PIL7.
6 Comprensivi dei contributi agli investimenti e di altre voci di spesa.
7 A partire dal 2001 è stato incluso nei conti il finanziamento al Gruppo Ferrovie, precedentemente non
considerato, con una incidenza sul PIL che varia tra 0,3 punti percentuali del 2001 e 0,2 del 2005.
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77
Tavola III.10 — Spesa in conto capitale nei Paesi Europei
(in percentuale del PIL)
PAESI
Investimenti Trasferimenti e
altre spese in c/c
Investimenti Trasferimenti e
altre spese in c/c
Investimenti Trasferimenti e
altre spese in c/c
Investimenti Trasferimenti e
altre spese in c/c
Investimenti Trasferimenti e
altre spese in c/c
Belgio 1,7 0,9 1,7 0,9 1,6 1,5 1,6 0,7 1,8 0,9
Germania 1,7 1,6 1,7 1,5 1,5 1,6 1,4 1,5 1,3 1,5
Grecia 3,9 2,7 3,7 2,0 4,1 2,2 4,2 2,3 3,5 1,5
Spagna 3,3 1,4 3,5 1,3 3,6 1,1 3,4 1,7 3,6 1,3
Francia 3,0 0,8 2,9 0,8 3,1 1,0 3,1 0,9 3,3 1,0
Irlanda 4,2 1,2 4,2 0,9 3,8 0,9 3,6 0,7 3,4 0,6
Italia 2,4 1,8 2,4 1,9 2,5 1,8 2,6 1,5 2,5 1,7
Lussemburgo 4,3 -0,5 4,8 1,3 4,6 1,3 4,4 1,6 4,7 1,8
Olanda 3,3 0,8 3,5 0,7 3,4 0,8 3,1 0,6 3,0 0,6
Austria 1,1 2,5 1,3 2,3 1,2 2,3 1,1 2,5 1,1 2,5
Portogallo 3,9 1,5 3,5 0,7 3,1 1,1 3,0 1,5 3,1 1,5
Finlandia 2,6 0,5 2,7 0,4 2,9 0,2 2,9 0,3 2,8 0,1
Danimarca 1,9 0,7 1,8 0,6 1,6 0,6 1,9 0,5 1,7 0,5
Svezia 3,0 0,1 3,2 0,2 3,1 0,2 3,0 0,1 3,0 0,2
Gran Bretagna 1,4 0,6 1,5 0,6 1,6 0,7 1,8 0,7 2,0 0,8
UE 12 2,5 1,4 2,4 1,3 2,5 1,4 2,4 1,3 2,4 1,3
UE 15 2,3 1,2 2,2 1,2 2,4 1,2 2,3 1,2 2,4 1,2
2001 2002 2003 2004 2005
Fonte: Commissione europea (maggio 2006).
N.B. Dati corretti per gli incassi derivanti dalla vendita delle licenze UMTS contabilizzati a riduzione dei
"Trasferimenti e altre spese in c/c" nel 2001 in Belgio, Grecia, Francia e Danimarca; nel 2002 in
Francia e Irlanda.
Per l'Italia sono stati aggiunti gli introiti derivanti dalle dismissioni immobiliari effettuate tramite
operazioni di cartolarizzazione contabilizzate, secondo il SEC95, a riduzione degli investimenti pari
rispettivamente a 8,8 miliardi di euro nel 2002, 1,0 nel 2003, 3.3 nel 2003 e 1,3 nel 2005.
Nell’ottica di un rilancio della politica infrastrutturale, sono state adottate norme
di semplificazione delle procedure amministrative ed è stato introdotto uno strumento
giuridico innovativo (Legge Obiettivo nel 2001) finalizzato ad accelerare il processo
autorizzativo delle infrastrutture pubbliche, con un maggiore coinvolgimento di capitali
privati. Nell’ambito del programma predisposto in attuazione della Legge Obiettivo e
con specifica deliberazione del CIPE sono state individuate nel periodo 2001-2005 le
infrastrutture di preminente interesse nazionale8. Ulteriori opere infrastrutturali da parte
dei grandi investitori (Ferrovie ed ANAS), che si avvalgono dei trasferimenti dello
Stato, sono state finanziate nell’ambito di Contratti di programma9 ovvero attraverso
specifici intermediari finanziari (ISPA).
L’analisi dei dati relativi alla spesa in conto capitale secondo i principali livelli
di governo (Amministrazioni Centrali e Decentrate) consente di evidenziare alcune
8 Nel periodo 2001-2005 sono stati approvati (con circa 150 delibere) progetti per un valore di circa 72
miliardi e sono stati assegnati 7,4 miliardi circa a carico della Legge Obiettivo.
9 Per quanto riguarda il Gruppo Ferrovie, nell’ambito del CdP 2001-2005 sono inclusi investimenti
infrastrutturali per un importo di circa 53 miliardi e sono stati conseguiti finanziamenti, nel periodo 2001-
2005, tramite apporto al capitale sociale pari a circa 21,7 miliardi. Il sistema AV/AC è stato finanziato
tramite ISPA per un importo pari a 36 miliardi a decorrere dal 1/1/2003 (in precedenza i finanziamenti
sono stati disposti nell’ambito del CdP con la RFI). Per quanto riguarda l’ANAS, il CdP 2003-2005 ha
individuato gli interventi da realizzare prioritariamente, nei limiti delle risorse stanziate nell’ambito del
Piano pluriennale 2003-2012.
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78
tendenze. La spesa delle Amministrazioni centrali si riduce dall’1,8 per cento del PIL
nel 2002 all’1,5 nel 2005, a causa per lo più di una compressione dei contributi agli
investimenti (prevalentemente incentivi alle imprese)10. A carico delle Amministrazioni
locali si verifica un mantenimento del livello di spesa in termini reali intorno al 2,6-2,7
per cento del PIL. Nel 2005 si rileva una battuta d’arresto della componente locale degli
investimenti fissi (pari a quasi la metà del totale della spesa in conto capitale), che passa
dal 2,1 per cento del PIL del 2004 all’1,9.
10 In particolare, il credito d’imposta agli investimenti, fruito dalle imprese in sede di dichiarazione dei
redditi mediante le “compensazioni”, dopo un aumento nei primi mesi del 2002 è stato bloccato per il
raggiungimento dei limiti di copertura e la fase successiva si è caratterizzata con una incertezza sui
correttivi normativi. Il credito d’imposta, istituito con la Legge Finanziaria 2001 (L. 388/200 art. 8), è
stato modificato con il D.L. 138/2002, e ulteriormente corretto con l’art 62 della 289/2002 che ha
introdotto l’obbligo di prenotazione, un tetto finanziario delle compensazioni e un percorso temporale per
l’esecuzione degli investimenti programmati. Si è intervenuti anche successivamente fino alla Legge
Finanziaria per il 2006 con il meccanismo del “riutilizzo delle risorse liberate”. Analogamente il credito
d’imposta all’occupazione e gli incentivi mediante i bandi della Legge 488/92 hanno subito correttivi e
rallentamenti nei meccanismi di assegnazione.
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79
III.3 Equità sociale
Coniugare la crescita economica con il risanamento delle finanze pubbliche e
l’equità sociale è la base per assicurare uno sviluppo sostenibile e duraturo.
Assorbiti gli effetti della crisi economica dei primi anni novanta, nel corso degli
ultimi dieci anni la distribuzione del reddito in Italia è risultata stabile, con una
progressiva, seppure modesta, riduzione del grado di disuguaglianza nei primi anni
2000.
Figura III.18 – Distribuzione del reddito: Indice di concentrazione di Gini
0,32
0,33
0,34
0,35
0,36
0,37
0,38
1989 1991 1993 1995 1998 2000 2002 2004
Nota: Una riduzione dell’indice significa una diminuzione della polarizzazione dei redditi
Fonte: Banca d’Italia
L’equità sociale deve essere valutata anche con riguardo alla diffusione delle
situazioni di indigenza.
A tale proposito sono disponibili misure d’incidenza della povertà in termini
relativi ed assoluti, nonché una misura di povertà “soggettiva”11.
11 Le misure d’incidenza della povertà relativa e assoluta sono fornite annualmente dall’ISTAT. L’istituto
di statistica europeo, Eurostat, fornisce una misura d’incidenza della povertà in termini relativi. Dal 1991
l’ISAE misura la percezione della povertà da parte delle famiglie o “povertà soggettiva” che confronta in
maniera indiretta le informazioni fornite dagli intervistati sul proprio reddito familiare con il reddito
ritenuto soggettivamente “necessario per vivere senza lussi ma senza privarsi del necessario.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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80
Con riferimento al primo indicatore, l’incidenza della povertà relativa sul totale
delle famiglie italiane è rimasta intorno al 12 per cento nella seconda metà degli anni
novanta, per poi diminuire leggermente nel biennio 2002-2003 e tornare ad aumentare
sensibilmente nel 2004, secondo i dati forniti dall’ISTAT. Sul risultato nazionale
influiscono in modo determinante le tendenze negative delle aree del Mezzogiorno12.
Figura III.19 – Povertà relativa per ripartizione geografica. Anni 1997-2004
(valori percentuali)
0,0
5,0
10,0
15,0
20,0
25,0
30,0
1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Italia Nord Centro Mezzogiorno
Fonte: ISTAT
Nel periodo 1997-2003 l’incidenza della povertà relativa rimane stabile intorno
al 5,5 per cento nel Nord, ad un livello leggermente superiore nel Centro, mentre nel
Mezzogiorno risulta in media intorno al 23 per cento. Nel 2004, gli squilibri aumentano:
mentre il Mezzogiorno ed il Centro registrano un sensibile aumento della povertà
relativa, il Nord mostra un miglioramento. Gli scivolamenti in povertà colpiscono in
particolare i bambini al Sud e le donne al Nord.
Se si estende l’analisi anche alla tipologia familiare risulta che l’incidenza della
povertà relativa aumenta con l’aumentare del numero di figli. Nel 2004, l’acuirsi dei
divari territoriali ha riguardato tutte le tipologie familiari.
12 Tale andamento potrebbe, almeno in parte, dipendere da difetti nella metodologia di calcolo utilizzata
dall’ISTAT che non coglie pienamente le diversità nei livelli del costo della vita.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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81
Tavola III.11 – Incidenza di povertà relativa per tipologia familiare
(media anni 2001-2004 – valori percentuali)
Nord Centro Mezzogiorno Italia
Tipologia familiare
coppia con 1 figlio 3,6 5,4 19,2 8,5
coppia con 2 figli 5,2 7,8 22,5 13,1
coppia con 3 o più figli 10,1 * 31,8 23,1
* Il dato non è significativo per la scarsa numerosità del campione
Fonte: ISTAT
Secondo l’indicatore prodotto da Eurostat, che considera povere le famiglie che
si collocano al di sotto di una soglia corrispondente al 60 per cento del reddito mediano
disponibile, l’incidenza della povertà relativa in Italia nel 2004 si collocava al 19 per
cento dopo i trasferimenti sociali, contro il 14 ed il 16 per cento rispettivamente di
Francia e Germania.
Nel nostro paese la spesa pensionistica, quindi, ha avuto un ruolo importante nel
migliorare la condizione di vita degli anziani. Al contrario, altri gruppi sociali non
hanno ottenuto un sostegno paragonabile (contrariamente a quanto avviene in quasi tutti
i paesi europei).
Queste misure di povertà vanno prese con molta cautela in quanto fanno
riferimento al consumo e/o al reddito mediano del paese e quindi descrivono la
situazione di disagio economico soltanto in termini relativi. E’ opportuno quindi
affiancare a questi indicatori anche una misura in termini non relativi ma assoluti, che,
sostanzialmente, prende in considerazione le situazioni più gravi.
Le stime dell’ISTAT sull’incidenza della povertà assoluta segnalano una
riduzione tra il 1999 (4,8 per cento) e il 2002 (4,2 per cento), probabilmente dovuta agli
effetti di alcuni provvedimenti di politica economica a beneficio delle fasce di
popolazione più disagiate (quali l’assegno al nucleo familiare con tre figli minori,
l’assegno di maternità, la sperimentazione del Reddito Minimo). Dati piú recenti non
sono ancora disponibili. In media, negli anni 1997-2002, le famiglie “assolutamente
povere” sono circa il 4,5 per cento del totale.
Infine, secondo l’indicatore ISAE di percezione della povertà soggettiva”, dal
2000 al 2003 il 50 per cento circa degli intervistati riteneva il proprio reddito familiare
insufficiente per una vita “dignitosa”. Tale percentuale è andata aumentando
successivamente come conseguenza di un forte incremento nella valutazione del
“reddito necessario”, riflettendo in un primo momento la divaricazione tra inflazione
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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effettiva e quella percepita. Nell’ultimo periodo di rilevazione (luglio 2004-giugno
2005) circa due famiglie su tre si sono dichiarate “soggettivamente” povere.
Figura III.20 – Incidenza della povertà soggettiva
40,0
45,0
50,0
55,0
60,0
65,0
70,0
75,0
lug 00-giu 01 lug 01-giu 02 lug 02-giu 03 lug 03-giu 04 lug 04-giu 05
Fonte: ISAE
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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83
IV – STRATEGIA 2007-2011:
CRESCITA, RISANAMENTO, EQUITÀ
Il programma sul quale il Governo ha ottenuto la fiducia del Parlamento, fondato
a sua volta su quello della coalizione, costituisce la base della politica economico
finanziaria presentata in questo Documento. Nella procedura di bilancio italiana, la
funzione istituzionale del Documento di Programmazione Economica e Finanziaria è di
fissare un’ancora alla preparazione della decisione annuale di bilancio che si articola
nella Legge finanziaria e nella Legge di bilancio. Esso la fissa nella forma di saldi di
finanza pubblica che, una volta adottati dal Parlamento, costituiscono il vincolo entro
cui deve muoversi tutta la successiva “sessione di bilancio” che determina il complesso
dell’entrata e della spesa.
Questo Documento pone quel vincolo in una duplice prospettiva: quella di un
arco temporale pluriennale, per il quali qui si è scelta l’intero periodo di legislatura
2007-2011; quella delle azioni e degli obiettivi di governo, per le quali si fa riferimento
ai tre obiettivi di fondo della crescita, del risanamento e dell’equità.
Il quadro tracciato nel capitolo precedente evidenzia che l’economia italiana ha
un serio problema di crescita. Dopo essersi sviluppata per alcuni decenni a ritmi molto
superiori a quelli dell’area europea nella quale si è progressivamente integrata, l’Italia
ha accumulato, dalla metà degli anni novanta, un ritardo di crescita, che accentua
l’instabilità macroeconomica e il disagio sociale. Ne risulta un intreccio perverso:
• l’andamento stagnante e talora negativo della produttività totale dei
fattori, l’insufficienza dei meccanismi premianti della qualità, un contesto generale poco
favorevole all’impresa e agli utenti-consumatori, l’area troppo estesa di settori protetti e
privi di concorrenza frenano lo sviluppo economico e deprimono il tasso di crescita
potenziale dell’economia;
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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84
• la combinazione di alto disavanzo, riduzione del saldo primario, debito
in aumento e bassa crescita mina la sostenibilità dei conti pubblici e li rende vulnerabili
al prevedibile aumento dei tassi di interesse, alla pressione del mercato finanziario
internazionale e al giudizio delle agenzie di rating;
• la bassa crescita, le inefficienze e distorsioni del sistema tributario, la
scarsa efficacia della politica di bilancio a finalità ridistribuiva, diffuse arretratezze
nell’apparato amministrativo pubblico contribuiscono a un andamento insoddisfacente
degli indicatori di disuguaglianza e di povertà.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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IV.1 Politiche per la crescita
La politica economica, in piena armonia con le linee guida previste dalla
Strategia di Lisbona, deve dunque agire simultaneamente sui tre fronti del risanamento,
della promozione dello sviluppo e dell’equità perché essi sono inscindibili.
• Una crescita più rapida è indispensabile per generare le risorse necessarie
al risanamento dei conti pubblici e a un aumento del benessere generale, da perseguire
anche con un’azione efficace contro povertà e sofferenza sociale e al risanamento dei
conti pubblici.
• Il risanamento dei conti pubblici è indispensabile per liberare finalmente
il sistema delle famiglie e delle imprese dal timore paralizzante di nuovi interventi e
nuovi sacrifici; solo così verrà ripristinata la fiducia necessaria per investire sul futuro e
si apriranno prospettive ai giovani. L’equilibrio dei conti è anche fattore essenziale di
equità: situazioni di sofferenza finanziaria colpiscono soprattutto gli strati meno protetti
e più deboli e le generazioni future che non hanno voce e rappresentanza.
• Una maggiore equità è indispensabile per venire incontro a nuove forme
di emarginazione sociale. Inoltre, in un regime democratico è condizione indispensabile
perché vi sia sostegno politico e sociale al processo di risanamento finanziario e di
rilancio della crescita. Lo sforzo di riconversione dell’economia pubblica e privata deve
essere equamente distribuito e in tale processo gli strati sociali più deboli e le
generazioni future debbono essere adeguatamente protetti.
L’Italia negli ultimi dieci anni ha accumulato un significativo ritardo di crescita
rispetto all’Europa e agli altri paesi industrializzati. Il divario permane anche se si tiene
conto del fatto che la popolazione italiana cresce meno rispetto alla media europea e
soprattutto agli Stati Uniti. Il rapporto fra il reddito per abitante in Italia e quello medio
europeo – entrambi espressi in parità di potere d’acquisto – registra una diminuzione
continua a partire dalla seconda metà dello scorso decennio. Analoga tendenza si
osserva nel confronto fra Italia e Stati Uniti.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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86
Figura IV.1– Arretramento del reddito italiano
Fonte: Eurostat.
In larga misura, l’arretramento dell’Italia rispetto all’Europa va attribuito alla
dinamica della produttività. Nel 1995, la produttività oraria è più alta, di quasi il 4 per
cento, in Italia rispetto all’area dell’euro. Nel 2005, la produttività italiana si situa
invece al di sotto, di tre punti percentuali, della media europea. In questi dieci anni, il
tasso di crescita della produttività in Italia è pari a meno di un quarto di quello dell’area
dell’euro.
Figura IV.2 – Fattori del divario: produttività oraria e tasso di occupazione
(rapporto fra Italia e area dell’Euro)
88,0
90,0
92,0
94,0
96,0
98,0
100,0
102,0
104,0
106,0
1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
produttività relativa occupazione
Fonte: Eurostat.
62
64
66
68
70
72
1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
96
97
98
99
100
101
102
103
104
Italia/UE (scala di destra)
Italia/USA (scala di sinistra)
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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87
A contribuire alla bassa crescita in Italia è anche l’andamento del mercato del
lavoro. Il tasso di occupazione è più basso in Italia che in Europa. Inoltre, malgrado i
progressi compiuti a partire dal 1997, il divario risulta più pronunciato rispetto al 1992.
Il rilancio dell’economia italiana passa dunque attraverso un nesso
fondamentale: l’aumento della produttività e dell’occupazione. Nel passato, l’Italia non
è riuscita a registrare un andamento favorevole per entrambe queste variabili. I periodi
di forte espansione della produttività, fino all’inizio degli anni novanta, si sono
accompagnati a una riduzione dei tassi di occupazione. Viceversa, a partire dalla
seconda metà degli anni novanta, il buon andamento dell’occupazione ha avuto come
controparte una dinamica pressoché piatta della produttività.
Un’azione congiunta e compiuta di riforma sia sul mercato dei beni sia su quello
del lavoro può e deve contribuire a rilanciare la dinamica della produttività e
dell’occupazione. E’ questa la sfida della politica economica nel prossimo quinquennio.
L’aumento dell’occupazione è essenziale per rispondere alle esigenze dei giovani, delle
donne e dei lavoratori più anziani, il cui tasso di attività si colloca su livelli di molto
inferiori a quelli dell’Europa, un dato inaccettabile che va corretto. Il Governo si
impegna nel quinquennio in un piano straordinario per i diritti e l’occupazione delle
donne, dei giovani ed in genere della famiglia (cfr. Riquadri seguenti) che affronti, in un
quadro organico e coerente, i vincoli che ostacolano la loro piena partecipazione alla
vita economica e sociale del paese. Ma l’aumento dell’occupazione non basta. Senza
crescita della produttività, i salari reali non possono che stagnare, deprimendo la
domanda interna, rallentando le prospettive di crescita e accrescendo le aree di disagio
sociale e povertà. Una dinamica sostenuta della produttività consente un aumento
sostenibile dei salari reali e al contempo una riduzione del costo del lavoro per unità di
prodotto, con effetti del tutto positivi sulla competitività, sulla domanda di investimenti
e di esportazioni. Una crescita più rapida faciliterebbe poi il risanamento dei conti
pubblici e consentirebbe di affrontare con maggiore incisività i problemi di equità
sociale e distributiva.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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PIANO D’AZIONE PER LE PARI OPPORTUNITA’
Il Governo si impegna, al fine di garantire scelte di risanamento nell’equità e
nella crescita, ad avviare un piano straordinario per le pari opportunità e
l’allargamento dei diritti di cittadinanza, nella convinzione che solo attraverso
un’azione ad ampio raggio su fattori economici, culturali, sociali e familiari è possibile
progredire in maniera significativa verso tale obiettivo.
Sul mercato del lavoro, in sintonia con l’ “Anno europeo delle pari opportunità
per tutti”, proclamato dall’Unione europea, il governo intende promuovere
provvedimenti per l’occupazione femminile, in un’ottica di incremento del relativo tasso
di occupazione (secondo le indicazioni della Consiglio di Lisbona), di stabilità, di tutela
della sicurezza e della dignità nei luoghi di lavoro e di uguaglianza salariale e
stipendiale. In questo senso agisce la scelta di destinare la riduzione del cuneo al
lavoro subordinato a tempo indeterminato, un provvedimento che favorisce in
particolare l’occupazione femminile. Analogamente, il governo prevede il
potenziamento delle politiche pubbliche conciliative a partire dei servizi per l’infanzia,
in particolare degli asili nido, affrontando così un ostacolo di rilievo alla
partecipazione femminile al mondo del lavoro.
Il Governo intende estendere l’esigibilità della tutela della maternità nei lavori
precari, promuovere le azioni per l’emersione del sommerso nel campo del “lavoro di
cura” e per il rilancio dell’imprenditorialità femminile. In questo quadro, si impegna a
sostenere azioni e regole che, in sintonia con la riforma dell’art. 51 della Costituzione e
le direttive europee, promuovano nelle Istituzioni, negli Enti, nelle professioni e nelle
carriere (fino ai livelli di responsabilità piú alti), il riconoscimento dei talenti, a partire
dalle donne e dai giovani, investendo così nel valore e nella responsabilità della
persona.
Il Governo si impegna inoltre a favorire studi, ricerche, statistiche di genere,
campagne civiche al fine di promuovere una cultura di pari opportunità, di rispetto dei
diritti e dei doveri civili e sociali delle persone. In questo quadro, verranno rafforzati i
programmi di contrasto a tutte le forme di discriminazione, nell’ambito di una
maggiore attenzione alla tutela dei diritti umani, attraverso il rilancio del ruolo del
Comitato Interministeriale per i Diritti Umani, il rafforzamento dell’Ufficio per la
promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni, il
finanziamento adeguato dei programmi di protezione sociale nei confronti delle vittime
della tratta (anche potenziando il ruolo della già esistente Commissione) e lo sviluppo
di opportune azioni a favore delle vittime delle mutilazioni genitali femminili.
PIANO D’AZIONE PER L’OCCUPAZIONE GIOVANILE
Per rendere l’Italia competitiva dobbiamo scegliere di investire con forza anche
sulla parte giovane del paese, sostenere e valorizzare le energie creative dei giovani.
Investire nei giovani significa infatti investire nella ricchezza della nostra società di
oggi e di domani.
Anche il Consiglio europeo nello scorso anno ha adottato un Patto europeo per la
gioventú il cui obiettivo principale é quello di migliorare l’istruzione, la formazione, la
mobilità, l’inserimento professionale e sociale dei giovani europei, facilitando nel
contempo la conciliazione fra la vita familiare e quella professionale.
Il Governo si impegna ad avviare un vero e proprio Piano Nazionale per i giovani
che risponda agli obiettivi dell’accesso dei giovani alla casa, al lavoro, all’impresa, al
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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credito e alla cultura. A questo fine rispondono diversi provvedimenti già adottati dal
governo, tra cui la scelta di destinare la riduzione del cuneo al lavoro subordinato a
tempo indeterminato (una misura che favorisce in particolare l’occupazione giovanile),
l’impegno al rilancio di una politica abitativa che sostenga anche le giovani coppie e
gli studenti fuori sede (come spiegato nel paragrafo sulle politiche per l’equità), la
costituzione di un fondo (con la L. 233/2006) volto a promuovere il diritto dei giovani
alla formazione culturale e professionale e all’inserimento nella vita sociale, nonché a
facilitare il loro accesso al credito.
OBIETTIVI D’INTERVENTO PER LA FAMIGLIA
Negli ultimi anni é mancata una politica economica e sociale nel suo insieme
adeguata alle responsabilità familiari, alla fornitura di servizi sociali e abitativi alle
famiglie e in generale al sostegno della famiglia come luogo di esercizio delle
solidarietà intergenerazionali, della cura e della tutela del benessere dei figli e degli
affetti. L’obiettivo del Governo é di ridare un ruolo centrale alla famiglia, ed in
particolare:
• realizzare due libertà fondamentali per i giovani, quella di rendersi autonomi
dalla famiglia di origine e quella di poter costituire una propria famiglia;
• contrastare la povertà e l’esclusione sociale, con particolare riguardo alle
problematiche della famiglia;
• ampliare il diritto per le donne di partecipare al mercato del lavorosenza
rinunciare al diritto alla maternità;
• favorire la conciliazione tra vita lavorativa e vita personale e familiare;
• coniugare il riconoscimento delle famiglie come una espressione della socialità
con il rispetto dei diritti dei singoli componenti, compresi i minori; assicurare i diritti
dei bambini e delle bambine e realizzare le condizioni per una infanzia libera dal
rischio della povertà e ricca di occasioni di socializzazione e di crescita é un dovere di
cittadinanza;
• tutelare il benessere e la salute dell’infanzia e dell’adolescenza garantendo un
organico e integrato intervento di protezione materno-infantile finalizzando a tale
scopo una azione di messa in rete di tutti gli interventi sociali, sanitari e educativi che
si rendano necessari;
• favorire una vecchiaia attiva, inserita nella rete delle relaioni affettive, familiari
e sociali, assicurando al contempo l’assistenza a chi ne ha bisogno.
Perseguire questi obiettivi é parte essenziale della costruzione di un welfare dello
sviluppo umano, di una società piú libera e solidale. Ed é essenziale anche per riaprire
una prospettiva di crescita economica stabile.
I processi di sviluppo sfuggono in larga misura al controllo della politica
economica. Questa, tuttavia, può agevolare o ostacolare la crescita a seconda di come
svolge i suoi compiti essenziali. La agevola se fornisce i beni e servizi pubblici
essenziali con efficacia ed economia di costo, se favorisce la stabilità economica e
finanziaria, se promuove la concorrenza e la flessibilità dei mercati. Spetta allo Stato di
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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90
definire una struttura stabile ed efficace di regole nel campo dei diritti di proprietà, di
accrescere l’efficienza del sistema giudiziario e di quello della sicurezza, di migliorare
la qualità dei servizi collettivi, e, in generale, di creare condizioni che favoriscano
l’investimento in capitale fisico e umano da parte di imprese e famiglie. Gli effetti di
queste politiche di regola si esplicano nel tempo, ma frutti significativi possono essere
ottenuti anche in tempi brevi. Di qui l’urgenza dell’avvio del processo di riforma.
L’Italia sconta in confronto agli altri paesi industrializzati una specializzazione
settoriale sbilanciata verso i settori a bassa intensità di capitale umano e una struttura
dimensionale squilibrata dagli ostacoli che frenano la crescita delle imprese minori. Tali
caratteristiche riflettono, oltre che antiche inefficienze del mercato dei capitali, una
insufficiente dotazione in conoscenza e capitale umano; deprimono la domanda di
manodopera qualificata; rendono le imprese italiane particolarmente vulnerabili alla
concorrenza dei paesi emergenti; scoraggiano l’investimento in ricerca e sviluppo;
rendono più arduo sfruttare le opportunità legate all’apertura dei mercati mondiali e
all’innovazione tecnologica.
Il ruolo dell’impresa e dell’imprenditore nell’individuare la collocazione
ottimale della nostra economia nel contesto della divisione internazionale del lavoro è
decisivo; alla politica economica spetta di agevolare tale individuazione, e il processo di
trasformazione strutturale che esso richiede, offrendo agli operatori economici un
quadro di riferimento certo e stabile nel tempo.
L’azione del Governo a sostegno della competitività e della produttività sarà
articolata lungo tre linee di intervento: contesto, innovazione e ricerca, fiscalità,
rafforzando così l’attuazione della Strategia di Lisbona e con il Piano Nazionale di
Riforme che verrà presentato alla Commissione Europea nel prossimo autunno.
La prima linea sarà rivolta al miglioramento delle azioni di contesto, di rete e
locali, entro cui le imprese e i cittadini assumono le proprie decisioni di investimento.
Compito della politica economica è quello di fornire in maniera efficace i beni pubblici
di cui l’economia necessita. Tra questi spiccano le infrastrutture materiali e immateriali
e in particolare un quadro di regolazione che favorisca una maggiore concorrenza sui
mercati, necessaria per l’innalzamento del tasso di crescita potenziale della nostra
economia. L’impegno prioritario, già avviato con il decreto approvato dall’esecutivo
(cfr. Riquadro), è il ridimensionamento e in prospettiva l’eliminazione dei vincoli che
nel mercato dei prodotti ostacolano l’esplicarsi della concorrenza e limitano
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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indebitamente le opportunità di sviluppo e di occupazione in troppi settori
dell’economia. Nel campo delle infrastrutture immateriali, la chiarezza e la flessibilità
del diritto societario e di quello fallimentare sono condizioni indispensabili per il pieno
e produttivo operare dell’attività imprenditoriale. Per le infrastrutture fisiche, si tratta di
rafforzare il processo appena avviato di riqualificazione della spesa in conto capitale,
fissando obiettivi di servizio e selezionando chiare priorità e tempi di realizzazione.
L’impegno sarà particolarmente forte nel Mezzogiorno, dove verrà accompagnato da un
rafforzamento degli interventi per l’inclusione sociale e la sicurezza.
La seconda linea d’azione del Governo sarà finalizzata a sostenere la
riqualificazione del sistema produttivo in termini di miglioramento degli assetti
organizzativi, diffusione delle nuove tecnologie e accelerazione del processo di
internazionalizzazione.
Il nuovo modello di politica industriale, che vedrà il coinvolgimento sia del
Governo centrale che delle Regioni, sarà articolato per obiettivi e agirà secondo
modalità di progetto. In questo quadro sarà possibile ricercare la complementarietà tra
l’azione delle diverse amministrazioni pubbliche centrali e territoriali e far avanzare,
analogamente alle esperienze piú avanzate degli altri paesi europei, il metodo della
partnership pubblico-privato.
Cruciali al riguardo saranno anche la riforma del sistema di incentivi a livello
universitario e, compatibilmente con il quadro di finanza pubblica, il sostegno alle
attività di ricerca e sviluppo, alla collaborazione tra imprese e università e centri di
ricerca, alla promozione dei processi innovativi.
La terza linea si riferisce ad interventi di natura fiscale ed automatica rivolti alla
generalità delle imprese e finalizzati ad un recupero immediato di margini di
competitività attraverso una riduzione dei costi di produzione, in particolare del lavoro.
Il Governo può e deve creare le condizioni favorevoli alla crescita. Spetta però
alle parti sociali, alle imprese e alle famiglie cogliere le opportunità che scaturiscono da
mercati più aperti e concorrenziali, da una regolazione più efficace, da una fiscalità più
adeguata e da un’offerta più completa di beni pubblici. Se ciò accadrà, l’economia
italiana potrà avviarsi su un sentiero di crescita sostanzialmente e stabilmente piú
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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elevata, recuperando il divario che ci separa oggi dal resto dell’Europa. Nel passato, le
imprese, le famiglie e i lavoratori italiani hanno saputo superare le difficoltà legate a
mutamenti anche repentini del quadro economico nazionale e internazionale e sfruttare
con tempestività le opportunità che tali mutamenti offrivano. L’economia mondiale oggi
vive un periodo di forte crescita, sospinta dal processo di apertura dei mercati e di
innovazione tecnologica. E’ un’opportunità che l’economia italiana può e deve sfruttare.
Perché promuovere la concorrenza? L’interesse dei consumatori
La politica per la concorrenza pone al centro della propria azione il consumatore
e, abbattendo le rendite di monopolio, favorisce nel contempo lo sviluppo e l’efficienza
dell’economia. La scelta - condivisa in sede comunitaria - di aumentare il grado di
concorrenza nei settori protetti ha motivazioni di equità e di efficienza. L’apertura dei
mercati calmiera i prezzi con effetti benefici sui consumatori perché rafforza il potere
d’acquisto di redditi e salari. La riduzione nel prezzo dei servizi protetti favorisce le
imprese nella misura in cui, a parità di salario reale, si attenua il costo del lavoro e si
riducono i costi di produzione delle imprese che di tali servizi sono acquirenti. In
entrambi i casi, accresce la competitività delle nostre produzioni sui mercati
internazionali. La riduzione delle rendite di monopolio è infine un fattore di equità.
Apre nuove opportunità a operatori che ne erano in precedenza esclusi. Tutela i
consumatori più deboli.
Queste considerazioni hanno fatto sì che si avviasse in Italia, dai primi anni ’90,
una progressiva apertura dei mercati in diversi ambiti. Gli effetti cominciano a
manifestarsi per cittadini e imprese. L’ingresso di nuovi operatori, le privatizzazioni, gli
interventi di separazione delle filiere dei servizi a rete, la regolazione economica
assistita da solidi presidi tecnici hanno agito sia da propulsore del progresso tecnico, sia
come fattore di riequilibrio e di trasparenza dei prezzi.
Il percorso intrapreso va ora proseguito, affiancando azioni volte ad aprire
mercati ancora chiusi a interventi di rilancio della concorrenza avviate ma non portate a
coerente compimento. Come l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha più
volte rilevato nel corso dell’ultimo decennio, numerose restrizioni di natura normativa o
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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amministrativa limitano ancora, senza giustificazione alcuna, l’accesso al mercato e le
condizioni di esercizio di attività d’impresa.
Un confronto con le azioni intraprese dai partner comunitari per migliorare la
condizione di consumatori e imprese, mostra la molto maggiore ampiezza, in Italia,
delle aree di scarsa concorrenza. Il superamento del nostro divario appare decisivo
anche per cogliere le opportunità della pur debole ripresa che è in atto in Europa.
Ad alcuni ambiti occorre rivolgere un’attenzione primaria: energia elettrica, gas,
servizi pubblici locali, trasporti, telecomunicazioni, distribuzione - in particolare di
alcune categorie merceologiche come i medicinali - servizi bancari e assicurativi, libere
professioni. In questo senso già agisce il decreto approvato dall’esecutivo il 30 giugno
2006, che elimina una serie di restrizioni alla concorrenza in materia di accesso al
mercato e di esercizio di attività d’impresa.
Tavola IV.1a – Restrizioni alla concorrenza eliminate dal DL 223 del 30 giugno 2006 in materia di
accesso al mercato
LIMITI QUANTITATIVI PANIFICI
REQUISITI PROFESSIONALI COMMERCIO (tranne per prodotti alimentari)
COMMERCIO
PUBBLICI ESERCIZI
TETTI ANTITRUST A LIVELLO COMMERCIO
DISTANZE MINIME
Tavola IV.1b – Restrizioni alla concorrenza eliminate dal DL 223 del 30 giugno 2006 in materia di
esercizio attività d’impresa
FARMACIE PER MEDICINALI DA BANCO
NOTAI PER PASSAGGI PROPRIETA’AUTO
FISSAZIONE PREZZI MINIMI LIBERE PROFESSIONI
DIVIETO PUBBLICITA’ LIBERE PROFESSIONI
COMMERCIO
MEDICINALI DA BANCO
POLIZZE RC-AUTO
VINCOLI GAMMA PRODOTTI OFFERTI COMMERCIO
FARMACIE
LIBERE PROFESSIONI
FARMACIE
TAXI
VINCOLI DISTRIBUZIONE ESCLUSIVA AGENTI POLIZZE RC-AUTO
VINCOLI MOBILITA’ CLIENTI SERVIZI BANCARI
DIVIETO TITOLARITA’ DI PIU’
ESERCIZI
RISERVE DI ATTIVITA’
LIMITAZIONI VENDITE CON SCONTO
LIMITAZIONI FORMA SOCIETARIA
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Perché promuovere la concorrenza? Servizi meno protetti e piú efficienti
I servizi rappresentano il 71 per cento del PIL e il 69 per cento
dell’occupazione1 nell’Area dell’Euro. Un intensificarsi della concorrenza in questo
settore è quindi essenziale; lo ha spesso richiamato l’agenda dell’Unione Europea, che li
pone al centro del dibattito sulle riforme strutturali necessarie per sostenere crescita ed
occupazione.
Il settore dei servizi ha inoltre importanti riflessi sulla crescita della produttività
del lavoro e sul livello dei prezzi. La sua bassa efficienza complessiva spiega gran parte
del divario di produttività che separa l’Unione Europea dagli Stati Uniti.
All’interno dell’Unione Europea, le differenze sia fra i Paesi sia fra i tipi di
servizi sono rilevanti. In Italia, i prezzi nel terziario evolvono a tassi superiori sia
rispetto all’area dell’Euro (+15,3 per cento, la variazione cumulata nel periodo 2001-
2005 contro il +13,7 per cento dell’Area dell’Euro), sia rispetto ai beni (+2,5 per cento
nel 2005 a fronte del +1,9 per cento dell’indice generale).
Le rigidità che caratterizzano molti mercati in termini di prezzi e accesso
indicano che essi sono ancora sottratti al confronto competitivo, anche a causa di una
eccessiva regolamentazione. Ciò impedisce la riduzione dei prezzi ed il miglioramento
della qualità offerta. La situazione italiana è ben rappresentata dai dati riportati nella
figura seguente:
Figura IV.3 – Indicatori di regolazione del mercato dei prodotti
(PMR)
Fonte: OCSE. La scala dell’indice é da 0 (livello minimo) a 6 (livello massimo).
1 Cfr. “Competition, productivity and prices in the Euro Area services sector”, BCE, occasional paper n.
44, Aprile 2006.
0 ,0
0 ,5
1 ,0
1 ,5
2 ,0
2 ,5
3 ,0
Francia
Germania
Italia
Spagna
Eu
Regno Unito
Stati Uniti
1 99 8 2 0 0 3
m e d ia o c s e 1 9 9 8 m e dia o c se 2 0 0 3
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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95
L’Italia è il paese in cui più restrittive sono le regolamentazioni sul mercato dei
beni e dei servizi. I progressi conseguiti dopo il 1998 non hanno che scalfito il divario
rispetto agli paesi industrializzati.
Perché promuovere la concorrenza? Responsabilità della politica economica
Gli interventi a sostegno della concorrenza non si esauriscono nel pur necessario
abbattimento di barriere regolamentari e istituzionali. Essi devono essere parte di
un’azione di politica economica di natura strutturale orientata al rilancio degli
investimenti necessari allo sviluppo del Paese. E tale azione – da attuare anche con
forme di partenariato pubblico- privato – deve comprendere la riforma della regolazione
e il monitoraggio dei mercati in via di apertura.
Per incidere significativamente sul livello di concorrenza occorre rafforzare il
sistema di regolazione, preservando l’autonomia del regolatore in un quadro di indirizzi
generali caratterizzato da stabilità e volto a migliorare costantemente il funzionamento
dei mercati anche attraverso il dialogo fra operatori economici e autorità della politica
economica .
Nel settore dei servizi saranno necessari interventi differenziati al fine di
promuovere l’ingresso di nuovi operatori sul mercato (energia), una maggiore
trasparenza dei servizi offerti (settore finanziario e professioni), un quadro
regolamentare più chiaro e coerente, il superamento degli affidamenti diretti (servizi
pubblici locali).
A monte di questo processo sarà inoltre essenziale eliminare distorsioni che
impediscono il pieno operare della concorrenza e che coinvolgono vari livelli
istituzionali: lo Stato, con competenze frammentate tra diverse amministrazioni; le
Regioni, che oggi esercitano funzioni di regolamentazione in molti comparti economici.
In conclusione, le politiche per la concorrenza dovranno essere dirette al
perseguimento di tre obiettivi, tra loro interdipendenti:
• apertura di tutti i mercati dove la concorrenza è possibile;
• interventi di regolamentazione nei settori privi di un’autorità indipendente;
• rafforzamento della posizione del consumatore e tutela del rapporto
d’utenza.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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Per conseguire questi obiettivi il Governo intende porre la politica per la
concorrenza e la difesa del consumatore al centro della sua agenda.
A tal fine, sull’esempio dell’Unione europea, dovranno essere definiti –
nell’ambito delle funzioni assegnate in via esclusiva allo Stato in questo campo –
strutture, strumenti e metodi di lavoro, collegiali e interdisciplinari, adeguati
all’esigenza di dotare il nostro Paese di una politica per la concorrenza organica e
strutturale, tenuto conto anche delle sue caratteristiche intersettoriali. In tale contesto, il
Governo intende costituire una unità di valutazione delle indagini e delle segnalazioni
formulate dall’Autorità Garante della Concorrenza, utile anche a fini istruttori per le
eventuali e conseguenti decisioni da assumere.
Sarà necessario agire dapprima in quei settori in cui i benefici netti di politiche
di apertura dei mercati sono maggiori, dove il mercato italiano è fuori linea rispetto alle
direttive europee, e che sono stati oggetto di analisi ed indicazioni - rimaste inascoltate -
da parte dell’Antitrust. A questi si aggiungeranno i comparti nei quali sono in corso
indagini conoscitive presso la stessa Autorità, a partire da quella relativa alla mobilità
dei clienti dei servizi di intermediazione finanziaria.
Un’attenzione particolare ed approfondita sarà rivolta ai servizi professionali,
anche in relazione al consolidarsi dell’approccio comunitario in materia: il Piano
strategico approvato a Lisbona nel 2000 ha ritenuto le professioni liberali rilevanti ai
fini del miglioramento della competitività, in funzione del loro peso economico, ed ha
tracciato le linee di una filosofia di una loro regolazione nell’ambito esclusivo della
politica per la concorrenza.
Investimenti in ricerca, sviluppo e capitale umano
Una ripresa duratura della crescita e un graduale innalzamento del tasso di
crescita potenziale dell’economia postulano che la produttività totale dei fattori esca
dalla lunga stasi degli ultimi anni. Ciò a sua volta implica più investimenti, più
innovazione, più ricerca e sviluppo, come previsto dalla Strategia di Lisbona.
L’investimento in ricerca e sviluppo si colloca in Italia su livelli
significativamente inferiori a quelli degli altri paesi industrializzati. In larga misura, il
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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97
fenomeno riflette scelte del settore privato. L’investimento in ricerca e sviluppo del
settore pubblico – di cui peraltro occorre valutare con attenzione qualità, rendimento,
utilità, interazione con la ricerca privata – non si discosta significativamente dalla media
dei paesi OCSE. La bassa propensione all’investimento del settore privato riflette in
parte la scarsità dell’offerta di capitale umano e la struttura, per dimensione e settori,
delle imprese italiane. Ma dipende anche dal fatto che, a parità di settore e dimensione,
le nostre imprese investono in ricerca e sviluppo relativamente meno dei concorrenti
esteri.
La carenza di capitale umano e la scarsa propensione all’investimento in ricerca
e sviluppo incidono negativamente sulla dinamica della produttività totale dei fattori e
sulla capacità di utilizzare pienamente le opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Il
capitale umano, al di là del suo valore economico, è l’elemento cruciale del tessuto
sociale e culturale europeo della costruzione di una “ragione sociale” europea.
Il superamento di questi vincoli non richiede sempre e necessariamente maggiori
risorse dal bilancio pubblico, che pure è auspicabile reperire. La spesa italiana per
studente universitario a tempo pieno non appare inadeguata rispetto agli standard
internazionali. Essa potrebbe essere resa più produttiva da un rafforzamento della
competizione fra sedi universitarie e dall’introduzione di una gestione del sistema
universitario che premi maggiormente il merito dei docenti e la ricerca di qualità.
La semplificazione e il riordino del sistema di incentivi può costituire uno
strumento per favorire, anche attraverso un sistema di crediti di imposta, l’investimento
privato in ricerca e sviluppo, senza costi aggiuntivi per il bilancio.
Lo sviluppo del capitale umano va assicurato fin dai primi livelli del processo
educativo. L’azione del governo sarà quindi volta al potenziamento del diritto allo
studio, attraverso: l’estensione dell’obbligo scolastico; il miglioramento delle
funzionalità e delle autonomie scolastiche; la messa a norma del patrimonio edilizio e
l’incentivazione all’utilizzo pomeridiano degli edifici. In tale contesto dovrà essere
affrontato il problema dei precari.
Il quadro di riferimento è quello dello “spazio comune europeo della ricerca e
della formazione superiore”. In Italia, a fronte di una spesa per studente più elevata
rispetto alla media dei principali paesi europei, l’esito di test standardizzati a livelli
internazionale risulta deludente. Il processo di riforma degli ordinamenti scolastici deve
colmare questo divario e soprattutto consentire anche a coloro che non intraprendessero
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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gli studi superiori di acquisire una preparazione tecnica e generale tale da potersi
adattare in maniera ottimale ai continui mutamenti del contesto economico e
tecnologico.
La diffusione a livello di massa delle nuove tecnologie digitali é un fattore
indispensabile per la modernizzazione del paese, consentendo un incremento della
produttività. A questo fine saranno adottate misure volte a promuovere lo sviluppo delle
connessioni in banda larga e contrastare il digital divide.
Nel Mezzogiorno, dove particolarmente grave è il divario di competenza dei
giovani studenti con gli altri paesi industriali, le ingenti risorse addizionali disponibili,
anche attraverso i canali comunitari, potranno essere destinate al miglioramento della
qualità dello studio e dell’insegnamento, per il tramite di progetti che coinvolgano tutte
le parti, gli studenti, gli insegnanti, il sistema produttivo locale.
Dimensione e internazionalizzazione delle imprese
Le carenze strutturali del sistema industriale italiano sono ampiamente
documentate e hanno indubbiamente condizionato la dinamica della crescita della nostra
economia.
• In un confronto internazionale, le imprese italiane sono relativamente più
piccole anche a parità di settore.
• La loro produttività relativa è assai minore rispetto a quella registrata da
imprese di taglia analoga in altri paesi industrializzati. Nel nostro paese, le micro
imprese – con meno di 10 addetti – rappresentano quasi il 24 per cento degli occupati
ma solo il 10 per cento della produzione. La loro produttività relativa rispetto al sistema
delle imprese nel suo complesso è pari quindi solo a poco più del 40 per cento. Lo
stesso dato si colloca al 48 per cento per l’Unione Europea nel suo complesso.
• Tra le piccole imprese italiane sono troppo poche quelle che crescono
gradualmente fino a raggiungere medie e grandi dimensioni. Solo il 12 per cento delle
imprese più piccole, con meno di 6 addetti nel 1987, aveva superato la soglia dei 10
addetti nel 2001. Poco più del 7 per cento delle imprese tra i 6 e i 9 addetti erano
cresciute sull’arco del periodo fino a raggiungere la soglia dei 20 addetti. La situazione
non migliora se si considerano solo le nuove imprese, quelle appena nate.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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Il modello della piccola impresa è stato un punto di forza dell’economia italiana
che, contribuendo alla rapida crescita della nostra economia, perlomeno fino alla fine
degli anni ottanta. L’integrazione dei paesi in via di sviluppo nell’economia mondiale e
la rivoluzione tecnologica nel campo dell’informatica e delle comunicazioni hanno però
modificato radicalmente il quadro in cui opera il nostro sistema produttivo. Entrambi i
fenomeni hanno eroso la posizione competitiva delle imprese di più ridotta dimensione,
troppo piccole per sfruttare pienamente le opportunità offerte dal mercato mondiale e
troppo carenti dal punto di vista delle risorse umane per trarre beneficio dalle nuove
tecnologie.
La politica economica finora ha favorito le piccole imprese con misure di
carattere fiscale, amministrativo e finanziario. Ha così creato un sistema di soglie che
scoraggia la crescita dimensionale. E’ necessario ora favorire quelle imprese che
scelgono di crescere, evitando che gli incentivi esistenti vengano meno proprio in
conseguenza della crescita. Oltre alla riforma degli incentivi, è necessario ridurre gli
adempimenti burocratici richiesti per gli ampliamenti di impianto (oggi altrettanto se
non più gravosi di quelli che incombono sulla creazione di nuovi impianti), promuovere
lo sviluppo di strumenti finanziari innovativi (incoraggiando la nascita di fondi di
venture capital e quella, come è avvenuto negli Stati Uniti, di un fondo di tali fondi),
favorire il processo di internazionalizzazione, sostenere la creazione di reti d’impresa
(per esempio promuovendo la creazione di consorzi di servizi per
l’internazionalizzazione delle piccole imprese) e rivedere e potenziare gli strumenti a
sostegno delle imprese (concentrando la loro azione sui mercati ad alto potenziale di
espansione, investendo sui settori strategicamente piú rilevanti per caratteristiche di
innovazione e di sviluppo, favorendo le imprese piú dinamiche).
Infrastrutture, mobilità e spesa pubblica in conto capitale
Dopo essere diminuita a un tasso medio annuo del 3,1 per cento tra il 1992 e il
1996, la spesa pubblica in conto capitale è cresciuta del 3,1 per cento tra il 1996 e il
2000 e del 2,6 per cento nel quinquennio successivo. In termini di PIL, la spesa in conto
capitale è stabile intorno al 4,2-4,3 per cento contro una media europea pari al 3,6 per
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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100
cento. Lo scostamento è interamente dovuto alla maggiore incidenza dei trasferimenti in
conto capitale, a favore di imprese pubbliche e private, la cui funzione e la cui efficacia
dovranno essere oggetto di attenta e sistematica valutazione.
La quota sul PIL di investimenti pubblici fissi per infrastrutture materiali e
immateriali è in linea con la media europea, nonostante il divario creatosi in questi anni
nella qualità dei servizi collettivi. E’ indispensabile quindi che la spesa per investimento
sia riqualificata attraverso iniziative – condivise tra livelli di governo – che assicurino il
rispetto di alcuni essenziali requisiti: effetti strutturali e duraturi delle opere, loro
attitudine a soddisfare bisogni effettivi, certezza dei tempi di realizzazione, prevedibilità
dell’impegno finanziario richiesto per l’intero arco di tempo necessario per condurle a
compimento. Una politica di semplice avviamento delle opere in assenza di un processo
valutativo e di una seria programmazione finanziaria disperde le già scarse risorse
disponibili e mette a rischio l’equilibrio dei conti pubblici. Vanno definite chiare
priorità sulla base di un’attenta valutazione delle risorse finanziarie disponibili e di piani
settoriali – ad esempio nel campo dei trasporti – ai quali ricondurre le singole opere,
siano esse nel comparto ferroviario, stradale, portuale e marittimo.
Esistono nodi e segmenti infrastrutturali il cui tardato ammodernamento o
potenziamento mette oggi il Paese dinanzi al rischio di saturazioni e strozzature. A
questi interventi va riconosciuto, in modo condiviso dai livelli di governo interessati, un
carattere di assoluta priorità. E' ugualmente rilevante per il Paese la necessità di legare
le infrastrutture da realizzare alle reti TEN europee, di assicurare i collegamenti
orizzontali e verticali tra le diverse aree dell'Italia, anche al fine di migliorare la mobilità
dei fattori produttivi e ridurre i sovraccosti che il sistema industriale sconta per la scarsa
efficienza della logistica in alcune aree e per la ridotta accessibilità delle stesse. Gli
aspetti legati all'efficienza della spesa e alla tempistica di realizzazione devono quindi
entrare tra i criteri di selezione in modo da coniugare il rispetto di queste priorità con le
esigenze connesse alla programmazione delle risorse che alimentano la spesa in conto
capitale. L'ottimizzazione del co-finanziamento privato e l’adeguamento delle tariffe
permetteranno in questo contesto di anticipare o ampliare le priorità.
Muovendosi all’interno di questo quadro valutativo, il Governo intende
affrontare il tema della realizzazione delle grandi opere con metodo concreto e
pragmatico, tenuto conto delle risorse date ovvero ragionevolmente disponibili e del
grado di avanzamento di tali opere.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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Occorre in particolare dare attenzione, in primo luogo, alle opere per le quali i
cantieri sono già stati aperti; poi, di quelle per le quali i contratti di appalto sono stati
già stipulati e di quelle per le quali le procedure di gara per l’affidamento dei lavori non
sono ancora pervenute ad aggiudicazione.
In apposito documento separato del Ministro delle infrastrutture viene presentato
l’elenco e la descrizione sintetica delle opere, che segue appunto questo ordine logico e
pratico. Nello stesso, nondimeno, sono rappresentate le ulteriori opere cui potrà porsi
mano successivamente, in una visione necessariamente prospettica e di sviluppo del
particolare settore realizzativo. Attenzione particolare viene riservata al sistema
infrastrutturale di Roma capitale.
Un rilancio del settore infrastrutturale – con i riflessi positivi conseguenti, dal
punto di vista economico – discenderà, inoltre, dalla revisione del sistema delle
concessioni, cui il Governo intende porre mano. In tale contesto, si procederà ad una
riforma, le cui misure dovranno risultare più strettamente correlate con la tempistica,
intensità ed effettività della realizzazione degli investimenti cui i concessionari sono
tenuti. Saranno altresì migliorati i meccanismi idonei a rendere più coerente e fedele il
rapporto fra prospettiva e pratica dei piani di investimento di ciascun concessionario.
Uno specifico intervento correttivo riguarda anche il ricorso alla via ordinaria per la
valutazione dell’impatto ambientale del TAV in Val di Susa.
Interventi correttivi si rendono necessari anche in relazione al ruolo e alla
funzione del concessionario autostradale ANAS s.p.a., in relazione al quale non risulta
più coerente ed attuale il sistema odierno, di sostanziale cumulo dei compiti di attore del
sistema realizzativo delle infrastrutture viarie e di quelli di vigilante sul sistema
medesimo.
Ulteriori effetti positivi, soprattutto di impulso economico, discenderanno,
inoltre, dalla prossima fase correttiva del sistema giuridico degli appalti pubblici,
racchiuso nel relativo codice. La revisione – in attuazione della delega esistente ed
attraverso appositi provvedimenti di legislazione delegata – riguarderà l’intero impianto
del testo normativo in questione, cui si porrà mano, su impulso del Ministro delle
infrastrutture, alla luce di tutti i contributi che saranno raccolti in argomento, sia dal
settore delle categorie produttive, sia da quello degli enti interessati alla sua
applicazione, nell’ambito poi del quadro riepilogativo derivante dal dibattito
parlamentare.
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Politica dell’energia
Il processo di liberalizzazione dei mercati dell’energia elettrica e del gas naturale
è proseguito in questi anni in un contesto di un aumento della domanda di energia
superiore a quello dell’offerta e di ritardo nell’adeguamento delle infrastrutture e delle
politiche di contenimento della domanda.
L’apertura del mercato ha dato impulso ad un importante ciclo di investimenti
nel settore elettrico. Nonostante l’ingresso di nuovi produttori, si riscontra un ancora
insufficiente grado di concorrenza interna, correlato ad un elevato livello di
concentrazione nell’offerta. Ciò nonostante, i prezzi dell’energia elettrica in Italia hanno
conosciuto una crescita molto più contenuta rispetto al resto dei paesi della UE, sia per
effetto della regolazione di settore sia per il ritardo con cui si trasleranno sui prezzi
dell’energia i costi connessi all’attuazione del Protocollo di Kyoto.
Nel settore del gas naturale – dove l’operatore principale/dominante mantiene il
controllo delle infrastrutture di importazione e stoccaggio – si sono registrati minori
progressi nella diversificazione dell’offerta e nell’adeguamento delle infrastrutture.
Il potenziamento delle reti e la realizzazione di nuove infrastrutture di
produzione e di importazione e stoccaggio si pongono quindi come elementi
indispensabili non solo per favorire l’effettivo ingresso di nuovi operatori di mercato ma
anche per garantire la sicurezza del sistema, adeguandolo ai nuovi fabbisogni.
Al fine di garantire la sicurezza delle forniture, l’Italia – come altri paesi europei
– dovrà promuovere la diversificazione delle fonti primarie e la realizzazione di nuove
infrastrutture di approvvigionamento di gas naturale, quali terminali di GNL, gasdotti,
stoccaggi in sotterraneo. Al fine di agevolare l’accettazione delle infrastrutture presso le
comunità locali, sarà necessario promuovere azioni di comunicazione sulle
caratteristiche degli interventi e sul loro impatto nel territorio e dare ai territori
interessati segnali economici diretti in particolare alla riduzione dei costi delle forniture.
Il Governo intende proseguire la liberalizzazione dei servizi energetici. A tal
fine sarà perseguita la neutralità dell’accesso alle reti attuando le forme di separazione
societaria, organizzativa e decisionale previste dalle direttive comunitarie e, ove
necessario, anche con forme di separazione proprietaria e limiti alla partecipazione
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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azionaria nelle società proprietarie delle reti nazionali di trasmissione di energia
elettrica e di trasporto e stoccaggio di gas naturale.
Verrà inoltre definito un quadro regolatorio in grado di garantire condizioni di
accesso non discriminatorio, oltre che alle reti di trasporto e alle infrastrutture di
approvvigionamento, anche all’attività di misura dell’energia elettrica, in vista della
completa apertura del mercato dal 1° luglio 2007. Nel settore del gas, inoltre, a tutela
della sicurezza delle forniture per i clienti civili potranno essere introdotti meccanismi
transitori volti ad ottimizzare in tal senso l’uso degli stoccaggi.
Per quanto riguarda lo smantellamento delle centrali elettronucleari dismesse, la
chiusura del ciclo del combustibile e le attività connesse e conseguenti, l’Autorità per
l’energia elettrica e il gas intraprenderà un riassetto della regolazione economica,
adottando metodologie di regolamentazione in linea con quelle in uso per gli altri settori
dell'energia e prevedendo un'equa remunerazione del capitale investito.
Nella distribuzione dell’energia, saranno promosse operazioni di aggregazione
territoriale delle reti e delle utilities locali, a vantaggio della riduzione dei costi del
servizio.
Con la completa apertura del mercato, l’assetto degli operatori pubblici operanti
nel settore elettrico dell’energia verrà razionalizzato e semplificato.
Particolare attenzione sarà posta alle garanzie di sicurezza delle forniture per i
consumatori finali e alla tutela del potere d’acquisto delle famiglie, definendo gli
obblighi di servizio pubblico nei settori liberalizzati e completando la revisione della
tariffa sociale, secondo criteri di effettivo bisogno economico e svantaggio sociale.
Per la riduzione della dipendenza estera, il Governo ritiene necessario
intervenire con decisione sul mix energetico, valorizzando le risorse interne,
promuovendo le fonti rinnovabili in maniera efficiente e secondo logiche di filiera
industriale, puntando sulle tecnologie avanzate a basso costo e a basso impatto
ambientale e sostenendo forme di produzione distribuita. Particolarmente rilevante sarà
lo sviluppo delle “Agro-energie”, che sarà ottenuto rafforzando la potenzialità della L.
81/2006.
La riduzione del tasso di crescita della domanda di energia e delle emissioni sarà
perseguita innalzando l’efficienza energetica e ambientale del ciclo dell’energia,
potenziando gli strumenti di mercato (titoli di efficienza energetica) e dando segnali
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economici di orientamento della domanda, anche con una revisione in tal senso della
fiscalità energetica sui trasporti, a parità di gettito complessivo.
Il Governo, in un confronto con le Regioni, dovrà adottare e proporre al
Parlamento nuovi principi generali e strumenti per promuovere la concorrenza nella
distribuzione dei carburanti.
Per l’attuazione del Protocollo di Kyoto, il Governo intende riprendere il
processo di aggiornamento e revisione del “Piano nazionale per la riduzione delle
emissioni di gas responsabili dell’effetto serra”, al fine di contribuire all’adozione di
misure efficaci a fini di tutela ambientale e verificare a consuntivo i risultati ottenuti ed
elaborare strategie di adempimento che consentano di contenere l’impatto sulla
competitività del sistema economico, oltre che energetico, massimizzando i benefici
sull’economia nazionale e valorizzando appieno i meccanismi di flessibilità.
Ambiente
La tutela dell’ambiente è una componente essenziale di una strategia volta a
rafforzare la competitività del nostro paese. La sostenibilità ambientale dello sviluppo
garantisce che i benefici della crescita economica possano essere fruiti anche dalle
generazioni future. La tutela dell’ambiente, come stabilito dall’Unione europea, deve
essere integrata nelle politiche di settore.
Per monitorare con continuità i progressi in questo campo, verranno introdotti, a
fianco dei tradizionali indicatori macroeconomici, ulteriori indicatori ambientali. Si
valuterà inoltre la possibilità di adottare anche un sistema di contabilità ambientale,
nell’ambito del bilancio dello Stato e degli Enti territoriali.
L’azione del Governo si articolerà lungo cinque direttrici.
• Affermare la Valutazione ambientale Strategica. La VAS, Direttive
2001/42 CEE, si applica a piani e programmi (elaborati e/o adottati a livello nazionale,
regionale o locale) che possono avere effetti significativi sull’ambiente, compresi quelli
cofinanziati dall’U.E.. Specificatamente la direttiva indica i settori agricolo, forestale,
pesca, industriale, trasporti, rifiuti, acque, telecomunicazioni, turismo, pianificazione
territoriale e destinazione dei suoli. Va ricordato che la VAS non si limita alla
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valutazione degli aspetti ambientali (comprendendo in questi biodiversità, quindi flora
fauna, suolo, acqua, aria e fattori climatici), ma anche la salute umana, la popolazione, il
patrimonio culturale, architettonico, archeologico, il paesaggio, nonché l’interrelazione
tra questi fattori. Si supera in tal modo la logica del singolo progetto o intervento.
• Gestione delle acque. Il problema della difesa del suolo va affrontato
anche sul piano del coordinamento istituzionale e su quello della condivisione delle
strategie individuate. Data l’esiguità dei fondi disponibili è indispensabile coinvolgere
in termini di partecipazione finanziaria su progetti comuni e condivisi Regioni, Enti
locali e privati. In relazione alla gestione dell’acqua, va riaffermata la corretta e piena
applicazione della Direttiva 2000/60 che chiede una visione integrale dei bacini
idrografici e della risorsa idrica e lega le problematiche di difesa del suolo con obiettivi
di tutela della qualità delle acque. Le azioni e gli interventi in difesa del suolo e per una
corretta gestione delle acque dovranno essere funzionali a combattere il processo di
desertificazione in atto nelle regioni Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Campania; gli
interventi dovranno essere coerenti a quanto previsto nella Convenzione Internazionale
sulla Desertificazione, sottoscritta dal nostro Paese, e pertanto inseriti anche in una
strategia internazionale che rafforzi il ruolo dell’Italia in questo ambito.
• Tutela della natura. L’Italia ha sottoscritto la Convenzione Internazionale
sulla Biodiversità e, anche nel quadro comunitario, ha condiviso il 2010 come termine
temporale entro cui arrestare la perdita di specie animali e vegetali. Le azioni di
conservazione devono andare oltre le aree protette e devono avere una visione d’insieme
del territorio.
• Bonifiche e rifiuti. In tema di bonifiche occorre garantire l’effettivo
ripristino ambientale dei luoghi. I siti di interesse nazionale che devono essere
sottoposti a bonifica sono oggi ben 54. Infine, in tema di gestione dei rifiuti occorre
rafforzare gli interventi tesi ad incrementare la raccolta differenziata e a contenere la
produzione e la pericolosità dei rifiuti stessi. L’impegno del Governo è quello di
superare l’attuale fase di commissariamento nazionale che grava su ben cinque regioni
con l’obiettivo di ricondurre la gestione del ciclo dei rifiuti nell’ambito ordinario della
normalità. Il Governo è impegnato a contrastare con decisione le ecomafie che
rappresentano non solo una grave ipoteca criminale sull’ambiente ma anche un aggravio
dei costi economici e finanziari nell’intero settore.
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• Mare. La posizione geografica dell’Italia richiede una forte azione di
tutela e gestione del mare. La piena applicazione della Convenzione internazionale di
Barcellona, lo sviluppo di accordi tesi a diminuire gli impatti ambientali (dal traffico di
sostanze pericolose ad alcune modalità di pesca), una maggiore attenzione alla
salvaguardia e alla gestione integrata della fascia costiera (cercando di contrastare le
gravi forme di erosione a cui il nostro Paese è oggi esposto), la diminuzione
dell’apporto inquinante a mare di origine terrestre, una più efficace gestione delle aree
marittime protette, sono aspetti integranti di una di una politica volta sia alla tutela
ambientale sia alla preservazione di una risorsa cruciale per la nostra economia.
AGGIORNAMENTO SU ADEMPIMENTI DEL PROTOCOLLO DI KYOTO
L’uso efficiente dell’energia è un elemento essenziale di una strategia diretta a
contenere la dipendenza dell’Italia dall’estero in questo settore e rafforzare la
competitività della nostra economia. Con la ratifica del “Protocollo alla Convenzione
quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, 11 dicembre 1997” (legge 1
giugno 2002, n. 120), l’Italia si è impegnata a partecipare ad un programma globale di
riduzione delle emissioni di gas clima alteranti responsabili del c.d. effetto serra e che
comporta, per il nostro Paese, la riduzione delle emissioni ad un livello medio, nel
periodo 2008-2012, del 6,5 per cento inferiore rispetto al livello di emissione del 1990.
Elemento rilevante del programma è la possibilità per i Paesi di adempiere agli
obblighi del Trattato sia riducendo le proprie emissioni, sia acquistando, attraverso
appositi meccanismi (CDM – Clean Development Mechanisms) diritti di emissione
(CER – Certified emission rights) da Paesi o soggetti che emettono al di sotto degli
obiettivi loro assegnati.
Stime recenti emerse nel corso del 2005, tuttavia, indicano maggiori emissioni di
gas serra sul territorio nazionale rispetto a quanto previsto, e rideterminano in modo
più stringente l’obiettivo di emissione, portandolo a 475 MtCO2, con un conseguente
accresciuto scostamento dall’obiettivo (stimato in ca. 70 MtCO2). Qualora tali stime
trovassero conferma, ne conseguirebbe che il rispetto degli obblighi derivanti dal
Protocollo di Kyoto e dalla direttiva emission trading implicherà con ogni probabilità
oneri significativi, ma ancora da quantificare con precisione, sia per le nostre imprese,
sia per la finanza pubblica.
Il rispetto degli attuali parametri del protocollo di Kyoto e i nuovi obiettivi di
riduzione di gas serra già indicati dalla comunità scientifica richiedono un
ripensamento sulle forme di produzione, consumo e risparmio energetico oltre che sulle
modalità di trasporto. Il Governo intende studiare forme di fiscalità ambientale per
dare priorità ai progetti cofinanziati dalla Comunità Europea che hanno l’obiettivo
della riduzione delle emissioni inquinanti.
In tale contesto, il Governo intende riprendere il processo di aggiornamento e
revisione del “Piano nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili
dell’effetto serra”, al fine di verificare l’effettivo stato del percorso di avvicinamento
agli obiettivi del Protocollo, ed individuare quelle misure che consentano di
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massimizzare i benefici indotti sull’economia nazionale in termini di tutela
dell’ambiente e minimizzare i costi complessivi di adempimento agli obblighi del
Trattato.
Il Governo valuterà con attenzione le strategie e le azioni che consentono di
contenere la quantità di emissione e rispettare quindi gli impegni internazionali assunti.
A titolo di esempio, si citano la piccola cogenerazione distribuita, l’incremento negli
usi finali civili, la riduzione delle emissioni di N2O, i biocarburanti e la definizione e
attuazione di piani di mobilità urbana.
Sistema agroalimentare
Il rafforzamento del sistema agroalimentare ha importanza strategica per lo
sviluppo equilibrato di un paese come l’Italia. La politica economica del governo si
propone un duplice obiettivo; favorire lo sviluppo delle imprese che per professionalità
e dimensione hanno significative potenzialità competitive; fornire la necessaria tutela
sociale alle fasce più deboli del settore agricolo. Il rilancio della competitività richiede
misure e interventi tesi a favorire le esportazioni (ad esempio, attraverso la tutela dei
marchi) e un più efficace supporto delle istituzioni di promozione e sostegno delle
esportazioni sui mercati esteri, ad accrescere la dimensione delle imprese del settore
favorendo i processi di concentrazione cooperativa e societaria e l’accorpamento
fondiario, a promuovere la nascita di nuove imprese e facilitare il ricambio
generazionale (con una politica delle quote produttive che agevoli l’ingresso di nuovi
imprenditori). Rilevante per il rafforzamento competitivo del settore agroalimentare é la
stabilità del sistema fiscale. Indispensabile è anche la stabilità della rete di protezione
contro le calamità naturali e le crisi di mercato.
Turismo e beni culturali
Il nostro Paese ha a lungo riservato un’attenzione inadeguata ai beni culturali e
un impegno residuale alle politiche del turismo.
Il Governo considera oggi l’investimento nella cultura tra i compiti prioritari
poiché riguarda un fattore principale dell’identità nazionale, un veicolo per affermare
l’idea civile del nostro paese nel mondo, un elemento significativo per la crescita
economica, la qualità dell’occupazione e lo sviluppo di nuova imprenditoria.
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Lo Stato, consapevole della necessità di ripristinare gradualmente le risorse
finanziarie occorrenti, deve porre le basi affinché si rafforzi il contributo dei privati,
anche dei singoli cittadini, alla tutela e valorizzazione del patrimonio, con forme
rinnovate di incentivazione. La cultura contribuisce in modo decisivo anche alla
riconoscibilità internazionale delle produzioni dell’Italia. In tal senso va intesa la delega
al turismo affidata al Vice Presidente del Consiglio e Ministro per i Beni e le attività
Culturali: è necessario, infatti, da un lato, assicurare e garantire nel tempo un indirizzo
strategico all’attività dell’esecutivo rispetto ad un settore economico esposto fortemente
alla competizione internazionale ma anche caratterizzato da una forte valenza
intersettoriale; occorre anche perseguire un più efficace raccordo con le Regioni anche
per evitare inefficienze, sprechi, sovrapposizioni; la competenza statale in materia di
turismo deve essere rispettosa delle prerogative regionali ed in linea con la
giurisprudenza della Corte Costituzionale, che ha chiarito gli ambiti di competenza,
inclusa l’ineludibile responsabilità dello Stato.
La promozione del “Marchio Italia” deve rappresentare occasione, anche per le
Regioni, per accrescere gli interessi del territorio. Il turismo in Italia deve costituire una
componente significativa del ritorno alla crescita economica e della sua stabilità; ha
però bisogno di essere sostenuto, dal punto di vista culturale ed economico, da una
maggiore e più diffusa consapevolezza della sua importanza, quale fattore produttivo, di
competitività e di attrattività del sistema Paese.
L’enorme dotazione di patrimonio culturale, artistico, naturale, e le capacità
dell’eno-gastronomia, hanno radicato per molto tempo l’idea che l’afflusso turistico
verso il nostro paese fosse una variabile indipendente e destinata a crescere o almeno a
restare stabile nel tempo. Ora si sta prendendo consapevolezza di questo errore di
valutazione: i flussi entranti nel nostro paese non sono destinati a crescere
“naturalmente”, e sono sempre più variabili nella quantità e nella qualità, in ragione
della capacità del sistema turistico nazionale di promuoverne l’arrivo e selezionarne le
caratteristiche.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
109
Occorre che, analogamente a quanto hanno fatto i nostri principali competitori, il
sistema Italia si attrezzi in termini di:
• strategie di prodotto, per verificare i percorsi più appropriati per
l’industria turistica italiana;
• politiche coordinate, intervenendo compiutamente nei molti settori
connessi allo sviluppo del turismo;
• sostegno alle scelte da parte degli imprenditori e degli operatori privati.
La competitività del sistema presuppone una serie di attività (dall’analisi dei
mercati all’innovazione e qualità nell’offerta, dalla formazione continua degli addetti al
raggiungimento di migliori standard di servizio, a politiche di promozione mirata)
opportunamente sostenute da una adeguata dotazione finanziaria a beneficio dei più
significativi strumenti vigenti (L. 488/92; L. 135/2001; L. 80/2005).
Sul lato della domanda turistica è prioritaria la “riconquista” del mercato
nazionale, fondamentale per le ricadute economiche e occupazionali delle scelte operate
dai consumatori attraverso la crescita di viaggi e soggiorni nel nostro territorio.
Sul lato dell’offerta verranno studiati interventi per favorire l’aumento della
dimensione media degli operatori, anche incentivando la cooperazione e/o
l’aggregazione.
Verrà promossa la qualificazione dell’offerta sotto il profilo culturale, con una
particolare attenzione ai piccoli Comuni e agli itinerari storico-culturali-religiosi. E’
essenziale che a fronte di un rinnovato impegno da parte dello Stato gli operatori
perseguano un più competitivo rapporto tra qualità e prezzo e innovino le loro proposte.
Per quanto riguarda l’intervento dello Stato nella cultura, resta aperta la
necessità che la spesa ordinaria per la tutela del patrimonio storico-artistico si collochi
su livelli adeguati e che si completi il rifinanziamento del FUS a livelli congrui con la
capacità di produzione di spettacolo che ci si attende dal nostro paese. Le attuali
difficoltà del bilancio pubblico comportano allo stesso tempo un forte impegno per dare
più efficienza alle spese di gestione e di investimento e per una rigorosa riforma dei
criteri di finanziamento del cinema e dello spettacolo dal vivo. E’ stata istituita una
commissione tecnica tra MIBAC e MEF per studiare e proporre strumenti volti al
reperimento di nuove risorse per il settore.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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110
Qualità, efficacia e modernizzazione delle Pubbliche amministrazioni
La modernizzazione delle pubbliche amministrazioni, la semplificazione dei
processi e dell’organizzazione, nonché il miglioramento della qualità della regolazione
sono fattori chiave per la competitività e lo sviluppo del paese.
Ridurre drasticamente gli oneri burocratici per le imprese e i cittadini è una
priorità dell’azione del governo da realizzare con la cooperazione fra Stato, Regioni e
autonomie e la concertazione delle parti sociali. Verrà definito un programma
pluriennale per la semplificazione e la riduzione degli oneri burocratici per le imprese e
cittadini, con l’obiettivo di portare i tempi e i costi degli adempimenti burocratici delle
imprese ai migliori livelli europei e OCSE, in coerenza con quanto previsto dalla
revisione della strategia di Lisbona e in particolare dalle linee di azione già indicate nel
Piano Nazionale di Riforma e quelle condivise nell’ambito dell’Iniziativa 2010.
Il governo intende procedere su specifiche priorità e settori di intervento, quali
ad esempio il fisco, l’edilizia, l’urbanistica, l’ambiente, l’energia, l’igiene, la sicurezza e
la privacy, attraverso l’uso integrato del complesso degli strumenti e delle azioni come
la semplificazione amministrativa, la semplificazione normativa e riordino (codici e
“taglia leggi”), l’analisi di impatto della regolazione, l’innovazione organizzativa, la
reingegnerizzazione dei processi, l’adozione di metodologie di valutazione dei costi, dei
tempi e dell’efficacia delle attività amministrative, e il monitoraggio ex ante, in itinere
ed ex post. La sperimentazione di nuovi metodi amministrativi e di governo dei fondi
pubblici realizzata all’interno dell’utilizzo dei fondi strutturali e per le aree
sottoutilizzate, sia nel Mezzogiorno sia nel Centro Nord, offre chiare indicazioni da
estendere all’intera azione della pubblica amministrazione.
L’innovazione tecnologica rappresenta una componente essenziale del processo
di riforma della pubblica amministrazione e in senso lato nel raggiungimento di una
maggiore efficienza dei servizi alle imprese e al cittadino. La realizzazione di una
infrastruttura di connettività sicura, affidabile, multicanale e accessibile dai diversi
livelli della Pubblica Amministrazione rappresenta uno snodo su cui costruire i servizi
e-government. Attraverso tale infrastruttura si realizzerà un sistema aperto ai diversi
livelli della Pubblica Amministrazione in modo da consentire la condivisione, nel
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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111
rispetto delle specifiche autonomie e responsabilità, dell’enorme patrimonio di dati e
competenze presenti nella P.A. stessa.
Le azioni da intraprendere riguardano pertanto l’identificazione sicura del
personale della P.A. e cittadini in rete, lo sviluppo della larga banda, la realizzazione
delle infrastrutture per la cooperazione applicativa, la gestione dei registri pubblici e dei
flussi documentali con validità giuridica, la diffusione e la semplificazione delle
modalità di utilizzazione della firma digitale e della posta certificata, il potenziamento
dei back office e l’accessibilità dei siti web.
Cuneo fiscale, occupazione e produttività
Il rilancio della crescita richiede anche un aumento del tasso di occupazione, che
resta in Italia piú basso che nella media europea, nonostante i progressi compiuti negli
ultimi nove anni. L’Italia ha il piú basso tasso di occupazione giovanile in Europa.
Diventa pertanto prioritario l’impegno del Governo di mettere in opera azioni di
contrasto alle condizioni di marginalità e debolezza del mercato del lavoro dei giovani
e, in particolare, delle giovani donne.
Pesa sulla domanda di lavoro un cuneo fiscale e contributivo, definito come la
differenza tra il costo del lavoro sostenuto dal datore di lavoro e la retribuzione netta
ricevuta dal lavoratore, che in Italia risulta più alto che nella media dei paesi sviluppati,
anche se in linea con Francia e Germania. Una riduzione del carico fiscale e
contributivo può, quindi, riavvicinare la situazione italiana a quella media prevalente nei
paesi concorrenti. Della riduzione del cuneo dovranno beneficiare sia la quota a carico
del datore di lavoro sia quella a carico del lavoratore, con il fine di migliorare la
capacità di competere delle imprese italiane – attraverso una riduzione del costo del
lavoro per unità di prodotto – e al contempo di assicurare ai lavoratori un recupero in
termini di reddito disponibile. L’intervento sul cuneo non intaccherà le aliquote
contributive destinate all’assicurazione generale per l’invalidità, la vecchiaia e i
superstiti, ovvero ad alimentare le pensioni. Per favorire l’inserimento stabile dei
giovani nel mondo del lavoro, nella definizione del provvedimento dovrà essere scelto
un criterio di selettività che premi le imprese che stabilizzino i rapporti di lavoro.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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E’ indispensabile che l’intervento sul cuneo fiscale si accompagni alle misure di
rilancio del tasso di crescita della produttività descritte in precedenza. In assenza di tali
interventi, la riduzione del cuneo rischierebbe di essere vanificata da una dinamica della
produttività che si situasse ulteriormente al di sotto di quella degli paesi industrializzati
e, in particolare, di quelli dell’area dell’euro, ai quali ci lega la dinamica di prezzi e tassi
di cambio.
La riduzione del cuneo fiscale fornisce una prima spinta alla competitività
dell’economia italiana a cui si aggiungerà l’impulso delle riforme sul mercato dei beni e
servizi volte a innalzare in maniera permanente il tasso di crescita della produttività.
Solo in questo modo, è possibile, come già rilevato, conciliare il duplice obiettivo di un
aumento sostenibile dei salari reali e di una riduzione del costo del lavoro per unità di
prodotto, con effetti positivi sulla competitività dell’economia.
La riduzione del cuneo sarà destinata al lavoro subordinato a tempo
indeterminato, al fine di favorire l’occupazione in forme di lavoro standard, obiettivo
prioritario del programma dell’Unione e centrale nelle indicazioni della UE.
All’intervento sul cuneo fiscale e contributivo dei lavoratori dipendenti a tempo
indeterminato saranno affiancate misure finalizzate ad innalzare la contribuzione a fini
pensionistici degli iscritti alla gestione INPS di cui all’art. 2, co. 26 e ss. della legge n.
335/1995 (c.d. Fondo parasubordinati), limitatamente ai lavoratori impegnati in
collaborazioni a progetto e coordinate e continuative, in associazione a partecipazione e
di quelle tipologie di lavoratori che non siano iscritti ad altre forme di assicurazione
obbligatoria o che non siano liberi professionisti. Le misure consentiranno, ad un tempo,
di assicurare a questi lavoratori un trattamento pensionistico adeguato e di ridurre il
differenziale contributivo rispetto al lavoro subordinato. Tale differenziale costituisce
fattore non secondario del ricorso alle forme di lavoro in esame. Naturalmente, questi
provvedimenti si integreranno con interventi di natura normativa sul decreto legislativo
n. 276/2003, prefigurati nel programma di Governo.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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113
Più in generale, in materia di lavoro e occupazione, l’azione sarà
prioritariamente centrata su tre linee direttrici, in attuazione di quanto previsto nel
programma di Governo:
• la promozione delle forme di lavoro a tempo indeterminato, c.d. lavoro
standard;
• la riduzione dell’area di precarietà;
• l’intensificazione del contrasto al lavoro nero e irregolare;
• il miglioramento della tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
Per quanto riguarda la prima linea d’azione, si tratta di accompagnare le misure
relative alla riduzione del cuneo fiscale e contributivo in favore dell’occupazione
standard con la rivisitazione della legge n. 30 del 2003 e del decreto legislativo n.
276/2003, intervenendo sugli aspetti più critici, a partire da quegli istituti, quali, ad
esempio, il lavoro a chiamata e lo staff leasing, che possono più facilmente dar luogo a
forme precarie di occupazione. E’ necessario inoltre individuare strumenti utili a
promuovere l’occupazione femminile e l’impiego degli ultra cinquantenni, anche in
attuazione della Strategia di Lisbona. In questa direzione dovranno, altresì, essere
rilanciate le politiche formative.
Quanto al contrasto al lavoro nero e irregolare, occorre combattere con decisione
una piaga che ha assunto dimensioni intollerabili e che danneggia: il lavoratore; le
imprese virtuose, operando come fattore distorsivo della concorrenza; il sistema fiscale
e contributivo in termini di evasione. L’emersione del lavoro sommerso, soprattutto
femminile, nel campo del lavoro di cura andrà favorita con strumenti adeguati.
L’intervento dovrà articolarsi attraverso l’azione sinergica dei vari organismi
competenti intesa a valorizzare gli strumenti per l’emersione e attraverso una più
incisiva azione di repressione da parte degli organi a ciò deputati, ai quali occorre
garantire condizioni concrete di piena operatività, con l’adozione di alcuni interventi
regolatori finalizzati, per esempio, alla valorizzazione del documento unico di regolarità
contributiva e della dichiarazione preventiva dell’instaurazione del rapporto di lavoro
nei settori più esposti.
A questa area di intervento si riconnette strettamente la terza linea di azione
volta a migliorare le condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro,
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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114
associandosi spesso il mancato rispetto della relativa disciplina a fenomeni di lavoro
irregolare e nero. In questo settore si procederà alla ridefinizione dell’impianto
normativo attraverso l’adozione di un Testo unico, che consenta una razionalizzazione,
un migliore coordinamento e una più agevole applicabilità delle relative norme.
Saranno effettuati altresì interventi regolatori mirati al contrasto al lavoro nero,
ad eliminare o ridurre la possibilità di elusioni, quali l’obbligo dell’adozione di tessere
di identificazione dei lavoratori per settori a particolare rischio, come quello edile, la
rivisitazione della normativa sugli appalti in funzione di maggiore trasparenza e
garanzia del rispetto delle regole in materia di lavoro, evitando i fenomeni negativi
derivanti dalle dinamiche di ribasso e dalla filiera dei sub-appalti.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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115
IV.2 Risanamento dei conti pubblici
Nel 2006 il saldo di bilancio al netto della spesa di interessi sarà pari allo 0,5 per
cento e il debito si collocherà al 107,7 per cento del PIL, in crescita per il secondo anno
consecutivo. Il confronto con il 1992 è emblematico. In tale anno il saldo primario fu
pari al 1,8 per cento del PIL, il rapporto debito PIL si attestò al 105,2 per cento.
Tra il 1992 e il 2000, l’aumento dell’avanzo primario, la riduzione della spesa
per interessi e il programma di privatizzazioni consentirono un pronunciato
miglioramento degli equilibri della finanza pubblica.
Oggi, nel 2006, il risanamento della finanza pubblica può contare su un
ventaglio di opzioni più ristretto. Inevitabilmente più contenuto è il contributo
potenziale dei programmi di privatizzazione al processo di riduzione del debito.
Soprattutto, a differenza degli anni novanta, la spesa per interessi è destinata piuttosto a
crescere che a diminuire perché prevale una prospettiva di aumento dei tassi di interesse
su scala internazionale.
Risanamento dei conti pubblici significa determinare un aumento del saldo
primario, che nel giro di pochi anni va riportato ai migliori livelli degli anni ’90. Solo
così potrà costantemente ridursi il peso del debito pubblico. Ragioni di equità e di
efficienza richiedono che al ricostituirsi di un consistente avanzo primario
contribuiscano in primo luogo due indirizzi: un regime di tassazione più equo e ripulito
dai mali dell’evasione e della elusione, una decisa riduzione delle inefficienze
dell’apparato delle amministrazioni pubbliche, centrali e locali con conseguenti
economie di spesa pubblica. Il perseguimento dei due indirizzi può e deve fornire un
contributo di rilievo al riequilibrio dei conti pubblici. In questo senso già si è orientata
la manovra correttiva.
Ma sarebbe illusorio pensare che da soli essi possano correggere gli andamenti
di fondo della finanza pubblica. La dimensione dello squilibrio rende indispensabile
intervenire anche su tendenze strutturali della spesa pubblica che sono sempre meno
favorevoli. Tra il 1990 e il 1996, la spesa pubblica primaria in termini reali aumentò a
un tasso medio annuo dello 0,3 per cento, il PIL dell’1,1 per cento (cfr. Fig. IV.4) e
diminuì quindi l’incidenza sul reddito della spesa primaria. Tra il 1997 e il 2000, la
dinamica della spesa primaria raggiunse il 2,1 per cento (in linea con la crescita del PIL)
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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116
sicché si stabilizzò il rapporto fra spesa e PIL. Tra il 2000 e il 2005, la spesa primaria ha
continuato ad aumentare allo stesso tasso che nel quadriennio precedente, mentre la
crescita del PIL si é collocata allo 0,6 per cento; crebbe così il rapporto fra spesa
primaria e PIL.
Figura IV.4 – Tassi di crescita di spesa e reddito
0
0.5
1
1.5
2
2.5
1990-96 1997-00 2000-05
Tassi di crescita di spesa e reddito
spesa primaria PIL
spesa
primaria
PIL
Agli interventi, essenziali, per il rilancio della crescita e della produttività, vanno
dunque associate misure strutturali dirette a piegare la dinamica della spesa pubblica.
Per far ciò è indispensabile non solo operare sul fronte delle entrate, ma anche
intervenire sui grandi comparti da cui scaturisce la parte predominante delle spesa
pubblica: l’apparato delle amministrazioni pubbliche e conseguentemente il pubblico
impiego; il sistema pensionistico, pubblico e complementare; il servizio sanitario
nazionale; la finanza degli enti decentrati.
Pensare che il riequilibrio dei conti pubblici possa essere compiuto senza
intervenire sui comparti essenziali che ne costituiscono l’impianto fondamentale
sarebbe del tutto illusorio. Ma sarebbe anche un grave errore pensare – o far credere –
che intervenire sull’impianto delle funzioni essenziali del sistema pubblico significhi
impoverirne la funzione di solidarietà, di promozione della crescita, di fornitura ai
cittadini di beni pubblici essenziali quali la giustizia, la sicurezza e l’istruzione. È vero
il contrario: solo nel contesto di una finanza pubblica risanata lo Stato e i poteri pubblici
locali possono assicurare appieno la loro funzione economica e sociale. Ciò è tanto più
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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117
vero in quanto quei quattro settori presentano squilibri intrinseci, inefficienze,
duplicazioni, arretratezze che di per sé richiedono interventi correttivi e offrono ampi
spazi per compierli. Se anche non dovessimo ridurre il deficit e alleggerire il peso del
debito, dovremmo ugualmente por mano a un intervento su quei comparti per ridurre la
pressione fiscale e per liberare risorse da destinare allo sviluppo di infrastrutture e
servizi pubblici, alla creazione di nuove opportunità per i giovani, alla promozione della
crescita e dell’equità.
Il seguito di questo paragrafo costituisce una argomentazione più analitica,
comparto per comparto, della necessità, della possibilità e della direzione
dell’intervento correttivo. Non costituisce un piano dettagliato, di cui ancora non si
dispone. Per ognuno dei quattro comparti sono infatti in corso studi e consultazioni,
nell’ambito del Governo e in collaborazione con rappresentanti degli enti territoriali e
delle parti sociali, volte a individuare le forme di intervento più appropriate. Il lavoro di
preparazione proseguirà dopo la presentazione del Documento di Programmazione
Economico-Finanziaria e si concluderà in settembre con la presentazione della
Relazione Previsionale e Programmatica e della Legge finanziaria.
Politiche di bilancio responsabili e informate richiedono una più appropriata
struttura del bilancio, più efficaci controlli sui conti e completa trasparenza. Il governo
si farà portatore di un progetto riformatore, volto a rivisitare la struttura del bilancio,
rafforzare il monitoraggio sui conti in corso d’anno, garantire l’indipendenza
dell’Istituto di Statistica.
CONTROLLO, AFFIDABILITÀ E TRASPARENZA DEL SISTEMA DEI
CONTI PUBBLICI
1. Il sistema dei conti pubblici è l’espressione sintetica dell’insieme delle politiche
pubbliche, in termini di autorizzazione a spendere e a prelevare tributi. Anche la
decisione di bilancio, che pur riguarda l’attività dello Stato, coglie le scelte allocative
dell’intera azione pubblica attraverso la definizione delle relazioni finanziarie con gli
altri soggetti appartenenti al sistema delle pubbliche amministrazioni. La ricostruzione
del quadro aggregato e l’articolazione degli obiettivi per sottosettori è importante sia
per allocare le risorse pubbliche in modo efficiente, sia per verificare la coerenza della
decisione annuale rispetto agli obiettivi. Oggi il sistema dei conti pubblici soffre di
inconvenienti sotto tre profili:
Trasparenza allocativa. L’attuale forma-bilancio non è significativa quanto al
grado di decisione-comprensione delle politiche adottate annualmente con la manovra
finanziaria. Ciò dipende in primo luogo dal fatto che la struttura contabile del bilancio
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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118
dello Stato, al pari della documentazione sottostante, riflette criteri di gestione
amministrativa piuttosto che di politica economica.
Delimitazione delle responsabilità. L’attuale struttura documentale del bilancio
non consente di individuare la responsabilità nelle decisioni e nei comportamenti dei
vari soggetti che fanno parte delle Amministrazioni pubbliche. Anche se la decisione
annuale in Parlamento riguarda solo il bilancio dello Stato, la ricostruzione del quadro
aggregato delle politiche pubbliche e la disarticolazione degli obiettivi per sottosettori
resta decisiva sia per una migliore allocazione delle risorse, sia per la verifica di
coerenza delle decisioni annuali rispetto agli obiettivi aggregati. La difficile
delimitazione degli ambiti di responsabilità investe anche i flussi finanziari che
intercorrono tra Stato ed altri enti, non ancora perfettamente raccordabili in relazione
all’utilizzo di diversi sistemi contabili. Ciò rende obiettivamente difficile il
consolidamento dei conti pubblici.
Trasposizione delle transazioni in termini di SEC 95. La struttura del bilancio
non consente una trasposizione immediata delle transazioni in termini di SEC95. Ciò
deriva da tre circostanze: manca una classificazione economica omogeneamente
applicata; i percorsi di spesa (o di entrata) non sono tracciati in modo da individuare il
momento in cui si registra l’effetto finale sul sistema economico; è carente la
classificazione delle operazioni in termini economici (operazioni finanziarie, garanzie
dello Stato, etc.).
2. Alla luce di tali considerazioni, il Ministro dell’Economia e delle Finanze
promuoverà una revisione del processo di bilancio, che tenga conto delle più recenti
esperienze straniere. Essa potrebbe articolarsi nei passi seguenti:
• riesame e modifica della struttura classificatoria del bilancio dello Stato, al fine
di conseguire una migliore comprensione delle politiche sottese alla presentazione
contabile delle autorizzazioni di spesa;
• messa a fuoco delle responsabilità per le politiche di settore (nesso tra funzioni
e strutture amministrative responsabili), istituendo un raccordo chiaro tra gli aggregati
normalmente utilizzati nei documenti di finanza pubblica e i sottosettori di contabilità
nazionale (amministrazioni centrali, locali, enti di previdenza);
• accentuazione della possibilità di gestire in modo flessibile le poste di bilancio ,
da esercitarsi con riferimento al raggiungimento ottimale di specifici obiettivi
autorizzati dal Parlamento;
• trasposizione delle transazioni in termini di SEC 95 da realizzare attraverso un
raccordo chiaro e condiviso tra i dati di cassa e quelli di contabilità nazionale, nonché
del raccordo tra flussi e stock;
• istituzione di incisivi strumenti di conoscenza e controllo in corso d’anno, basati
su verifiche per comparti e per settori, periodicamente rese pubbliche e discusse con i
soggetti interessati. Prioritario in tal senso sarà il completamento del Sistema
informativo delle Operazioni degli Enti Pubblici (SIOPE), sia con l’estensione
operativa a tutti i soggetti coinvolti, sia attraverso una completa accessibilità, secondo
modalità da definire, anche ad altri soggetti pubblici quali il Parlamento e la Corte dei
Conti.
• potenziamento (nei metodi e nelle risorse umane) delle analisi svolte dal
Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato in sede di verifica tecnica delle
relazioni trasmesse dalle amministrazioni di settore sulla quantificazione degli elementi
di spesa (certi o possibili) recati dai testi normativi.
3. Il disegno qui delineato sarà accompagnato dalla promozione di modifiche
istituzionali concernenti i soggetti che partecipano alle decisioni di finanza pubblica, al
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119
fine di garantire la sostenibilità del cambiamento. L’azione mirerà a sviluppare
istituzioni atte promuovere maggiore responsabilità nelle decisioni e maggiore
controllo degli andamenti dei conti pubblici. Tali istituzioni dovranno essere autorevoli,
trasparenti nella metodologia e contendibili nelle informazioni.
4. A tale scopo, il Governo interverrà sulle caratteristiche istitutive della
Commissione di garanzia sull’informazione statistica, affinché essa provveda al
monitoraggio dei dati del SISTAN, garantendone l’affidabilità e la trasparenza nei
confronti di chi assume le decisioni di finanza pubblica. La Commissione di garanzia
risponderà al Parlamento e sarà dotata di adeguati strumenti informativi e operativi
per esercitare efficacemente il proprio ruolo. L’ISTAT sarà reso autonomo rispetto
all’Esecutivo e indipendente. In aggiunta, il Governo procederà ad una rivisitazione dei
compiti della Alta Commissione sul federalismo, al fine di valutarne la trasformazione
in organismo tecnico di coordinamento e monitoraggio delle relazioni finanziarie tra
livelli di governo e il Patto di stabilità interno.
5. Il Governo, infine, vedrebbe con favore il potenziamento delle strutture
tecniche che in ambito parlamentare verificano gli andamenti di finanza pubblica,
potenziamento che assumerà le forme organizzative che le Camere, nella loro
autonomia, valuteranno come le più efficaci. In questa prospettiva, il Governo intende
assicurare ogni possibile collaborazione, finalizzata alla massima diffusione e
accessibilità delle informazioni e dei dati conoscitivi.
Funzioni dello Stato e loro organizzazione
La spesa pubblica destinata all’esercizio delle funzioni fondamentali dello Stato
costituisce parte preponderante della spesa pubblica totale. Ma concepire un suo
contenimento in termini di tetti o di riduzioni di costo del personale significa non
cogliere il vero spazio che si offre alla politica di risanamento dei conti pubblici. Solo
partendo dalle funzioni della Stato e concependone una architettura moderna,
pienamente padrona delle nuove tecnologie, svincolata da schemi organizzativi oggi
non più necessari è possibile alleggerire, con un unico processo, la struttura, il costo, il
peso per il cittadino, delle pubbliche amministrazioni. Il contenimento della spesa deve
divenire la risultante di una riforma del modo di esercizio delle funzioni – grandi e
piccole – dell’apparato dello Stato.
Un progetto di riorganizzazione delle funzioni e degli apparati amministrativi
pubblici può costituire il mezzo per migliorare l’esercizio delle funzioni, avvicinare lo
Stato ai cittadini e alle imprese e per realizzare importanti economie di risorse. Un
progetto in tal senso deve essere concepito assumendo come elemento centrale
l’attuazione dell’articolo 118 della Costituzione. Tale assunzione significa riprendere il
filo del trasferimento ordinato di funzioni amministrative ai Comuni, nonché alle
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Provincie, alle Città metropolitane e alle regioni, sulla base dei principi di sussidiarietà,
differenziazione ed adeguatezza.
Una pubblica amministrazione efficace, snella ed efficiente nella sua struttura
organizzativa é amica del cittadino e dell’impresa e si pone come fattore chiave dello
sviluppo e della competitività del Paese. Nel mondo delle nuove tecnologie e della
concorrenza internazionale le amministrazioni pubbliche vanno trasformate perché
possano svolgere al meglio i propri compiti e ritrovare l’orgoglio della propria funzione;
ne risulteranno anche un minor costo dei servizi resi e un contenimento della pubblica
spesa. La valorizzazione delle risorse umane attraverso interventi tesi alla formazione e,
nell’ambito dei rinnovi contrattuali, a nuove e più efficaci forme di riconoscimento del
merito) e la riorganizzazione dei processi produttivi (ampliando la mobilità e sfruttando
gli investimenti sinora compiuti nella direzione della modernizzazione tecnologica)
sono gli elementi portanti di una strategia volta a rendere più moderno e più efficace il
settore pubblico.
I problemi della giustizia in Italia, ad esempio, sono in larga misura legati alla
soluzione di nessi organizzativi e gestionali. L’utilizzo efficiente delle risorse é la
chiave di volta di un processo che va svolto sia attraverso la revisione degli assetti
organizzativi degli apparati centrali e periferici del Ministero ed il coordinamento delle
sedi giudiziarie sia attraverso intese e accordi con gli enti territoriali e con le Regioni,
che valorizzino la sinergia tra risorse statali e risorse espresse dal territorio.
Una riorganizzazione del modo di svolgere le funzioni dello Stato può essere
facilitata dal fatto che nei prossimi anni, cresceranno in maniera significativa i flussi di
cessazione del personale per andata in pensione. E’ essenziale che tale fenomeno venga
gestito accortamente per consentire contestualmente una profonda riorganizzazione dei
processi, un contenimento della spesa complessiva, un ingresso di nuove professionalità
nella pubblica amministrazione, una ripresa dei concorsi pubblici. Si attingerà sia
all’esterno del settore pubblico sia a giovani da tempo operanti nelle amministrazioni
ma ancora privi di un posto di ruolo. In questo contesto sarà possibile e necessario
contenere il ricorso alle consulenze e alle collaborazioni, valutandone con adeguati
meccanismi l’efficacia e il costo.
E’ dunque in un contesto di condivisione delle scelte e delle modalità di
intervento, che verrà affrontato il problema dell’assetto complessivo della pubblica
amministrazione. Nell’ambito di ciascuna istituzione, si dovranno individuare quelle
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121
microfunzioni non essenziali che troppo spesso si traducono soltanto in un incremento
dei costi. Tale disegno renderà possibile l’accorpamento, la razionalizzazione e la
conseguente eliminazione di quegli organismi, enti e strutture che costituiscono, di
fatto, una duplicazione di attività già esistenti o lo svolgimento di attività non più
necessarie. Tutti i processi di trasferimento di funzioni fra istituzioni pubbliche, o verso
il settore privato, o fra centro e periferia dovranno avvenire in un contesto di piena e
certa sostenibilità economica. Con una prima immediata iniziativa il personale verrà
prevalentemente riallocato alle funzioni essenziali, mentre verrà mantenuta una quota
minima di addetti nei servizi di back office.
Sotto il profilo retributivo, per favorire il pieno instaurarsi della fase di sviluppo,
in un contesto idoneo a consentire un ordinato svolgimento dei rinnovi contrattuali,
appare comunque necessario rafforzare lo sforzo della moderazione salariale,
nell’ambito della quale si dovranno individuare meccanismi premianti collegati a
strumenti di valutazione e controllo di gestione ormai affinati da anni di
sperimentazione. Il ricorso a questi strumenti potrà anche consentire la costruzione di
percorsi di carriera che diano al personale della pubblica amministrazione un quadro di
certezze e di adeguati incentivi.
Sistema pensionistico
Per effetto delle importanti riforme introdotte nelle precedenti legislature, la
spesa pensionistica ha registrato una dinamica relativamente più contenuta rispetto a
quello di altre voci di spesa. Il tasso di crescita medio annuo è diminuito dal 2,1 per
cento tra il 1997 e il 2000 all’1,4 per cento nell’ultimo quinquennio. E’ ancora
aumentata l’incidenza anche di tale voce sul PIL. Inoltre, gli andamenti demografici
fanno prevedere, a parità di legislazione, un ulteriore anche se relativamente contenuto
incremento del rapporto fra la spesa pensionistica e il prodotto interno lordo.
Gli andamenti della spesa pensionistica stimati sulla base del quadro
macroeconomico tendenziale prevedono nel periodo 2006-2011 un rallentamento della
dinamica a partire dal 2009 dovuto al progressivo operare della riforma del 20042 (tav.
2 Gli effetti in termini di minori erogazioni di buonuscita dei dipendenti pubblici si registrano anche nella
dinamica delle altre prestazioni sociali in denaro.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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122
IV.2). Nonostante ciò, la spesa in rapporto al PIL continuerà a crescere nel medio lungo
periodo per effetto dell’invecchiamento demografico, fino a raggiungere il suo punto di
massimo nell’intervallo 2035-2040 con un incremento rispetto al livello del 2005 di
circa 1,2 punti percentuali. È vero che tale incremento è basso nel confronto europeo3;
ma il livello del rapporto è tra i più alti in Europa, collocandosi nel 2004 al 14,2 per
cento contro il 10,6 della media europea.
L’unico modo di raggiungere la condizione di equilibrio senza ridurre le
prestazioni, è l’allargamento della popolazione attiva, anche attraverso l’emersione
contributiva e l’aumento dei tassi di occupazione in particolare tra le donne e le fasce
più anziane, che tenga conto del fatto che il miglioramento della salute umana e
l’allungamento della vita media permettono di restare attivi ben oltre l’età attuale
dell’andata in pensione.
Il superamento della discontinuità (il cosiddetto ‘scalone’) della riforma
pensionistica del 2004 comporterà in ogni caso la necessità di reperire i mezzi necessari
alla copertura.
Tavola IV.2 – Spesa per pensioni, Amministrazioni pubbliche
(valori assoluti in mln di euro)
Consuntivo
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
Pensioni (*) 198.872 207.440 215.910 224.960 231.250 238.350 246.250
(tasso di variazione in %) 4,3% 4,1% 4,2% 2,8% 3,1% 3,3%
(rapporto al PIL) 14,0% 14,1% 14,3% 14,4% 14,3% 14,3% 14,3%
Previsioni
(*) La spesa per pensioni è inglobata nel complessivo aggregato della spesa per prestazioni sociali in
danaro.
Il principio di equità attuariale, introdotto nel sistema pensionistico dalla riforma
Dini sarà difeso e rafforzato. La riduzione del cuneo fiscale sarà finanziata in modo tale
da non attingere ai contributi previdenziali. La revisione dei coefficienti di
trasformazione, che non comporta una diminuzione del montante contributivo
3 Per l’Italia l’incremento 2004-2030 è di 0,8 punti percentuali contro 1,4 della UE15 e 1,3 della UE25;
l’incremento 2004-2050 per l’Italia è di 0,4 punti percentuali contro i 2,2 della UE15 e i 2,1 della UE25.
Rispetto al recente rapporto EPC-WGA i livelli del rapporto spesa/PIL indicate nel presente documento
scontano la revisione del PIL effettuata dall’ISTAT con la Notifica di Contabilità Nazionale del 1° marzo
2006.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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123
individuale, contribuirà a preservare la stabilità finanziaria del sistema e quella della
finanza pubblica nel suo complesso (cfr. Riquadro).
Le linee di un intervento volto a raggiungere il pieno equilibrio del sistema
pensionistico saranno studiate, discusse e definite in vista della prossima legge
finanziaria. La concertazione con le categorie sociali aiuterà il governo a individuare gli
interventi piú appropriati per conseguire gli obiettivi imposti dallo stato dei conti
pubblici.
TENDENZE DI MEDIO-LUNGO PERIODO DEL SISTEMA PENSIONISTICO
ITALIANO
In attuazione di quanto previsto dall’articolo 1, comma 5 della legge n. 335 del
1995, di seguito si illustra l’andamento di medio-lungo periodo della spesa
pensionistica in rapporto al PIL.
La previsione recepisce le ipotesi di fecondità, mortalità e flussi migratori
sottostanti lo scenario centrale elaborato dall’Istat con base 2005. Per quanto riguarda
lo scenario macroeconomico, la produttività per occupato si attesta attorno all’1,7 per
cento medio annuo (1,8 per cento a partire dal 2026 e gradualmente crescente verso
tale valore negli anni precedenti) mentre le ipotesi relative al mercato del lavoro
implicano una dinamica del tasso di occupazione che passa, nella fascia di età 15-64,
dal 57,5 del 2005 al 67,8 del 2050. La dinamica endogena del PIL conseguente alle
ipotesi macroeconomiche e demografiche adottate, si attesta attorno all’1,4-1,5 per
cento medio annuo nell’intero periodo di previsione. I valori iniziali del PIL scontano
la revisione effettuata dall’Istat con la Notifica di Contabilità Nazionale del 1° marzo
2006 e, per il periodo 2007-2011, la previsione adotta le ipotesi macroeconomiche
dello scenario tendenziale definito nel DPEF.
Dopo una lieve decrescita nel periodo 2008-2015 per effetto dei provvedimenti
normativi di elevamento dei requisiti minimi previsti dalla legge n. 243/2004, il
rapporto spesa/PIL riprende a crescere a causa del deterioramento del quadro
demografico, i cui effetti sono in parte limitati anche dall’innalzamento dei requisiti di
accesso al pensionamento disposti dalla predetta legge anche nel regime misto e
contributivo. La curva raggiunge il valore massimo di circa 15,2 per cento attorno al
2038 e si attesta al 13,8 per cento nel 2050, dopo una fase di decrescita. Il
miglioramento del rapporto nella parte finale del periodo di previsione è dovuto
essenzialmente al passaggio dal sistema di calcolo misto a quello contributivo e al peso
decrescente delle generazioni del baby boom.
In assenza della revisione decennale dei coefficienti di trasformazione, il rapporto
risulterebbe sostanzialmente immutato fino al 2015, più elevato di circa 1,5 per cento
nel punto di massimo e di poco meno del 2 per cento alla fine del periodo di previsione.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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124
PREVIDENZA COMPLEMENTARE
Il Governo si impegna ad assumere ogni iniziativa utile al rilancio della
previdenza complementare nei settori privati e pubblici.
L’emanazione delle direttive generali da parte della Covip consente a tutti i
soggetti interessati – parti sociali, istituzioni, enti ed operatori di mercato – di
procedere agli adeguamenti necessari per il pieno decollo della previdenza
complementare e il conseguente conferimento del TFR alle forme pensionistiche del
secondo pilastro.
Il Governo conferma l’impianto generale derivante dalla legislazione che, a
partire dalle riforme previdenziali degli anni ’90, ha disciplinato il settore e si riserva
comunque di valutare, previa consultazione delle parti sociali e degli operatori,
l’opportunità di introdurre perfezionamenti alla normativa di cui al decreto legislativo
n. 252/05, utili a massimizzare i meccanismi di incentivazione delle adesioni in un
quadro di trasparenza, di stabilità e di efficienza di tutte le forme pensionistiche.
Il Governo ha dovuto prendere atto dell’incompletezza del quadro regolatorio del
Fondo di garanzia per l’accesso al credito delle imprese che conferiscono il TFR (di
cui all’art. 10 del decreto legislativo n. 252/05) ed è impegnato alla rapida risoluzione
delle questioni emerse.
Per quanto riguarda la previdenza complementare dei dipendenti della pubblica
amministrazione, il Governo è impegnato a rimuovere gli specifici ostacoli che hanno
finora tardato la costituzione dei fondi pensione in comparti, come quello dei Ministeri
e degli Enti pubblici non economici, nonché quello delle regioni, Enti locali e sanità,
Spesa pubblica per pensioni in % PIL(1)
(1) Diversamente da quanto pubblicato nel rapporto RGS n° 7 del dicembre 2005, i livelli del rapporto
spesa/PIL scontano la revisione del PIL effettuata dall’ISTAT con la Notifica di Contabilità Nazionale del
1° marzo 2006. Lo scenario macroeconomico recepisce le ipotesi del quadro Tendenziale del DPEF 2007-
2011
11,0%
12,0%
13,0%
14,0%
15,0%
16,0%
17,0%
18,0%
2000 2005 2010 2015 2020 2025 2030 2035 2040 2045 2050
Normativa vigente - scenario tendenziale per il periodo 2006-2011
Figura 1 – Spesa pubblica per pensioni
(in percentuale del PIL)
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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125
che hanno già sottoscritto o sono in condizione di sottoscrivere in tempi brevi le fonti
istitutive.
Il Governo, infine, è impegnato ad emanare la normativa secondaria riguardante
l’istituzione della Forma pensionistica residuale presso l’INPS (di cui all’articolo 9 del
decreto legislativo n. 252/05), nonché il decreto interministeriale relativo alle forme
pensionistiche preesistenti.
Sistema sanitario nazionale
Tra il 2000 e il 2005 la spesa sanitaria delle Amministrazioni Pubbliche è
cresciuta in termini reali a un tasso medio annuo di circa il 4 per cento. L’incidenza sul
PIL è aumentata dal 5,7 per cento al 6,7 per cento. Hanno concorso a tali andamenti la
spesa per dipendenti, gli acquisti di beni e servizi e la spesa per prestazioni acquistate
direttamente sul mercato.
La dinamica della spesa sanitaria è determinata da due fattori di fondo:
l’invecchiamento della popolazione e il progresso della medicina, che genera migliori
cure ma anche un continuo aumento dei costi. Il sistema sanitario italiano si colloca in
una posizione di assoluto rispetto nelle graduatorie internazionali circa la tutela della
salute della popolazione e la qualità complessiva delle prestazioni. Ciò nonostante esso
presenta seri elementi di criticità: l’inappropriatezza di alcune prestazioni, come
l’utilizzo improprio dei ricoveri ospedalieri e dei pronto soccorso dovuto
all’organizzazione ancora prevalentemente burocratica della medicina di base e alla
carenza di servizi di assistenza domiciliare integrata; le lunghe liste di attesa;
l’esorbitante livello di spesa farmaceutica per abitante di alcune Regioni; l’insufficiente
qualità dei servizi sanitari in alcune Regioni, che ne spinge i cittadini a rivolgersi alle
strutture di altre Regioni per usufruire di cure adeguate. Proprio la distribuzione dei
disavanzi fra le diverse Regioni mostra che vi sono margini di miglioramento
nell’efficienza e nell’appropriatezza dell’erogazione delle prestazioni sanitarie.
È dunque possibile mantenere e all’occorrenza rafforzare i livelli di assistenza
sanitaria e allo stesso tempo ricondurre la dinamica di tale voce di spesa nell’ambito dei
vincoli della finanza pubblica. Anzi, proprio la massimizzazione dell’efficienza
nell’utilizzo delle risorse è condizione essenziale affinché la sanità possa svolgere
pienamente il suo ruolo sociale ed economico – la spesa sanitaria è una forma essenziale
di investimento nel capitale umano.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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126
In giugno il Governo ha avviato, insieme con le Regioni, l’elaborazione di un
Nuovo Patto per il sistema sanitario. Nelle sue linee generali esso si configura nei
termini seguenti:
• Certezza delle risorse: il Governo si impegna a definire le risorse
destinate al Servizio sanitario su un arco pluriennale – inizialmente per il triennio 2007-
2009 – in modo da rendere possibile alle Regioni una programmazione di medio
periodo delle azioni necessarie a correggere le inappropriatezze e a riassorbire le
inefficienze che minano il controllo della spesa e l’efficacia dei servizi ai cittadini;
• Autonomia e inderogabile responsabilità delle regioni: le regioni
opereranno in un regime di piena autonomia e inderogabile responsabilità di bilancio: se
una Regione ottiene economie maggiori di quelle programmate, potrà utilizzare a sua
discrezione le risorse così liberate, a condizione che i Livelli essenziali di assistenza
(LEA) siano comunque garantiti; se non ottiene i guadagni di efficienza programmati
dovrà finanziare le spese eccedenti con risorse proprie, anche mediante la conferma
degli strumenti di automatismo fiscale;
• Rientro entro il 2009: per le Regioni che presentano forti disavanzi viene
stanziato, per gli esercizi dal 2007 al 2009, un fondo straordinario, di dimensione
decrescente nel tempo, che, insieme con misure rafforzate di affiancamento,
accompagna la manovra delle entrate proprie regionali con un finanziamento,
strettamente condizionato, che sostenga un percorso di rientro in grado di portare entro
il 2009, grazie soprattutto a una più efficiente gestione, all’azzeramento di tali
disavanzi.
L’ammontare di risorse complessivamente messe a disposizione del Servizio
Sanitario Nazionale per il triennio 2007-2009 dovrà essere tale che anche il settore
sanitario contribuisca a ridurre la spesa tendenziale rispetto al PIL. E’ convinzione del
governo che questa esigenza sia compatibile con il mantenimento dei livelli essenziali
di assistenza sanitaria (LEA). Si interromperà così la spirale di aumento della spesa
registrata in questi anni, garantendo peraltro al sistema le risorse necessarie a un suo più
adeguato funzionamento. Il fine di migliorare l’appropriatezza delle prestazioni e
garantire sia la loro universalità sia l’esigenza che esse siano fruite dalle persone in
effettiva necessità suggerisce di non escludere forme di compartecipazione alla spesa da
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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127
parte dei cittadini anche nelle Regioni che non hanno ancora adottato forme di
responsabilizzazione individuale nei consumi sanitari.
Verrà rafforzato il sistema di monitoraggio circa l’erogazione effettiva dei LEA
e le azioni per il miglioramento della qualità dei servizi e la riduzione dei loro costi. A
questo scopo, verrà proseguita l’azione diretta ad assicurare principi contabili omogenei
a livello nazionale. Verrà potenziato l’insieme di indicatori concordato con le Regioni
per sorvegliare la realizzazione degli indirizzi programmatori circa l’uso delle risorse, la
qualità dell’output e la capacità organizzativa. Il livello centrale (sia ministeriale che del
coordinamento interregionale) svolgerà così non solo una funzione di verifica ma anche
di supporto, servizio ed affiancamento per le Regioni.
Entro il finanziamento definito dal Nuovo Patto, occorrerà liberare risorse per
sostenere l’attività di ricerca e innovazione e attivare strumenti per il sostegno degli
investimenti da parte delle strutture sanitarie nel campo delle nuove tecnologie. Con
riferimento al riequilibrio della dotazione di apparecchiature nelle Regioni che
presentano più gravi carenze, si potrà prevedere la rifinalizzazione, per le somme non
utilizzate, del Fondo nazionale per il co-finanziamento degli investimenti in materia di
ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario
pubblico di cui all’art. 20 della legge n. 67/1988.
Il miglioramento delle prestazioni richiede un significativo rafforzamento
dell’attività di prevenzione, la riorganizzazione e il potenziamento della medicina di
base, lo sviluppo dell’integrazione socio-sanitaria.
Per la medicina di base, si pongono almeno due problemi urgenti: mettere in rete
i medici di base utilizzando la rete informativa in via di realizzazione mediante l’uso
della tessera sanitaria, in modo da riportare sotto controllo la spesa farmaceutica;
riorganizzare la medicina di base in studi medici associati, da dotare di attrezzature
diagnostiche e a cui affidare una intensa azione di assistenza domiciliare, notturna e
festiva, che consenta di decongestionare i pronto soccorso e diminuire il numero dei
ricoveri impropri.
Sempre rimanendo nei limiti del finanziamento sopra indicato sarà prioritario a
giudizio del Governo sviluppare l’integrazione socio-sanitaria, a partire dall’assistenza
ai non autosufficienti per la quale occorre incentivare l’assistenza domiciliare integrata,
che costituisce una forma di servizio più appropriata alle esigenze del cittadino nonDOCUMENTO
DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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128
autosufficiente rispetto all’istituzionalizzazione in strutture residenziali, con
l’importante corollario di una spesa per assistito notevolmente inferiore.
L’assistenza domiciliare è un settore che ha visto in questi anni emergere e
diffondersi esperienze importanti di partenariato pubblico/privato. Esse andranno
valorizzate con l’istituzione di un Fondo nazionale per la non autosufficienza in cui far
confluire tutte le risorse già oggi impegnate nel settore, nel rispetto dei vincoli di
finanza pubblica. Il Fondo procederà al co-finanziamento degli interventi e le risorse a
sua disposizione potranno gradualmente incrementarsi via via che le migliori pratiche
andranno diffondendosi.
Governi locali e federalismo fiscale
Tra il 2000 e il 2005, la spesa corrente primaria delle Amministrazioni locali é
aumentata in termini reali a un tasso medio annuo del 3,9 per cento. Per il complesso
delle amministrazioni pubbliche tale dato si colloca al 2,1 per cento Durante tale
periodo, il PIL é cresciuto a un tasso medio dello 0,6 per cento.
Contribuiscono alla dinamica della spesa corrente locale sia il trasferimento di
funzioni verso gli enti decentrati sia un andamento troppo sostenuto della spesa a parità
di funzioni.
I governi locali svolgono compiti essenziali in campo economico e sociale. Il
tessuto infrastrutturale di una grande area metropolitana costituisce un luogo di
attrazione di flussi importanti di investimenti e servizi. Il 65,4 per cento della spesa in
conto capitale è effettuato a livello locale. Il sistema sanitario è gestito a livello
regionale. Una quota predominante della spesa ambientale e della spesa sociale non
pensionistica (protezione sociale, edilizia sovvenzionata) è erogata a livello locale. Una
forma compiuta di federalismo fiscale è divenuta condizione per il realizzarsi due
esigenze di primaria importanza: che i governi locali possano svolgere appieno le loro
funzioni; che il sistema dei conti pubblici sia in equilibrio.
Per consentire all’insieme delle pubbliche amministrazioni di contribuire al
conseguimento degli obiettivi stabiliti in sede europea, la legge finanziaria n. 448/1998
istituì il Patto di Stabilità Interno. Nella sua formulazione originaria, il Patto stabiliva
che le regioni e gli enti locali concorressero alla riduzione dell’indebitamento netto
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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della P.A. attraverso un miglioramento dei propri conti pari ad almeno lo 0,1 per cento
del PIL. Negli anni successivi il Patto di Stabilità Interno ha subito diverse e continue
modifiche, privando gli amministratori locali di un quadro di riferimento stabile e
rendendo quanto mai difficile una gestione oculata, anche nel medio periodo, dei bilanci
degli enti locali.
Dare una forma compiuta al federalismo fiscale italiano significa definire un
nuovo quadro di riferimento con caratteristiche di stabilità, coerenza, conformità ai
parametri europei e rispetto dell’autonomia gestionale degli enti locali. E’ essenziale
che la nuova architettura del Patto di Stabilità Interno abbia caratteristiche che
rimangono invariate nel tempo, anche se le sue grandezze finanziarie saranno
necessariamente soggette a decisioni da prendere in sede di manovra annuale di
bilancio. In tale contesto, appare corretto abbandonare il metodo dei tetti su specifiche
categorie di spese e introdurre vincoli per il saldo di bilancio e la dinamica del debito, in
un quadro di piena attuazione del binomio autonomia-responsabilità.
La crescita del debito delle Amministrazioni locali dovrà essere ricondotta entro
dimensioni compatibili con gli obiettivi nazionali e le regole europee. Nel complesso,
l’intensità del processo di rientro verrebbe a dipendere dagli obiettivi di risanamento
finanziario a livello nazionale, discussi con il sistema delle Autonomie. Un ruolo
positivo potrà essere assegnato, e adeguatamente riconosciuto, alle operazioni di
dismissione.
Andranno poi costruiti percorsi di rientro dal disavanzo praticabili da ciascuna
Amministrazione. In una prima ipotesi, gli obiettivi potrebbero essere fissati in termini
di saldo di bilancio medio pro-capite modulati per classi di popolazione degli enti locali.
Per mitigare gli inconvenienti derivanti dalla volatilità dei dati di cassa si
valuterà anche l’ipotesi di far riferimento alla media triennale dei saldi piuttosto che al
dato annuale e consentire accordi compensativi fra gruppi di enti, in particolare a
salvaguardia delle spese di investimento. A tal fine potrebbero anche essere previsti
specifici meccanismi incentivanti tali per cui il Patto si verrebbe a configurare anche
come patto per la crescita. Per le Regioni, le voci relative alla sanità rimarrebbero
escluse e trattate con specifici strumenti.
Un Patto credibile ed efficace dovrà prevedere un adeguato monitoraggio ed
efficaci meccanismi sanzionatori, due funzioni che, senza precludere la partecipazione,
a scopo informativo delle autonomie locali, sono tipicamente riservate alla competenza
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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130
dello Stato. In sintesi, il nuovo Patto di Stabilità Interno sarà disegnato in modo
coerente con il Patto di Stabilità e Crescita dell’Unione europea e conterrà disposizioni
cogenti coerenti con l’art 120 della Costituzione (“poteri sostitutivi”).
Parte essenziale del Patto, e condizione per parteciparvi, sarà l’istituzione di un
sistema informativo dei conti pubblici esteso alle amministrazioni locali. La piena
realizzazione di tale sistema può essere conseguita in tempi relativamente brevi
estendendo e completando lavori già avviati. Essa aiuterà il controllo della spesa,
faciliterà il coordinamento delle politiche di bilancio e permetterà di assicurare la
trasparenza dei conti e una migliore informazione del cittadino. Si tratta di un progetto
di primaria importanza, che richiede di armonizzare le regole di contabilità degli enti:
solo classificazioni e principi contabili uniformi possono infatti consentire una lettura
integrata dei bilanci, il loro consolidamento, il controllo effettivo della dinamica della
spesa. La redazione di stati patrimoniali completi secondo standard comuni sarà parte
del sistema. Nell’ottica della trasparenza, avranno accesso alla base informativa tutti i
soggetti del sistema istituzionale. Il SIOPE e suoi eventuali ampliamenti saranno il
fulcro di tale base informativa. Più in generale, va vista con favore l’istituzione di un
organismo di coordinamento e monitoraggio delle relazioni finanziarie fra tra livelli di
governo, anche in rapporto alla nuova fase di concreta attuazione dei meccanismi di
finanziamento previsti dall’art.119.
A un livello più generale, obiettivo del governo è di completare il federalismo
fiscale in un quadro di coerenza tra decentramento delle funzioni e responsabilità
finanziarie. A tal fine, occorrerà disegnare un percorso condiviso di definizione delle
risorse destinabili alla spesa per le prestazioni di responsabilità di Regioni ed Enti
Locali, alla luce del vincolo di bilancio dell’intero settore pubblico. In tal modo, le
Autonomie locali avranno, su un orizzonte pluriennale, la garanzia di un quadro stabile,
certo e coerente con gli equilibri di finanza pubblica. Per realizzare tale obiettivo, si
richiederà il rafforzamento delle sedi di confronto tra governo centrale e governi locali,
in modo che questi ultimi siano inseriti a pieno titolo nel processo di formazione della
politica di bilancio. L’assetto definitivo delle relazioni finanziarie tra livelli di governo
dovrà prevedere meccanismi di perequazione tali da consentire il finanziamento
integrale delle prestazioni essenziali per tutti i governi locali. Gli spazi di effettiva
autonomia tributaria a livello locale dovranno garantire margini di manovra sufficienti a
far fronte ad eventuali eccedenze di spesa per le prestazioni essenziali e a consentire,
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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esercitando un congruo sforzo fiscale aggiuntivo, il finanziamento di eventuali
prestazioni addizionali.
Spesa per beni e servizi
Un programma di contenimento della spesa pubblica per l’acquisto di beni e
servizi deve, per essere efficace, operare su tre piani: la programmazione dei fabbisogni
modellata sulle esigenze operative e sugli obiettivi prioritari e coerente al tempo stesso
con le disponibilità finanziarie; la presenza qualificata di centri di acquisto pubblici
capaci di orientare, in piena trasparenza, la competitività delle imprese al
soddisfacimento delle esigenze delle amministrazioni pubbliche; il sistema di controllo
dei consumi e delle prestazioni, indispensabile per conseguire effettivamente i risparmi
nelle pubbliche forniture che il solo abbattimento dei prezzi unitari non può garantire.
Il progetto di razionalizzazione lanciato con la finanziaria per il 2000 ha
affrontato specificamente il secondo profilo attraverso la creazione di una centrale
acquisti nazionale affidata alla Consip S.p.A.. Il progetto Consip, dopo una iniziale fase
di sviluppo, è entrato in crisi soprattutto a causa delle continue oscillazioni nella
conduzione politica, strategica ed operativa. In particolare si è assistito a continue
modifiche normative passando da compiti pervasivi e totalizzanti dell’unica centrale
pubblica con la conseguente estensione dei vincoli di obbligatorietà a funzioni
prevalenti di benchmark con adesioni quasi del tutto facoltative.
Il rilancio del programma passa necessariamente per la creazione di un “sistema
a rete” coordinato fra i diversi livelli di governo responsabili della spesa pubblica.
Occorrerà identificare con precisione il ruolo della centrale statale e valorizzare,
attraverso la creazione di centrali regionali di acquisto, una dimensione, quella regionale
appunto, in grado di interpretare al meglio le esigenze delle autonomie locali, governare
sul territorio le forniture per beni e servizi specie quelle sanitarie, valorizzare le
potenzialità delle imprese, soprattutto piccole e medie e ad elevata capacità innovativa,
e valorizzare le esigenze di tutela ambientale anche negli acquisti della Pubblica
amministrazione. In tale contesto la missione della Consip si sviluppa in più direzioni:
gestore della centrale per le P.A. dello stato con azioni mirate su settori di spesa
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specifica; facilitatore dello sviluppo delle centrali regionali in particolare con il
trasferimento di metodologie e know-how ed un osservatorio nazionale che consenta la
condivisione di migliori pratiche; promotore di tecnologie e procedure innovative di
public procurement, responsabile di progetti per la messa a fattor comune delle
piattaforme informatiche, specie con riferimento al mercato elettronico.
L’attività delle centrali pubbliche di acquisto è collegata necessariamente alla
programmazione dei fabbisogni ed al controllo dei consumi. La funzione di
programmazione non può che svilupparsi all’interno delle singole amministrazioni ed
assumere contenuti sempre più specialistici e qualificati abbandonando criteri basati sul
consolidamento della spesa storica. Al contrario, il controllo dei consumi deve rientrare
pienamente nei canoni di un efficace controllo di gestione affidato ad un organo con
specifiche capacità ispettive e di verifica oggettiva quale la Ragioneria Generale dello
Stato. Le funzioni e le metodologie della Ragioneria dovranno essere rinnovate proprio
a partire dal settore degli acquisti per beni e servizi, superando pienamente le logiche di
un controllo formale e burocratico.
Si tratta insomma di rivedere l’intero processo degli approvvigionamenti
pubblici in un’ottica che anticipa una profonda revisione del ciclo del bilancio,
sperimentando modalità più funzionali di programmazione, gestione e controllo delle
risorse statali e più in generale di governo della finanza pubblica.
Politica dell’entrata
La politica fiscale dell’esecutivo, come evidenziato dalle norme contenute nel
Decreto legge del 30 giugno 2006, è orientata a promuovere tre obbiettivi fondamentali,
strettamente correlati ed in forte sinergia tra loro: equità, sviluppo e semplificazione. Il
raggiungimento di tali obiettivi andrà di pari passo con la diminuzione della pressione
fiscale, nella misura e ai ritmi compatibili con l’aggiustamento della finanza pubblica.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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MISURE FISCALI NEL DL 30 GIUGNO 2006
La politica fiscale del Governo è orientata a raggiungere tre obiettivi
fondamentali, strettamente correlati ed in forte sinergia tra loro: equità, sviluppo e
semplificazione degli adempimenti per cittadini e imprese. I provvedimenti contenuti nel
Decreto legge del 30 giugno 2006 sono i primi passi mossi nella legislatura verso tali
obiettivi.
Un gruppo di interventi mira a migliorare l’equità del prelievo fiscale nel campo
delle cessioni immobiliari, dell’Iva e delle imposte dirette.
In particolare, con i più importanti, per quanto riguarda le cessioni immobiliari:
• si rende omogeneo il regime fiscale delle transazioni immobiliari (ad uso
abitativo e non). Tutte le cessioni di fabbricati, ad eccezione di quelle effettuate dai
costruttori, ma solo per fabbricati ultimati da meno di cinque anni, sono assoggettate
ad imposta di registro ed esentate dall’Iva. Il regime di esenzione Iva è esteso anche
alle locazioni di tutti i fabbricati;
• si prevede l’obbligo di inserire in ogni atto di compravendita il corrispettivo
effettivamente pattuito, nonché le modalità di pagamento dello stesso. Nell’atto dovrà
inoltre essere dichiarato l’ammontare del costo dell’intermediazione, le modalità di
pagamento e gli estremi identificativi degli intermediari;
• contestualmente sono estesi tutti i poteri di indagine esistenti, anche
all’accertamento dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale.
In ambito Iva e imposte dirette si segnalano come prioritari alcuni provvedimenti
individuati per assicurare la corretta gestione degli adempimenti e per contrastare
comportamenti elusivi diffusi, con parallelo rafforzamento dei poteri di riscossione,
accertamento e sanzione:
• è previsto l’obbligo dei versamenti Iva da parte delle imprese appaltanti, nel
settore dell’edilizia, per conto dei subappaltatori (reverse charge) e la responsabilità
solidale tra appaltatore e subappaltatore, per il versamento delle ritenute fiscali sui
redditi e dei contributi obbligatori dei dipendenti, cui è tenuto il subappaltatore;
• sono introdotte sanzioni penali anche in caso di omesso versamento dell’Iva,
attualmente non previste;
• vengono modificati gli indicatori che individuano le società non operative e ne
determinano l’imponibile. Alle società non operative viene inoltre impedita la
compensazione dei crediti Iva con debiti di altri tributi, nonché la loro cessione a terzi.
I crediti Iva potranno essere solo riportati in avanti, in assenza di operazioni attive, ma
per non più di tre anni;
• viene introdotto l’obbligo da parte degli esercenti arti e professioni di tenere
conti correnti dedicati ai quali dovranno affluire i compensi, percepiti esclusivamente
mediante canali bancari o postali;
• varie altre misure puntano a definire in modo più rigoroso le possibilità di
gestire i costi da parte delle imprese societarie ed individuali, con maggiore attenzione
rispetto alla qualità delle spese effettuate (come per il costo dei veicoli ad evidente
utilizzo privato). Modificati, tra l’altro, gli ammortamenti dei veicoli aziendali (per i
quali è escluso l’ammortamento anticipato), dei marchi (equiparati all’avviamento) e
del costo dei fabbricati strumentali (dai quali viene scorporato il valore del terreno sui
cui sono edificati;
• Sono inoltre riportati a tassazione ordinaria, perché considerati reddito da
lavoro dipendente, gli incrementi di valori delle azioni riconosciute ai manager delle
aziende (stock option).
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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134
Ulteriori misure di contrasto a comportamenti elusivi nel campo dell’imposizione
diretta concludono il blocco di provvedimenti con finalità equitative.
Altre norme operano una razionalizzazione nel settore del gioco, contro la
diffusione di forme illegali e irregolari e a favore di una maggiore tutela dei giocatori.
Ancora, è previsto l’aumento dal 10 per cento al 20 per cento dell’aliquota Iva, ma solo
su alcuni particolari prodotti.
Un forte incentivo agli investimenti in nuove tecnologie, allo sviluppo e alla
ricerca delle imprese viene da due interventi di particolare rilevanza: maggiore
deducibilità delle quote di ammortamento sul costo dei brevetti industriali, del know
how e dell’utilizzazione delle opere dell’ingegno ed il trattamento fiscale più favorevole
per le spese relative a studi e ricerche di sviluppo.
Infine, numerosi importanti interventi di semplificazione per gli obblighi dei
cittadini, delle imprese e per l’amministrazione finanziaria concludono lo stock dei
provvedimenti:
• sono esclusi dal regime Iva le persone fisiche con volume di affari non superiori
a 7.000 euro, con contestuale esenzione di numerosi adempimenti contabili e la
possibilità di essere oggetto di “tutoraggio” da parte degli uffici dell’Agenzia delle
entrate. Rimane comunque la possibilità di optare per il regime ordinario;
• è soppresso l’obbligo di presentazione della dichiarazione Ici ed è invece
prevista la liquidazione dell’imposta nei modelli Unico e 730, con possibilità di
effettuare compensazioni;
• viene dato un forte impulso all’utilizzo di procedure informatiche per la
semplificazione di numerosi adempimenti (da parte di tutti i soggetti che operano nel
settore del commercio al dettaglio, dalle banche e gli altri intermediari finanziari, dalle
assicurazioni, dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura).
Equità: il Governo intende ridistribuire il carico fiscale, innanzitutto, attraverso
una determinata, sistematica ed intelligente lotta all’evasione e all’elusione. Il carico
fiscale e quello tributario gravano principalmente sull’economia legale; al netto
dell’economia sommersa, la pressione tributaria raggiunge livelli estremamente elevati.
In secondo luogo, maggiore equità sarà promossa attraverso interventi su imposte
dirette, contributi sociali ed imposte indirette anche al fine di riequilibrare il loro
apporto al gettito complessivo. In tale ambito, il trattamento fiscale delle varie tipologie
di redditi sarà tendenzialmente uniformato, tenendo conto delle insopprimibili
specificità.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
135
Figura IV.5 – Pressione tributaria sull’economia nel suo complesso e al netto del sommerso
25
26
27
28
29
30
31
32
Pressione
tributaria
Pressione tributaria
al netto del
sommerso
Sviluppo: il sistema fiscale dovrà sempre più discriminare tra attività speculative
e attività produttive, al fine di alleggerire le imprese e i lavoratori impegnati nella
produzione e nelle sfide poste dalla competizione internazionale.
Semplificazione: gli adempimenti richiesti a famiglie ed imprese saranno ridotti
al minimo e l’amministrazione tributaria qualificata e riorganizzata per essere posta al
servizio dei contribuenti. Per raggiungere tali obbiettivi, il governo, oltre ad intervenire
sul piano normativo, doterà le agenzie fiscali delle risorse umane e tecnologiche
necessarie a cogliere le enormi possibilità offerte dalle tecnologie dell’informazione e
della comunicazione. Le innovazioni in oggetto renderanno l’adempimento fiscale una
facile routine per la stragrande maggioranza delle famiglie e delle imprese.
Le difficoltà di raggiungere gli obbiettivi richiamati risultano evidenti alla luce
dell’andamento del gettito tributario totale e della sua composizione nel periodo dal
2001 al 2005. Le entrate tributarie correnti del settore statale sono diminuite di 1,3 punti
percentuali del PIL. A tale risultato di consuntivo ha concorso: i) un aumento del gettito
da imposte indirette, per natura regressive; ii) una contenuta riduzione del gettito da
imposte dirette sulle persone fisiche, ottenuto attraverso una riforma di segno
regressivo; iii) una contenuta riduzione del gettito derivante da imposte sulle imprese
(per le quali però la Legge finanziaria per il 2006 comporta un aggravio di imposte per
oltre 2 miliardi di euro).
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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136
I dati di consuntivo, tuttavia, riflettono solo in parte l’effetto delle politiche
fiscali realizzate nella XIV legislatura. L’analisi delle relazioni tecniche di
accompagnamento ai provvedimenti approvati durante la legislatura appena trascorsa
indica, infatti, previsioni di sostanziale neutralità di tali provvedimenti ai fini dei loro
effetti sul gettito. In tale contesto, la causa prevalente della caduta di gettito registrata a
consuntivo sembra riconducibile all’ampliamento dell’area di evasione/elusione fiscale
(in particolare dell’IVA) più che alla realizzazione di politiche di riduzione delle
imposte. In sintesi, il ricorso sistematico, prevedibile ed atteso a condoni e sanatorie
fiscali avrebbe favorito l’abbassamento della tax compliance, in Italia già a livelli tra i
più bassi dell’area OCSE.
Per centrare gli obiettivi di equità, sviluppo e semplificazione, nella strategia di
politica fiscale del governo, sono prioritari interventi finalizzati a contrastare
evasione/elusione di base imponibile; ad adottare misure di semplificazione degli
adempimenti di famiglie e imprese; recuperare progressività; ridurre il costo del lavoro;
riformare la tassazione del reddito d’impresa, soprattutto nell’ottica di favorire
l’innovazione, la capitalizzazione e l’internazionalizzazione; riformare il catasto e
ridurre le aliquote ICI.
Figura IV.6 – Pressione tributaria delle principali imposte
(in percentuale del PIL)
Fonte: ISTAT.
Sui bilanci delle Amministrazioni pubbliche pesano in maniera significativa le
spese legate ai trasferimenti in conto corrente e in conto capitale a famiglie e soprattutto
70
80
90
100
110
2001 2002 2003 2004 2005
IRPEF IVA IRES Imp. di fabbricazione sugli oli minerali Tabacchi (imp. sul consumo)
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137
a imprese e le minori entrate connesse ad agevolazioni fiscali di varia natura (le
cosiddette tax expenditures). Per il 2005, secondo le riclassificazioni della spesa
pubblica effettuate dall’ISTAT, le spese per trasferimenti alle imprese delle
Amministrazioni pubbliche, pari alla somma di spese correnti (contributi alla
produzione) e spese in conto capitale (trasferimenti in conto capitale) sono risultate pari
a 28,8 miliardi di euro, il 2 per cento del PIL. Molte di queste voci hanno natura
meritoria e sono legate a programmi di spesa a livello comunitario, ad agevolazioni al
trasporto locale, all’incentivazione di attività con ovvie esternalità quali l’investimento
in ricerca e sviluppo. Allo stesso tempo, la dimensione di queste voci, i vincoli sempre
più stringenti del bilancio complessivo delle Amministrazione pubbliche e l’esigenza di
una sempre maggiore trasparenza dei bilanci pubblici richiedono che per tutte queste
voci sia creato un inventario comprensivo e aggiornato. In tale modo, si consentirebbe
al Parlamento e all’esecutivo di valutare in maniera tempestiva il costo, l’attualità e
l’efficacia di tali spese e riesaminarle in ragione delle priorità dell’intervento pubblico.
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138
IV.3 Politiche per l’equità
L’indice di povertà relativa, misurato con la metodologia comunitaria, è nel
nostro paese del 19 per cento (quota della popolazione che vive sotto la linea di povertà
relativa), contro una media europea del 15 per cento. Gli anni recenti hanno visto
aumentare l’instabilità temporale dei redditi e, con essa, il senso di vulnerabilità. In
particolare, risultano significativamente peggiorate le posizioni relative di operai e
impiegati, famiglie monoreddito o numerose, e famiglie che vivono nel Mezzogiorno.
Le famiglie italiane sostengono inoltre oneri rilevanti per l’assistenza agli anziani non
auto-sufficienti e per i figli, non solo minori (il 70 per cento dei giovani tra i 25 e i 29
anni vive con i genitori, la più alta percentuale d’Europa, nella sostanziale impossibilità,
a causa delle difficoltà lavorative ed abitative, di rendersi autonomi nonché di formare
nuove famiglie). La carenza di servizi per l’infanzia e per gli anziani contribuisce a
mantenere basso il tasso di attività femminile (solo il 45 per cento delle donne ha
un’occupazione, 30 per cento nel Mezzogiorno), con effetti negativi sul tasso di crescita
potenziale dell’economia e con il corollario di un basso tasso di natalità.
L’impostazione delle azioni per la crescita prima descritte, l’impegno che si
intende realizzare per il miglioramento dell’istruzione, il peso che le azioni per
l’inclusione sociale assumeranno nell’intervento aggiuntivo per il Mezzogiorno (cfr
Capitolo V) denotano la scelta di favorire forme di crescita e di sviluppo che,
valorizzando le competenze di tutti i cittadini, assicurino in sé requisiti di equità.
Oltre a queste linee di intervento, il Governo intende realizzare nella XV
Legislatura un programma, nel campo dei diritti di cittadinanza e delle politiche per la
famiglia, in grado di modificare progressivamente l’attuale situazione. Partiamo da una
quota inferiore alla media europea di risorse dedicate al sostegno dei redditi bassi e
precari e delle responsabilità familiari, nonché alla fornitura di servizi sociali e abitativi
alle famiglie e ai non-autosufficienti. E’ opportuno, nel rispetto dei vincoli di finanza
pubblica, avviare azioni di riforma che accrescano l’efficienza e potenzino l’efficacia
delle politiche sociali. Tali azioni, di ispirazione universalistica, andranno incardinate
sulla Legge quadro di riforma dell’assistenza (legge 328/2000), agendo anche sui punti
critici che la sua applicazione ha evidenziato. Nel quadro delle responsabilità
istituzionali stabilito dal nuovo Titolo V della Costituzione, spetta al Governo
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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139
nazionale: a) definire i livelli essenziali di assistenza; b) realizzare un sistema coerente
di sostegno dei redditi e delle responsabilità familiari; c) predisporre forme di
finanziamento che premino l’iniziativa delle autonomie locali, riorganizzando e
potenziando il Fondo nazionale per le politiche sociali e prevedendo un Fondo per le
politiche familiari, finalizzati alla promozione di una rete integrata di servizi.
Azioni principali da realizzare nel corso della Legislatura
1) Rafforzare gli strumenti per la conciliazione tra vita lavorativa e vita
personale e familiare, ampliando le possibilità per ambedue i genitori di usufruire dei
congedi remunerati di maternità e paternità, con riferimento anche all’età
dell’adolescenza, e dei congedi per attività di formazione e riqualificazione
professionale; sostenere la diffusione delle esperienze locali delle cosiddette “banche
del tempo” e promuovere una riorganizzazione degli orari dei servizi pubblici.
2) Costruire un sistema coerente di sostegno dei redditi e delle persone che
faccia perno sui seguenti strumenti:
2a) Un sostegno ai redditi di quanti vivono rapporti di lavoro
discontinui e/o con basse retribuzioni, sostituendo le attuali deduzioni da lavoro Irpef, di
cui non usufruiscono coloro che hanno un reddito inferiore al minimo imponibile, con
una detrazione da lavoro di cui possano usufruire come trasferimento monetario coloro
che hanno redditi inferiori al minimo (i cosiddetti incapienti). L’unificazione degli
attuali strumenti monetari di sostegno alle famiglie – assegni al nucleo familiare e
deduzioni Irpef per figli a carico – in un Assegno per i minori che fornisca una
integrazione di reddito più consistente e in funzione della numerosità del nucleo
familiare consentirà di aumentare l’efficacia del sostegno senza porre oneri aggiuntivi
alla finanza pubblica. Ambedue queste forme di sostegno dei redditi, che saranno
strutturate in forme che incentivino il lavoro e l’emersione e non premino l’evasione
fiscale, andranno a vantaggio principalmente delle famiglie con redditi medi e bassi e,
per questi ultimi, configureranno una prima forma di “imposta negativa” (trasferimento
monetario a favore degli incapienti). Affinché l’intervento pubblico sia realmente
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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140
efficace è essenziale un’azione preliminare di contrasto all’evasione che mina la
significatività degli indicatori di disagio economico.
2b) Per coloro che sono in condizioni economiche particolarmente
disagiate (indicatore di situazione economica equivalente inferiore a una certa soglia) e
per i quali sia opportuno costruire percorsi di reinserimento lavorativo e sociale, in
particolare nel Mezzogiorno, va ripresa su nuove basi la proposta del “Reddito minimo
di inserimento” (RMI) condizionato alla partecipazione ai percorsi di inserimento e alla
“prova dei mezzi” (tramite l’Indicatore della situazione economica equivalente - ISEE).
A tal fine, è prioritario realizzare un’attenta valutazione di quanto fin qua sperimentato
in termini di lotta alla povertà, valutando l’efficacia in rapporto agli oneri finanziari
posti a carico della collettività.
3) Rafforzare e migliorare la rete dei servizi, in particolare per l’infanzia e
per i non-autosufficienti. Le tariffe dovranno essere accessibili: a questo fine la
compartecipazione da parte delle famiglie dovrà essere differenziata in funzione delle
condizioni economiche (ISEE). Andrà valutata l’opportunità di ricorrere anche a tasse
di scopo per finanziare tali attività.
3a) Potenziamento dei servizi per l’infanzia con un programma di
azione per lo sviluppo del sistema di asili-nido che faccia leva su risorse nazionali e
locali e sull’integrazione con il sistema scolastico. A livello nazionale, una parte del
Fondo per le politiche sociali verrà destinata al co-finanziamento dei costi di gestione e
di investimento, volto a sostenere le migliori pratiche.
3b) Un piano di intervento sulle non autosufficienze a partire da un
programma di sviluppo dell’assistenza domiciliare integrata. A livello nazionale si
procederà alla definizione dei livelli essenziali di assistenza compatibili con le limitate
risorse finanziarie disponibili e all’istituzione di un Fondo nazionale per la non
autosufficienza in cui far confluire tutte le risorse già oggi impegnate nel settore. Il
Fondo procederà al co-finanziamento degli interventi e le risorse a sua disposizione
potranno gradualmente incrementarsi via via che le migliori pratiche andranno
diffondendosi. Per assorbire in forme regolari l’offerta di lavoro domiciliare si
procederà alla definizione di una Legge quadro sugli “Assistenti familiari”, i cosiddetti
“badanti”, che definisca i requisiti essenziali di professionalità e affidabilità di queste
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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141
nuove figure e garantisca continuità del rapporto e sicurezza alle famiglie e ai
collaboratori.
4) Potenziare gli strumenti e le norme per la tutela dell’infanzia sia
nell’ambito della Giustizia che delle adozioni, nazionali e internazionali: con una
riforma delle competenze dei tribunali ordinari e dei tribunali dei minori, che realizzi un
effettivo coordinamento in materia di rapporti tra famiglia e Giustizia, e con
l’istituzione del Garante per l’infanzia e l’adolescenza; semplificando le procedure in
materia di adozione e affido; riorganizzando e potenziando l’attuale Osservatorio contro
la pedofilia in modo da contrastare ogni forma di tratta, abuso e sfruttamento sessuale
dei minori.
5) Rilanciare della politica abitativa. L’aumento dei prezzi immobiliari e
dei canoni d’affitto grava significativamente sulla situazione economica delle famiglie a
basso reddito che non hanno accesso alla proprietà della casa. Politiche volte a sostenere
le famiglie in difficoltà sono utili anche per sostenere le giovani coppie e i giovani
studenti fuori sede. Tali politiche devono però essere integrate anche con politiche di
rilancio dell’offerta. Il governo si impegna a definire un quadro normativo, anche
nell’ambito della riforma del Patto di stabilità interno, che agevoli interventi di edilizia
residenziale pubblica. Tali progetti saranno finalizzati ad una locazione agevolata e
selettiva, volta a favorire i gruppi più deboli e a promuovere la mobilità sul territorio di
famiglie, lavoratori e studenti universitari. Gli interventi verranno realizzati anche
mediante partnership pubblico-private e strumenti di project financing.
6) Potenziare gli strumenti e le norme relative ai diritti e alle pari
opportunità, in linea con gli indirizzi comunitari. In particolare, il Governo promuoverà
provvedimenti volti a rendere sempre piú stabile l’occupazione, inclusa quella
femminile, estenderà la tutela della maternità a tutte le forme di lavoro non a tempo
indeterminato, assicurerà altresì l’ampliamento dei servizi per la conciliazione tra il
lavoro e le responsabilità femminili (ad esempio gli asili-nido) e rilancierà
l’imprenditoria femminile attraverso il rafforzamento degli strumenti di incentivazione
alla creazione di nuove imprese.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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142
7) Contrastare tutte le forme di discriminazione. Nell’ambito di una
rafforzata attenzione alla tutela dei diritti umani, il Governo rilancierà il ruolo del
Comitato Interministeriale per i Diritti Umani ed il rafforzamento dell’Ufficio per la
promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni. Inoltre,
incrementerà i programmi di protezione sociale nei confronti delle vittime della tratta,
anche potenziando il ruolo della già esistente Commissione, e svilupperà opportune
azioni positive a favore delle vittime delle mutilazioni genitali femminili.
Condizioni di fattibilità
Il programma di interventi sopra delineato punta a innovare l’intervento
pubblico in modo che le risorse messe a disposizione dal Governo centrale:
• facciano da volano di una più ampia mobilitazione di risorse pubbliche -
provenienti dal sistema delle autonomie – e private – il terzo settore e le famiglie stesse,
chiamate a compartecipare al costo dei servizi a prezzi accessibili differenziati in base
alle loro condizioni economiche;
• realizzino la massima efficacia possibile nel sostenere i redditi personali
e familiari e nel contrastare i fenomeni di povertà ed esclusione sociale e facciano ciò in
forme incentivanti comportamenti attivi e non passivi dei beneficiari.
Queste due caratteristiche del programma consentono di massimizzare i risultati
per ogni dato ammontare di risorse stanziato dal Governo centrale e quindi
contribuiscono a rendere finanziariamente sostenibile il percorso di riforma. Condizione
essenziale per la sua sostenibilità è peraltro un’azione forte e continuativa di
risanamento della finanza pubblica che consenta di utilizzare al meglio le risorse
attualmente impiegate.
Per quanto riguarda gli interventi di sostegno dei redditi, l’onere netto per la
finanza pubblica sarà definito coerentemente con il complesso della manovra
finanziaria, in quanto i nuovi istituti sostituiranno istituti già esistenti e quindi
riutilizzeranno in forme nuove le risorse che già oggi vengono destinate, in forme meno
efficaci, a obiettivi analoghi. Per quanto riguarda gli interventi di potenziamento dei
servizi, essi faranno leva, come si è detto, sulla mobilitazione di risorse delle autonomie
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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143
locali e di risorse del terzo settore. Inoltre, le risorse messe a disposizione dal Governo
centrale riassorbiranno risorse già oggi impegnate per scopi analoghi ma in forme
disorganiche e dispersive.
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144
IV.4 Quadro Programmatico 2007-2011
Il quadro programmatico per il 2007-2011 illustrato qui sotto conferma
l’impegno del Governo a favore di un rilancio sostenibile della crescita economica in un
contesto di risanamento strutturale delle finanze pubbliche e di perseguimento
dell’equità sociale. Come già le misure recentemente adottate per accrescere la
concorrenza e ridurre la regolamentazione in vari settori dell’economia, così anche le
politiche di sviluppo descritte in questo capitolo si esplicheranno, sia pure con
gradualità, in un aumento della crescita nel corso dei prossimi anni.
La Legge Finanziaria per il 2007 disporrà interventi il cui importo complessivo
viene quantificato in circa 20 miliardi di euro (1,3 per cento del PIL), al netto di nuove
spese volte a obiettivi di sviluppo e di equità, che si stimano in circa 15 miliardi di euro
(1,0 per cento del PIL). L’ammontare ‘lordo’ di risorse da reperire è dunque dell’ordine
di 35 miliardi di euro e del 2,3 per cento del PIL.
La manovra complessiva ha l’obiettivo di rendere l’andamento delle nostre
pubbliche finanze sostenibile nel lungo periodo in un contesto demografico non
favorevole e, nello stesso tempo, di permettere spese destinate alla modernizzazione del
paese, al sollievo delle situazioni di sofferenza sociale e al futuro delle generazioni più
giovani. Per la parte di contenimento del disavanzo tendenziale essa interesserà in gran
parte il lato della spesa e consisterà di provvedimenti di carattere strutturale, inquadrati
in articolati disegni di riforma, che interverranno sui quattro grandi comparti della spesa
pubblica analizzati in precedenza.
Tavola IV.3 – Manovra Correttiva di Finanza Pubblica
2006 2007 2008 2009 2010 2011
in % del PIL
Indebitamento netto tendenziale -4,0 -4,1 -4,1 -4,1 -3,9 -3,8
Manovra correttiva netta sul primario -1,3 -0,5 -0,5 -0,5 -0,5
Interventi strutturali per lo sviluppo 1,0
Manovra correttiva lorda -2,3 -0,5 -0,5 -0,5 -0,5
Risparmio interessi indotto dalla manovra -0,1 -0,1 -0,1 -0,1
Manovra correttiva cumulata netta sul primario -1,3 -1,8 -2,3 -2,8 -3,3
Indebitamento netto programmatico -2,8 -2,2 -1,6 -0,8 -0,1
Avanzo primario programmatico 0,5 2,1 2,7 3,4 4,1 4,9
Nello stesso tempo, la manovra comprenderà misure per accrescere la
competitività attraverso il rafforzamento dei mercati, la riduzione del cuneo fiscale,
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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145
l’aumento dell’efficienza della spesa pubblica. Infine, e contemporaneamente, destinerà
risorse a creare condizioni di maggiore equità, anche attraverso una redistribuzione del
carico fiscale.
La prevista riduzione della spesa pubblica e la sua ricomposizione e
riqualificazione, le misure di natura fiscale e quelle a sostegno dell’economia verranno
elaborate e messe a punto nei prossimi due mesi. Continuerà, a tal fine, l’intenso lavoro
di interlocuzione e di concertazione con i rappresentanti degli Enti territoriali, da un
lato, con le parti sociali, dall’altro. Tali misure verranno rese operative dalla Legge
finanziaria che sarà presentata in settembre.
Le misure, soprattutto in materia di investimenti infrastrutturali, ricerca e
sviluppo, abbattimento alle barriere alla concorrenza, daranno nel medio periodo
ulteriore vigore alla crescita del PIL, anche potenziale, della nostra economia. Nel
contempo, alcuni provvedimenti di riduzione della spesa inevitabilmente eserciteranno,
nel breve periodo, una spinta di segno opposto. Pertanto, nonostante l’importanza della
correzione dei conti pubblici, lo scenario programmatico prevede nel 2007 una ripresa
economica solo marginalmente piú debole rispetto al quadro tendenziale, con la crescita
del PIL che passa dall’1,5 per cento all’1,2 per cento. Negli anni successivi al 2007, il
carattere permanente della correzione di bilancio e le misure a favore della crescita
faranno sviluppare l’economia durabilmente al di sopra dell’attuale scenario tendenziale
ed eleveranno il suo potenziale all’1,7 per cento verso la fine del periodo di previsione.
Il Governo rimane impegnato nel proseguimento della politica di privatizzazioni
che ha caratterizzato le passate legislature. In questa sede non ne viene offerta una
esplicita quantificazione perché, in assenza di operazioni già pianificate dal precedente
Governo, occorre prima procedere ad una valutazione delle opzioni strategiche relative
alla dismissione del patrimonio residuo dello Stato.
Il quadro programmatico mantiene invariato il calendario degli impegni presi
con l’Unione Europea ai sensi del Patto di Stabilità e Crescita. Prevede perciò un rientro
del rapporto indebitamento netto su PIL al di sotto del 3 per cento nel 2007 e ulteriori
correzioni strutturali di mezzo punto percentuale di PIL per ciascuno degli anni
successivi, in linea con la Raccomandazione all’Italia del luglio 2005. Il Governo si
riserva però di valutare con piú precisione il percorso di rientro in relazione al profilo
temporale degli effetti strutturali delle misure che verranno effettivamente adottate.
L’impegno a compiere con la prossima Legge finanziaria tutti gli interventi necessari a
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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146
portare l’indebitamento netto al di sotto del 3 per cento non è tuttavia in alcun modo
eludibile.
La crescita economica per il 2007 sconta l’impatto della manovra correttiva sui
consumi sia delle Pubbliche Amministrazioni sia delle famiglie. Viceversa, l’effetto
delle riforme potrà cominciare ad esplicarsi positivamente sulle esportazioni e sugli
investimenti. L’occupazione proseguirà comunque la dinamica positiva in atto dal 2006,
pur se in lieve flessione rispetto allo scenario tendenziale.
Tavola IV.4 – Quadro Programmatico Macroeconomico e di Finanza Pubblica
2006
DPEF Prog DPEF Tend DPEF Prog DPEF Tend DPEF Prog DPEF Tend DPEF Prog DPEF Tend DPEF Prog DPEF Tend
ESOGENE INTERNAZIONALI
commercio internazionale 9,1 8,7 8,7 8,0 8,0 7,5 7,5 7,5 7,5 7,5 7,5
prezzo del petrolio (cif, serie OCSE) 70,0 71,0 71,0 71,0 71,0 71,0 71 71,0 71,0 71,0 71,0
cambio dollaro/euro 1,254 1,277 1,277 1,277 1,277 1,277 1,277 1,277 1,277 1,277 1,277
MACRO ITALIA (VOLUMI)
Pil 1,5 1,2 1,5 1,5 1,2 1,6 1,2 1,7 1,3 1,7 1,3
importazioni 4,4 3,1 3,5 3,6 3,2 3,7 3,3 3,6 3,3 3,7 3,3
consumi famiglie 1,3 0,8 1,3 1,3 1,2 1,5 1,2 1,6 1,3 1,6 1,3
spesa della PA e ISP 0,7 -0,6 0,2 0,0 0,6 0,2 0,4 0,2 0,4 0,2 0,4
investimenti 2,2 2,1 1,9 2,7 1,6 3,0 1,6 3,1 1,9 3,0 1,9
esportazioni 4,7 4,0 3,7 3,4 3,0 3,4 3,2 3,3 3,1 3,3 3,1
pm. saldo corrente bil. pag.in % PIL -2,1 -1,8 -2,1 -1,8 -2,0 -1,8 -2,0 -1,9 -2,1 -2,1 -2,1
CONTRIBUTI ALLA CRESCITA DEL PIL
esportazioni nette 0,0 0,2 0,0 -0,1 -0,1 -0,1 -0,1 -0,1 -0,1 -0,1 -0,1
scorte 0,1 0,2 0,2 0,2 0,1 0,1 0,1 0,1 0,1 0,2 0,1
domanda nazionale 1,4 0,8 1,2 1,3 1,2 1,6 1,1 1,7 1,3 1,6 1,3
PREZZI
deflatore importazioni 7,6 2,2 2,5 2,0 2,0 2,0 2,0 2,0 2,0 2,0 2,0
deflatore PIL 2,0 1,6 1,7 1,7 2,1 1,7 1,9 1,5 2,0 1,5 2,0
Pil nominale 3,5 2,8 3,2 3,2 3,4 3,2 3,1 3,1 3,3 3,2 3,3
deflatore consumi 2,5 1,9 2,0 1,8 2,0 1,8 2,0 1,7 2,0 1,7 2,0
inflazione programmata 1,7 2,0 - 1,7 - 1,5 - 1,5 - 1,5 -
LAVORO
costo lavoro 3,0 1,4 2,2 2,0 2,2 2,2 2,3 2,1 2,2 2,1 2,2
produttività (mis.su PIL) 1,0 0,8 0,9 0,8 0,6 0,8 0,7 0,9 0,7 0,9 0,7
CLUP (misurato su PIL) 2,0 0,6 1,3 1,2 1,5 1,4 1,6 1,2 1,5 1,2 1,5
occupazione (ULA) 0,5 0,4 0,6 0,7 0,6 0,7 0,5 0,8 0,6 0,8 0,6
Tasso di disoccupazione* 7,6 7,5 7,5 7,4 7,5 7,2 7,5 7,0 7,5 6,7 7,4
Tasso di occupazione (15-64 anni)* 58,0 58,4 58,5 58,9 58,9 59,1 59,0 59,6 59,3 60,1 59,7
FINANZA PUBBLICA
indebitamento P.A./PIL -4,0 -2,8 -4,1 -2,2 -4,1 -1,6 -4,1 -0,8 -3,9 -0,1 -3,8
saldo primario/PIL 0,5 2,1 0,8 2,7 0,8 3,4 1,1 4,1 1,3 4,9 1,5
spesa per interessi/PIL 4,6 4,8 4,8 4,9 5,0 5,0 5,1 5,0 5,2 5,0 5,3
debito P.A./PIL 107,7 107,5 108,5 107,0 109,5 105,1 110,0 102,6 110,2 99,7 110,5
pm. PIL nominale (valori assoluti in milioni euro) 1466835 1508439 1513890 1556237 1564628 1606573 1613443 1657005 1666941 1710520 1721828
2007 2008 2009 2010 2011
Al netto della componente ciclica e delle misure one-off la correzione nel
biennio 2006-2007 ammonterà a 1,6 punti percentuali di PIL.
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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147
Tavola IV.5 – Variazione dell’indebitamento corretto per il ciclo e per misure one-off
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
Tasso di crescita del PIL a prezzi costanti 0,0 1,5 1,2 1,5 1,6 1,7 1,7
Tasso di crescita del PIL potenziale 1,2 1,0 1,2 1,3 1,4 1,6 1,7
Output gap -1,6 -1,2 -1,2 -1,0 -0,9 -0,8 -0,8
Componente ciclica dei saldi di bilancio -0,8 -0,6 -0,6 -0,5 -0,4 -0,4 -0,4
Indebitamento netto -4,1 -4,0 -2,8 -2,2 -1,6 -0,8 -0,1
Indebitamento netto corretto per il ciclo -3,3 -3,4 -2,2 -1,7 -1,1 -0,5 0,3
Avanzo primario corretto per il ciclo 1,3 1,1 2,7 3,2 3,8 4,5 5,2
Misure una tantum 0,5 0,3 0,1 0,1 0,0 0,0 0,0
Indebitamento netto corretto per il ciclo al netto delle una tantum -3,8 -3,8 -2,3 -1,8 -1,1 -0,5 0,3
Avanzo primario corretto per il ciclo al netto delle una tantum 0,7 0,8 2,6 3,1 3,8 4,5 5,2
Variazione saldo di bilancio corretto per ciclo al netto una tantum -0,6 -0,1 -1,5 -0,4 -0,7 -0,7 -0,7
La manovra di contenimento sui conti pubblici eserciterà un effetto di
moderazione sull’inflazione. Il costo del lavoro, in conseguenza della riduzione del
cuneo contributivo, risulterà in forte decelerazione rispetto allo scenario a legislazione
vigente. L’inflazione al consumo dovrebbe quindi attestarsi sostanzialmente in linea con
l’obiettivo programmatico del 2,0 per cento per il 2007.
Ma una ripresa della crescita postula, al di là della riduzione del cuneo
contributivo, un significativo rallentamento del costo del lavoro per unità di prodotto nei
confronti dei paesi nostri concorrenti, da conseguire attraverso una ripresa della crescita
della produttività e una dinamica salariale appropriata. Solo così la competitività
perduta negli ultimi anni sarà riguadagnata. Il conseguimento di questo risultato è
affidato alle imprese e alle parti sociali che vi operano, non può essere opera del
Governo.
Nel quadriennio successivo al 2007, gli interventi programmati dal Governo
consentiranno di raggiungere un tasso medio di sviluppo di poco superiore all’1,6 per
cento. L’aumentato grado di competitività dell’economia italiana consentirà una
maggiore crescita delle esportazioni rispetto al quadro tendenziale. La crescita sarà
sostenuta dalla domanda interna, in particolare dagli investimenti, e da un orientamento
più favorevole dei consumi delle famiglie che beneficeranno degli effetti delle politiche
di liberalizzazione e, quindi, minori pressioni inflazionistiche interne.
L’occupazione é prevista aumentare dello 0,7-0,8 per cento riflettendo gli effetti
del ciclo economico. Il tasso di disoccupazione é previsto ridursi progressivamente
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
148
attestandosi, nel 2011, al 6,8 per cento; nello stesso anno, il tasso di occupazione si
collocherebbe intorno al 60 per cento.
La dinamica delle retribuzioni risulterà moderata, in linea con l’inflazione
programmata e con il recupero della produttività indotta dal miglioramento del ciclo. Il
deflatore dei consumi scenderà leggermente, nell’arco dell’orizzonte previsivo, dall’1,8
del 2008 all’1,7 del 2011, a fronte di tassi programmati di inflazione pari all’1,7 per
cento nel 2008 e a 1,5 per cento nel successivo triennio.
Per quanto riguarda il bilancio programmatico dello Stato, l’indicazione delle
principali componenti di entrata e di spesa verrà data quando gli interventi saranno
definiti. Il livello del saldo netto da finanziare, al netto delle regolazioni contabili e
debitorie, non sarà superiore a 29,5 miliardi di euro per il 2007, 19,5 per il 2008 e 10,5
per il 2009.
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APPENDICE 1
Variazione dell’indebitamento corretto per il ciclo e per misure one-off
(dati storici)
1990 2,1 2,5 2,0 1,0 -11,4 -12,4 -2,3 0,0 -12,5 -2,4
1991 1,5 2,4 1,1 0,6 -11,4 -12,0 -0,7 0,1 -12,1 -0,8 -0,3
1992 0,8 2,1 -0,2 -0,1 -10,4 -10,3 1,9 1,9 -12,2 0,0 0,1
1993 -0,9 1,0 -2,0 -1,0 -10,0 -9,0 3,6 0,6 -9,6 3,0 -2,6
1994 2,2 1,2 -1,2 -0,6 -9,1 -8,5 2,9 0,1 -8,6 2,8 -1,0
1995 2,8 1,2 0,4 0,2 -7,4 -7,6 3,9 0,5 -8,1 3,4 -0,5
1996 0,7 1,4 -0,2 -0,1 -7,0 -6,9 4,6 0,2 -7,1 4,4 -1,0
1997 1,9 1,4 0,3 0,1 -2,7 -2,8 6,4 0,3 -3,2 6,0 -4,0
1998 1,4 1,7 0,0 0,0 -2,8 -2,8 5,1 0,1 -3,0 4,9 -0,2
1999 1,9 1,6 0,4 0,2 -1,7 -1,9 4,7 0,1 -2,0 4,6 -1,0
2000 3,6 1,7 2,2 1,1 -0,8 -1,9 4,4 0,1 -2,0 4,3 0,0
2001 1,8 1,7 2,3 1,2 -3,1 -4,3 2,0 0,6 -4,8 1,5 2,8
2002 0,3 1,6 1,1 0,6 -2,9 -3,5 2,0 1,2 -4,7 0,8 -0,2
2003 0,0 1,3 -0,2 -0,1 -3,4 -3,3 1,8 1,7 -5,0 0,1 0,4
2004 1,1 1,4 -0,5 -0,2 -3,4 -3,2 1,5 1,2 -4,4 0,3 -0,6
2005 0,0 1,2 -1,6 -0,8 -4,1 -3,3 1,3 0,5 -3,8 0,7 -0,6
2006 1,5 1,0 -1,2 -0,6 -4,0 -3,4 1,1 0,3 -3,8 0,8 -0,1
2007 1,2 1,2 -1,2 -0,6 -2,8 -2,2 2,7 0,1 -2,3 2,6 -1,5
2008 1,5 1,3 -1,0 -0,5 -2,2 -1,7 3,2 0,1 -1,8 3,1 -0,4
2009 1,6 1,4 -0,9 -0,4 -1,6 -1,1 3,8 0,0 -1,1 3,8 -0,7
2010 1,7 1,6 -0,8 -0,4 -0,8 -0,5 4,5 0,0 -0,5 4,5 -0,7
2011 1,7 1,7 -0,8 -0,4 -0,1 0,3 5,2 0,0 0,3 5,2 -0,7
Tasso di
crescita del
PIL a prezzi
costanti
Tasso di
crescita del
PIL
potenziale
Output gap Componente
ciclica
Indebitamento
netto
Indebitamento
netto corretto per
il ciclo
Avanzo
primario
corretto per il
ciclo
Misure unatantum
Indebitamento netto
corretto per il ciclo al
netto delle una
tantum
Avanzo primario
corretto per il
ciclo al netto delle
una-tantum
Variazione
saldo di
bilancio
corretto per
ciclo al netto
una tantum
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APPENDICE 2
Indicatori Macro e di Finanza pubblica
(variazioni percentuali)
1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005
MACRO ITALIA (volumi)
Pil 2,1 1,5 0,8 -0,9 2,2 2,8 0,7 1,9 1,4 1,9 3,6 1,8 0,3 0,0 1,1 0,0
importazioni 9,6 2,2 6,9 -11,6 7,8 9,3 -1,3 8,7 8,6 3,1 5,8 -0,2 -0,5 0,8 2,5 1,4
consumi famiglie 2,1 2,7 1,7 -3,1 1,5 1,5 0,9 3,2 3,5 2,5 2,4 0,7 0,2 1,0 0,5 0,1
spesa della PA e ISP 2,4 1,9 1,0 -1,6 -1,6 -3,2 0,4 0,2 0,4 1,4 2,2 3,6 2,2 2,1 0,6 1,2
investimenti 4,3 1,3 -1,4 -11,5 0,4 6,9 1,8 1,6 4,3 3,6 6,4 2,5 4,0 -1,7 2,2 -0,6
esportazioni 6,9 -2,1 6,8 8,7 9,6 12,4 0,1 3,6 1,1 -1,7 9,0 0,5 -4,0 -2,4 3,0 0,3
CONTRIBUTI ALLA CRESCITA DEL PIL
esportazioni nette -0,5 -0,8 0,0 3,7 0,6 1,0 0,3 -0,9 -1,6 -1,1 0,9 0,2 -1,0 -0,8 0,1 -0,3
scorte 0,0 0,1 -0,1 -0,1 0,9 0,3 -0,6 0,6 0,1 0,6 -0,4 0,0 0,0 0,2 0,1 0,1
domanda nazionale 2,6 2,2 0,8 -4,5 0,6 1,5 1,0 2,2 2,9 2,4 3,1 1,6 1,3 0,6 0,9 0,1
PREZZI
deflatore importazioni -0,5 0,0 1,7 15,4 4,8 11,4 -1,8 2,3 -0,8 2,5 15,4 3,4 0,4 -0,9 4,2 7,7
deflatore PIL 8,4 7,5 4,4 3,9 3,6 5,0 5,2 2,5 2,6 1,3 2,0 3,0 3,4 3,1 2,9 2,1
Pil nominale 10,6 9,2 5,2 3,0 5,8 7,9 6,0 4,5 4,1 3,3 5,7 4,8 3,7 3,1 4,0 2,0
deflatore consumi 6,4 6,9 5,2 5,4 5,1 6,0 4,1 2,3 1,8 1,8 3,4 2,6 2,9 2,8 2,6 2,3
LAVORO
costo lavoro 10,4 8,9 5,7 4,6 3,4 4,3 6,2 4,2 -1,6 2,6 2,3 3,2 2,7 3,7 3,5 2,9
produttività (mis.su PIL) 1,1 0,7 1,6 2,3 3,2 2,9 0,4 1,5 0,5 1,4 1,7 0,0 -0,9 -0,6 1,0 0,4
CLUP (misurato su PIL) 9,2 8,1 4,1 2,2 0,2 1,4 5,8 2,7 -2,1 1,2 0,6 3,2 3,7 4,3 2,4 2,5
occupazione (ULA) 1,0 0,8 -0,8 -3,2 -1,1 0,0 0,3 0,4 0,9 0,5 1,8 1,8 1,3 0,6 0,0 -0,4
Tasso di disoccupazione - - - 9,7 10,6 11,2 11,2 11,3 11,3 10,9 10,1 9,1 8,6 8,4 8,0 7,7
Tasso di occupazione (15-64 anni) - - - 52,3 51,4 51,0 51,3 51,5 52,2 53,0 54,0 55,1 55,9 57,5 57,5 57,5
FINANZA PUBBLICA
indebitamento P.A./PIL -11,4 -11,4 -10,4 -10,0 -9,1 -7,4 -7,0 -2,7 -2,8 -1,7 -0,8 -3,1 -2,9 -3,4 -3,4 -4,1
avanzo primario/PIL -1,4 0,0 1,8 2,6 2,3 4,2 4,6 6,6 5,1 4,9 5,5 3,2 2,7 1,7 1,3 0,4
spesa per interessi/PIL -10,1 -11,3 -12,2 -12,7 -11,4 -11,6 -11,5 -9,3 -7,9 -6,6 -6,3 -6,3 -5,5 -5,1 -4,7 -4,6
debito P.A./PIL 94,7 98,0 105,2 115,6 121,5 121,2 120,6 118,1 114,9 113,7 109,2 108,7 105,5 104,3 103,9 106,4
pm. PIL nominale (valori assoluti in milioni euro) 701352 765806 805682 829758 877708 947339 1003778 1048766 1091361 1127091 1191057 1248648 1295226 1335354 1388870 1417241
Fonte: Elaborazioni su dati ISTAT, nuova contabilità.
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149
V – SVILUPPO E COMPETITIVITA’ DEL
MEZZOGIORNO E POLITICA REGIONALE
V.1 Tendenze economiche e obiettivi programmatici
Congiuntura e tendenze strutturali
Nel 2005, il rallentamento degli investimenti e una forte cautela dei consumatori
hanno interrotto la crescita del Mezzogiorno. Seppure su livelli modesti, la crescita del
Mezzogiorno era stata in media migliore di quella del Centro-Nord, quanto a Pil,
produttività, esportazioni e investimenti privati dalla metà degli anni ‘90.
Tra la fine del 2005 e la prima metà del 2006, alcuni segnali positivi per il Sud
provengono dal miglioramento dell’occupazione e del clima di fiducia delle imprese e
dal buon andamento delle esportazioni, già in atto dal 2005. Dal lato della domanda,
persiste il clima di incertezza presso i consumatori, che si riflette in un andamento
ancora negativo delle vendite al dettaglio nel primo trimestre 2006.
Figura V.1 – Esportazioni e clima di fiducia imprese per aree territoriali
Esportazioni per ripartizione Clima di fiducia delle imprese industriali
(variazioni percentuali tendenziali) (indici 2000=100)
Fonte: Istat e Isae.
-15
-10
-5
0
5
10
15
20
I
trim
II
trim
III
trim
IV
trim
I
trim
II
trim
III
trim
IV
trim
I
trim
II
trim
III
trim
IV
trim
I
trim
2003 2004 2005 2006
Centro-Nord Mezzogiorno
75
80
85
90
95
100
105
I
trim
II
trim
III
trim
IV
trim
I
trim
II
trim
III
trim
IV
trim
I
trim
II
trim
III
trim
IV
trim
I
trim
II
trim
2003 2004 2005 2006
Centro Nord Mezzogiorno
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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150
Sul fronte occupazionale, i dati dell’ultima indagine Istat sulle forze di lavoro
segnalano nel primo trimestre 2006 una ripresa dell’occupazione nel Mezzogiorno a
livello sia congiunturale (0,6 per cento) sia tendenziale (1,6 per cento), sostanzialmente
in linea con gli andamenti registrati nel resto del Paese. La riduzione del tasso di
disoccupazione, in atto dal 2000, tende a essere indotta dall’incremento di occupazione;
non, come nel periodo 2002-2005, dalla caduta della forza di lavoro.
Nel Centro-Nord l’incremento del numero di occupati (0,7 e 1,7 per cento
rispettivamente nel dato congiunturale e tendenziale), lievemente superiore a quello del
Sud, è dovuto in gran parte alla componente straniera, che, a seguito della progressiva
crescita della popolazione immigrata iscritta in anagrafe, aumenta la propria presenza
nelle forze di lavoro, soprattutto nelle regioni settentrionali.
Figura V.2 – Occupazione e disoccupazione per ripartizione territoriale
(dati destagionalizzati)
Occupati
(indici 1995=100) Tasso di disoccupazione per ripartizione
Fonte: Istat, Indagine sulle forze di lavoro.
Tali tendenze prefigurano una stima di crescita del PIL per l’anno in corso su
valori superiori all’1 per cento ma lievemente al di sotto della media nazionale (cfr.
Figura V.4).
Complessivamente, i risultati raggiunti negli ultimi anni nel Mezzogiorno sono
significativi, ma senza dubbio insufficienti. Nell’ambito di una lieve tendenza alla
riduzione del divario storico in termini di prodotto, persiste un forte dualismo
territoriale in termini di benessere e di capacità di impiegare le risorse disponibili,
umane in primo luogo. A frenare lo sviluppo e la produttività del Mezzogiorno sono
fattori quali lo scarso livello delle competenze acquisite nella scuola, il livello
100
102
104
106
108
110
112
114
116
I
1999
IV III II I
2002
IV III II I
2005
IV
Mezzogiorno Centro-Nord
0
5
10
15
20
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
I trim. 2006 *
Centro-Nord Mezzogiorno
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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151
insufficiente della ricerca e dell’innovazione, l’inefficienza e la scarsa concorrenza nel
mercato dei servizi anche pubblici, diffusi fenomeni di esclusione sociale: fattori che
penalizzano il complesso del Paese, ma che sono presenti nell’area meridionale in forme
accentuate (cfr. Riquadro Crescita e produttività: profili regionali). La qualità dei servizi
collettivi, anche se negli ultimi anni il divario si è andato riducendo, è peggiore che nel
Centro Nord, dai trasporti ai settori dell’ambiente e dell’energia, dai servizi idrici
all’istruzione (cfr. Figura V.3).
In quest’ultimo settore i livelli di competenza degli studenti, indipendentemente
dalle condizioni economico-sociali della famiglia, sono molto più bassi che nelle altre
aree territoriali, nonostante i progressi conseguiti in tema di minore dispersione
scolastica. Resta ancora l’impegno nel campo della ricerca, da parte sia dell’operatore
pubblico sia di quello privato. La precaria situazione della legalità e della sicurezza in
molte regioni meridionali continua a costituire un grave ostacolo allo sviluppo
economico e sociale.
Figura V.3 – Indicatori dei servizi per grandi ripartizioni
Laureati in matematica, scienze e tecnologia Tonnellate merci in ingresso-uscita per ferrovia
(in percentuale sulla popolazione 20-29 anni) (in percentuale sul totale modalità di trasporto)
En.elettrica da fonti rinnovabili:
Consumi lordi di impianti da fonti rinnovabili Percentuale di famiglie che denunciano
(in percentuale su consumi interni lordi di en.elettrica) irregolarità nell’erogazione dell’acqua
Fonte: Dps – Istat Banca dati indicatori regionali per le politiche di sviluppo
0
2
4
6
8
10
12
14
2000 2005
CENTRO-NORD MEZZOGIORNO
0
1
2
3
2000 2004
CENTRO-NORD MEZZOGIORNO
0
5
10
15
20
25
30
35
2000 2004
CENTRO-NORD MEZZOGIORNO
0
5
10
15
20
25
30
35
2000 2004
CENTRO-NORD MEZZOGIORNO
DOCUMENTO DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 2007-2011
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152
CRESCITA E PRODUTTIVITÀ: PROFILI REGIONALI
La sostanziale stagnazione della produttività a partire dal 2000, già trattata nel
capitolo III, viene confermata dall’analisi a livello territoriale, che evidenzia altresì
una dinamica positiva nel Mezzogiorno nel biennio 2003-2004.
Figura 1 – Produttività per ripartizione 1996-2004
(variazioni percentuali annue)
-1,5
-1,0
-0,5
0,0
0,5
1,0
1,5
2,0
2,5
3,0
1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Centro-Nord Mezzogiorno
Fonte: elaborazioni su dati Istat, Conti economici regionali SEC95
Tra il 1995 e il 2004 la più elevata dinamica della produttività nel Mezzogiorno
(1 per cento medio annuo, contro lo 0,5 per cento nel Centro-Nord) è frutto di una
crescita maggiore della media nazionale in tutte le regioni del Sud ed appare tanto più
forte quanto più basso è il livello di partenza. Il divario nei livelli di produttività con le
regioni centro-settentrionali tuttavia rimane alto.
Figura 2 – Produttività per regione: Livello e crescita 1996-2004
(variazioni percentuali medie annue a prezzi costanti, euro)
Piemonte
Valle d'Aosta
Lombardia
Trentino A. A.
Veneto
Friuli V. G. Liguria
Emilia R.
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Molise Abruzzo
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
ITALIA
0,0
0,2
0,4
0,6
0,8
1,0
1,2
1,4
1,6
30.000 32.500 35.000 37.500 40.000 42.500 45.000 47.500 50.000
Produttività, 1995
Crescita, 1996-2004
1) Delle linee che determinano i quadranti, quella orizzontale indica il tasso di crescita medio annuo
della produttività a livello nazionale, quella verticale il suo livello nel 1995.
Fonte: elaborazioni su dati Istat, Conti economici regionali SEC95, il valore dell’Italia è coerente con la
vecchia serie
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Obiettivi programmatici
Con l’adozione di adeguate misure di politica economica, rivolte alla riduzione
dei ritardi strutturali dell’area e al recupero del deficit di competitività, sul versante sia
delle risorse finanziarie necessarie al riequilibrio territoriale sia dell’ulteriore
miglioramento della qualità dell’azione pubblica, già nel 2007 e poi negli anni
successivi, il PIL del Mezzogiorno potrebbe tornare ad accelerare e superare a fine
periodo quello medio europeo. Questo profilo si potrebbe situare su valori anche più
elevati nell’ipotesi di consolidamento dell’efficacia delle politiche a beneficio del
miglioramento del contesto e di conseguenti comportamenti più virtuosi anche
dell’investimento privato.
Figura V.4 – PIL Centro Nord e Mezzogiorno 1996-2011
(variazioni percentuali)
-0,5
0,0
0,5
1,0
1,5
2,0
2,5
3,0
3,5
4,0
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
Mezzogiorno Centro Nord
Fonte: stime DPS, coerenti con i Conti economici nazionali (marzo 2006)
Il risanamento dei conti pubblici che richiede in tutti i campi un uso più
efficiente delle risorse sollecita e si combina con un sforzo ancora più intenso per dare
certezza ai flussi di spesa in conto capitale nel Sud e per concentrarli in impieghi ad alto
rendimento economico e sociale: meno trasferimenti a imprese e più investimenti
pubblici; più investimenti pubblici di qualità.
Ciò può avvenire in un contesto che consenta la previsione di un volume di
risorse in conto capitale dedicate allo sviluppo del Mezzogiorno e delle aree
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sottoutilizzate del Centro Nord coerente sia con il mantenimento dell’incidenza sul PIL
della spesa in conto capitale del Paese intorno al 4 per cento, sia con una riallocazione
territoriale della spesa tesa ad aumentarne la quota del Mezzogiorno sul totale Italia,
pari nel periodo 2000- 2006 al 38,7 per cento. (Cfr. Cap. IV).
Tavola V.1 – Spesa in conto capitale
2000-06 2007-11
Incidenza della spesa in conto capitale sul Pil
Italia 4,0 4,1
Centro-Nord 3,2 3,1
Mezzogiorno 6,3 7,0
Composizione percentuale
Italia 100,0 100,0
Centro-Nord 61,3 57,7
Mezzogiorno 38,7 42,3
Fonte: Per il 2000-2006 DPS banca dati CPT, indicatore anticipatore e stime; per il 2007-2011 per
l’Italia valori tendenziali; per le macroaree valori programmatici del DPS Quadro finanziario unico.
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V.2 Strategia per la competitività e il riequilibrio territoriale
A indirizzare la spesa in conto capitale in questa direzione sarà il Quadro
Strategico Nazionale 2007-2013 (di seguito: Quadro) che l’Italia definirà entro l’estate
2006 anche per accedere all’uso dei fondi europei. La politica regionale di sviluppo
delineata nel Quadro sarà diretta a ridurre la persistente sottoutilizzazione di risorse del
Mezzogiorno e contribuire alla ripresa della competitività e della produttività dell’intero
Paese. Si intende perseguire una “strategia dell’offerta”, che attraverso la realizzazione
di infrastrutture materiali e immateriali e il miglioramento dei servizi collettivi
conferisca redditività agli investimenti privati. Un aumento della convenienza a
investire potrà tradursi in un incremento dell’attività imprenditoriale sia endogena sia
esterna ai territori meridionali, con effetti positivi sui redditi e sull’occupazione.
Per contrastare il rallentamento della dinamica della produttività nelle regioni
del Centro Nord le politiche faranno leva sui punti di forza del sistema produttivo
dell’area che, oltre a un settore agroindustriale in rinnovamento, a un settore turistico
con rilevanti possibilità di miglioramento, e a produzioni tradizionali con prospettive di
crescita dimensionale, comprende medie imprese in grado di affrontare i processi di
internazionalizzazione e filiere quali la meccanica, capaci di sviluppare innovazioni sia
di processo sia di prodotto e per tale via innescare un processo di modernizzazione utile
all’intero Paese.
Sulla base degli impegni europei e dell’Intesa raggiunta da Stato e Regioni nel
febbraio 2005, il Quadro conterrà un’indicazione delle priorità, le regole di
condizionalità per il trasferimento dei fondi, incluse quelle a tutela del principio di
addizionalità dei fondi comunitari, gli impegni finanziari settennali sulle risorse
comunitarie e nazionali.
Nel prossimo settennio 2007-2013, in base all’accordo sulle Prospettive
finanziarie dell’Unione europea raggiunto nello scorso mese di dicembre, le risorse
comunitarie da utilizzare con Programmi nazionali, regionali e interregionali
ammontano a circa 29 miliardi di euro. Le risorse nazionali a carico del Bilancio dello
Stato richieste per l’accesso ai fondi europei saranno commisurate, secondo una
programmazione anch’essa settennale: quanto al cofinanziamento, in base ai tradizionali
tassi di cofinanziamento, integrati dalle dovute compensazioni per particolari aree;
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quanto alle risorse nazionali afferenti al Fondo aree sottoutilizzate, nella misura media
dello 0,6 per cento del PIL, in linea con le leggi finanziarie degli ultimi anni.
Verranno inoltre garantite, anche partendo dai limiti dell’esperienza passata,
condizioni atte ad assicurare requisiti di aggiuntività finanziaria e strategica delle
politiche regionali rispetto a quelle ordinarie.
Per quanto riguarda la strategia di assegnazione dei fondi, essa si muoverà sulla
base dell’esperienza acquisita con il ciclo 2000-20061 e in linea con quanto prefigurato
nella bozza tecnico-amministrativa di Quadro definita dalle Amministrazioni centrali e
regionali con il partenariato economico e sociale, che ha identificato dieci priorità.
Tavola V.2 – Indirizzi della politica di sviluppo del Mezzogiorno 2007-2013
Obiettivi
1 Miglioramento e valorizzazione delle risorse umane
2 Ricerca e innovazione per la competitività
3 Uso sostenibile ed efficiente delle risorse ambientali
per lo sviluppo
5 Inclusione sociale e servizi per la qualità della vita e
l'attrattività territoriale
7
Competitività dei sistemi produttivi locali e
occupazione
8 Competitività e attrattività delle città e dei sistemi
urbani
4 Valorizzazione delle risorse naturali e culturali per
l'attrattività e lo sviluppo
6 Reti e collegamenti per la mobilità
9 Apertura internazionale e attrazione di investimenti,
consumi e risorse
10 Azioni di sistema e capacity building
Priorità del Quadro Strategico nazionale*
Sviluppare i circuiti della conoscenza
Potenziare le filiere produttive, i servizi e la
concorrenza
Internazionalizzare e modernizzare
Accrescere la qualità della vita, la sicurezza e
l'inclusione 2 nei territori
1
3
4
*) cfr. Quadro strategico nazionale (bozza tecnico-amministrativa) 20 aprile2006.
Quattro sono i principali obiettivi:
1. sviluppare i circuiti della conoscenza;
2. accrescere la qualità della vita, la sicurezza e inclusione sociale;
3. potenziare le filiere produttive, i servizi e la concorrenza;
4. internazionalizzare e modernizzare.
1 Per una valutazione dei risultati della programmazione del periodo 2000-2006, confronta Rapporto DPS
2005-febbraio 2006, documento strategico preliminare nazionale-novembre 2005, documento strategico
mezzogiorno-dicembre 2005, disponibili sul sito www.dps.tesoro.it.
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1) Sviluppare i circuiti della conoscenza
All’accrescimento delle conoscenze concorrono le azioni previste nell’ambito
delle priorità “miglioramento e valorizzazione delle risorse umane” e “ricerca e
innovazione per la competitività”. Si tratta di interventi per la qualificazione delle
risorse umane e delle competenze in un contesto in cui, soprattutto al Sud, del tutto
inadeguate appaiono le conoscenze diffuse dei giovani (cfr. par. 1). L’impegno
finanziario in tema di istruzione andrà decisamente moltiplicato rispetto a quello, ancora
insufficiente, destinato negli anni 2000-2006 al Programma nazionale sulla scuola. Va
inoltre proseguito, orientato con maggior forza verso l’obiettivo dell’apprendimento
lungo l’arco della vita e migliorato nella qualità, l’intervento di formazione, per il
contributo che esso può dare alla capacità di inserimento nel mercato del lavoro degli
individui e, in particolare, delle donne.
Nel campo della ricerca e dell’innovazione risorse superiori rispetto a quelle
assegnate nel periodo di programmazione precedente saranno indirizzate, con criteri
fortemente meritocratici a tre linee di intervento: finanziamento di centri d’eccellenza di
standard internazionale presenti nel territorio meridionale; meccanismi di “mediazione”
tra ricerca e mondo imprenditoriale in grado di valorizzare in termini di innovazione e
di produttività i progressi della ricerca nazionale; promuovere la trasformazione della
conoscenza in applicazioni produttive, anche valorizzando il ruolo delle tecnologie
dell’informazione come fattore essenziale di innovazione.
2) Accrescere la qualità della vita, la sicurezza e l’inclusione sociale
Le condizioni di vita dei cittadini e l’accessibilità dei servizi condizionano la
capacità di attrazione e il potenziale competitivo di un’area.
Gli interventi sull’ambiente mireranno, innanzitutto, attraverso un incremento di
risorse dedicate, ad accrescere la disponibilità di risorse energetiche mediante il
risparmio e l’aumento della quota di energia prodotta da fonti rinnovabili. Per i servizi
idrici e della gestione dei rifiuti, saranno effettuati, in continuità con l’impostazione data
nel 2000-2006, e con una identificazione di precisi obiettivi di servizio, investimenti
rivolti all’efficienza e alla tutela del territorio.
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Saranno previsti interventi per il miglioramento dell’accessibilità, con
particolare attenzione alla logistica e alla disponibilità e qualità dei servizi sociali.
Indispensabili risultano inoltre azioni che, soprattutto in alcune regioni del
Mezzogiorno, contrastino e prevengano i fenomeni criminali, ripristinando condizioni di
adeguata sicurezza. Esse andranno condotte con un forte impegno sulla qualità delle
risorse umane coinvolte e con un legame alle iniziative territoriali, che è finora mancato.
A questi obiettivi è rivolta la priorità “Inclusione sociale e servizi per la qualità della
vita e l’attrattività territoriale”, con accresciute risorse finanziarie.
3) Potenziare le filiere produttive, i servizi e la concorrenza
Gli interventi previsti in questo ambito si rivolgeranno alla promozione della
competitività delle filiere produttive, incidendo sulle posizioni di rendita che pongono
un netto limite alle potenzialità di crescita dei territori. Essi saranno integrati con azioni
specifiche e modalità volte a incrementare la concorrenza nell’accesso alle opportunità
offerte dai programmi, nei mercati dei servizi di pubblica utilità, e alla creazione di
esternalità positive per il sistema delle imprese .
Ad aumentare la competitività dei sistemi di imprese contribuiranno anche
“progetti integrati locali”, in base alla priorità “competitività dei sistemi produttivi
locali e occupazione” e interventi per la mobilità e la logistica. Potranno contribuire
anche meccanismi fiscali automatici, come i crediti d’imposta, da finalizzare alla
ricerca, alla crescita dimensionale, agli start-up innovativi. A tali azioni si
affiancheranno quelle mirate ad aprire spazi alla concorrenza e a ridurre il peso della
burocrazia sull’attività imprenditoriale.
Particolare rilievo assumono le potenzialità di alcune filiere produttive:
• l’agro-alimentare potrà avvalersi anche di interventi atti a rendere più
accessibili i mercati di sbocco e a rafforzare la logistica (priorità “reti e
collegamenti per la mobilità”e “apertura internazionale e attrazione di
investimenti, consumi e risorse”);
• la filiera meccanica potrà attivare fra l’altro la necessaria promozione e
valorizzazione di produzione di energia rinnovabile;
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• la filiera del turismo culturale e ambientale potrà orientare il proprio
sviluppo grazie alla concentrazione delle risorse su pochi grandi attrattori
culturali e naturali che già beneficiano di flussi di domanda turistica
internazionale (priorità “valorizzazione delle risorse naturali e
culturali”);
• i servizi avanzati nel campo della scienza, delle nuove tecnologie e della
cultura potranno meglio svilupparsi nei sistemi urbani e nelle aree
metropolitane grazie a un più elevato sostegno finanziario alle azioni per
connettere le città e i sistemi territoriali con le reti materiali e immateriali
dell’accessibilità e della conoscenza, al rafforzamento della
specializzazione delle funzioni urbane.
4) Internazionalizzare e modernizzare
L’apertura del Mezzogiorno ai flussi di merci e persone, nonché il suo
potenziamento quale area di destinazione di investimenti diretti esteri potrà essere
favorita da interventi infrastrutturali e logistici destinati a rafforzare la capacità di
penetrazione commerciale delle imprese dell’area sui mercati di sbocco e l’attrattività di
queste aree per gli investitori. Quest’ultima andrà anche promossa attraverso il
rafforzamento di un programma dedicato. Le relazioni internazionali del Mezzogiorno,
affiancandosi a un rafforzamento dell’azione di capacity building, accelereranno la
modernizzazione complessiva.
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