mercoledì, novembre 24, 2010

Commercialista Olbia LA PRESSIONE FISCALE CALCOLATA SUL PIL REALE E’ PIU’ ALTA

Commercialista Olbia 12 giu. – Secondo una stima della Cgia di Mestre la pressione fiscale in Italia è al 51,9%. Si giunge a questo risultato “togliendo” dal Pil nazionale la quota relativa al sommerso economico, in virtù del fatto che chi evade, anche se crea Pil, non paga nè tasse nè contributi. Quindi, la pressione fiscale reale che pesa sui contribuenti fedeli al fisco è, secondo il segretario della Cgia, sottostimata di quasi 9 punti percentuali. “La pressione fiscale reale sui contribuenti italiani sfiora il 52% del Pil. Un dato che supera di quasi 9 punti percentuali quello ufficiale che, nel 2009, l’Istat ha certificato essere pari al 43,2 % ” – denuncia il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi.

Bertolussi tiene a sottolineare che l’Istat non sbaglia i conti: “L’Istituto nazionale di statistica non fa altro che applicare le disposizioni previste dall’Eurostat (Istituto europeo di statistica), che stabilisce che i sistemi di contabilità nazionale di tutti i Paesi europei, devono includere nel conteggio del Pil nazionale anche l’economia non osservata. Ovvero, il sommerso economico, in Italia, ipotizziamo essere stato nel 2009 tra i 231,9 e i 255,9 miliardi di euro”.

Quindi il nostro Pil nazionale (che nel 2009 è stato pari a 1.520,8 miliardi di euro) include anche la cifra imputabile all’economia sommersa stimata annualmente dall’Istat. La pressione fiscale, che e’ data dal rapporto tra le entrate fiscali e il Pil prodotto in un anno, nel 2009 ha toccato il 43,2%.

La Cgia di Mestre, però, ha voluto “stornare” dalla ricchezza prodotta la quota addebitabile al sommerso economico, calcolando la pressione fiscale sul Pil reale. Facendo questa operazione “verità”, il Pil diminuisce (quindi si “contrae” anche il denominatore) e, pertanto, aumenta il risultato che emerge dal rapporto. Ovvero, la pressione fiscale.

Secondo la stima della Cgia di Mestre, nel 2009 la pressione fiscale “reale” che pesa sui contribuenti italiani ha oscillato tra un’ipotesi minima del 51 % e un’ipotesi massima del 51,9%.

A livello metodologico si segnala che l’ultimo dato dell’Istat riferito al peso economico dell’economia irregolare è del 2006. Per gli anni successivi, l’Ufficio studi della Cgia ha proceduto ad applicare la medesima incidenza che il sommerso economico aveva sul Pil nel 2006. Ciò ci consente di dire che, alla luce del probabilissimo aumento del lavoro nero e dell’abusivismo avvenuto in questi ultimi anni di grave crisi economica, ci troviamo di fronte ad un valore economico del sommerso riferito al 2009 molto sottostimato. Per questo la Cgia ritiene che il livello della pressione fiscale reale è da ritenersi più vicino all’ipotesi massima (51,9%) anziché a quella minima (51%). Complessivamente, tutti i contribuenti fedeli al fisco (autonomi, dipendenti, imprese, pensionati, etc) hanno pagato in più di imposte e contributi una cifra che, nel 2009, ha oscillato tra un’ipotesi minima di 100,1 e un’ipotesi massima di 110,5 miliardi di euro. “Una ulteriore dimostrazione – conclude Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre – che, chi in Italia è conosciuto dal fisco, subisce un prelievo fiscale ben superiore al dato statistico ufficiale. Per questo è assolutamente improrogabile una seria lotta conto il lavoro nero e l’evasione fiscale di chi è completamente sconosciuto al fisco. Aumentando la platea dei contribuenti potremo così ridurre imposte e contributi a chi oggi ne paga più del dovuto”.

La metodologia usata dalla Cgia per calcolare la pressione fiscale “reale” parte dal rapporto tra l’ammontare globale del prelievo e il Prodotto interno lordo (Pil) che si riferisce non solo alla ricchezza prodotta in un anno dalle attività regolari, ma anche da quelle sommerse, cioè non in regola con il fisco. Le ultime stime dell’Istat relative alle dimensioni dell’economia sommersa si riferiscono al 2006, si tratta di una cifra considerevole che si colloca tra 227 e 250 miliardi di euro. Se si ipotizza che nel corso degli anni l’incidenza del sommerso sul Pil sia rimasta la medesima (cioè tra il 15,3 per cento e il 16,8 per cento) si può attualizzare questa stima. Seguendo questa logica, nel 2009 l’economia sommersa dovrebbe oscillare tra i 232 e i 256 miliardi di euro. Utilizzando questi dati è possibile individuare quanta parte del Pil si riferisce all’economia irregolare, più precisamente si possono ottenere due valori a seconda che si sottragga dal Pil ufficiale la quota di valore aggiunto sommerso massima o minima. Le entrate fiscali, sono ovviamente a carico dell’economia regolare, mentre le attività irregolari sfuggono per definizione al prelievo. Quindi, al fine di avere una maggiore percezione del sacrificio a carico dei soggetti economici, può essere utile ricalcolare la pressione fiscale ponendo in rapporto le entrate fiscali con il Pil diminuito di quella parte relativa al sommerso. Il risultato di questo esercizio evidenzia lo sforzo reale richiesto ai contribuenti “onesti”. Inoltre, se si ricalcolano le teoriche entrate fiscali che si avrebbero applicando la pressione fiscale ufficiale (43,2 per cento per il 2009) alla quota di Pil imputabile alle attività regolari e la si sottrae alle entrate effettive, si comprende a quanto ammonta anche in valore assoluto l’entità dello sforzo richiesto ai contribuenti onesti.

lunedì, novembre 22, 2010

Crisi economica Spagna Commercialista Olbia


Commercialista Olbia, “Siamo un Paese serio e manterremo le nostre promesse”. Così, durante il World Economic Forum di Davos, il premier spagnolo Jose Luis Rodriguez Zapatero ha cercato di allontanare l’ombra del crack che pesa sulla Grecia e ha provato a rassicurare i mercati internazionali sulla solidità dell’economia spagnola. Molti analisti internazionali però iniziano a dubitare della credibilità del governo di Madrid che, dati alla mano, continua a sventolare grafici e prospettive positive per il futuro che ormai appaiono davvero poco credibili. Il maggior timore è che il crollo a sorpresa delle finanze iberiche possa travolgere tutta l’Unione Europea. Proprio come è avvenuto nella seduta di ieri della Borsa, in cui l’Ibex 35 ha subito un tonfo del 5,94 per cento.
La Spagna è il Paese europeo con la peggiore performance economica nell’eurozona. Mentre la Germania, la Francia e l’Italia iniziano a registrare nelle proprie economie segnali di ripresa – anche se contenuti –, Madrid continua a dover fare i conti con i numeri in rosso e con un tasso di disoccupazione che, proprio in questi giorni, ha già superato i 4 milioni di persone. Secondo il Fondo Monetario Europeo, la Spagna è l’unico Paese sviluppato dove nel 2010 non ci sarà una crescita ma, anzi, un ulteriore calo dello 0,6 per cento. Per di più, economisti come il Nobel Paul Krugman e il professore dell’Università di New York Nouriel Roubini hanno lanciato l’allarme: “La caduta della Grecia è un problema per la zona euro – hanno dichiarato a Davos – ma quella della Spagna sarebbe un disastro”. Una prospettiva verosimile visto che il peso della penisola iberica nell’eurozona è pari quasi al 20 per cento, dieci volte quello della Grecia.
Mentre Atene si trova attualmente sotto la tutela diretta di Bruxelles – che ha stabilito un rigoroso piano di risanamento della finanza ellenica con un calendario stringente sulla messa a punto delle misure e delle scadenze precise – la Spagna ha definito un programma che, per molti analisti, è tutt’altro che realizzabile. Qualche giorno fa Zapatero ha annunciato un piano di stabilità fiscale che prevede un risparmio di ben 50 miliardi di euro in quattro anni che, secondo quanto si legge nel documento, dovrebbe portare il deficit pubblico dall’attuale 11,4 per cento alla tanto ambita soglia europea del 3 per cento nel 2013. Il Financial Times definisce il piano stilato dal ministro dell’Economia Elena Salgado non solo incompleto ma anche “irrealistico”, sostanzialmente perché prevede una crescita del 3 per cento annuo. E, viste le congiunture economiche, per raggiungere questo obiettivo ci sarebbe bisogno di un vero e proprio miracolo.
Intanto, molti osservatori hanno già da tempo iniziato a non fidarsi più delle dichiarazioni del governo spagnolo e temono che la situazione economica spagnola sia molto peggiore di quanto la dipingono a Madrid. In piena crisi internazionale, e sfidando i dati degli enti economici internazionali, lo scorso settembre l’esecutivo parlava di un deficit nel 2009 del 5,2 per cento rispetto al Pil, a novembre rivedeva il dato all’8,5 per cento e ora, appena 2 mesi dopo, ricorregge il tiro ammettendo un passivo dell’11,4 per cento (pari ad oltre 110 miliardi di euro).
Ma c’è dell’altro. Tra le manovre che Zapatero ha stabilito nel documento di risanamento inviato a Bruxelles era previsto un aumento dell’età di pensionamento a 67 anni e l’innalzamento a 25 anni dell’età computabile per calcolare la pensione, dieci anni in più di quelli attualmente esistenti. Una mossa – che per di più era stata nascosta all’opinione pubblica – che avrebbe contribuito alla riduzione del deficit per il 4 per cento entro il 2030. Ma, di fronte alle minacce di manifestazioni popolari e alla ferrea resistenza dei sindacati e del partito d’opposizione, il governo ha dovuto eliminare il paragrafo sostenendo che “c’era stato un malinteso perché si trattava di una simulazione”. Un affronto non solo al popolo spagnolo ma anche nei confronti della Commissione Europea.
Dopo questo raggiro, l’Esecutivo è stato accusato dalle formazioni politiche e sindacali spagnole – incluso da CC.OO, di estrema sinistra – di “improvvisare” la gestione contro la crisi e di essere formato da “un gruppo di dilettanti della politica”. All’estero, invece, la credibilità di Zapatero è ormai al lumicino. Sempre il Financial Times accusa il premier spagnolo di non aver fatto abbastanza per la crisi (“Ha speso con troppa leggerezza per i piani di creazione di nuovi posti di lavoro”) ma soprattutto di “essere stato talmente persistente e iper-ottimistico nelle prospettive economiche che ora sarà davvero difficile convincere gli spagnoli a fare dei sacrifici finanziari necessari per uscire dalla crisi”.
Il quotidiano inglese ricorda inoltre che se fino a poco tempo fa la Spagna contava sulla solidità dei suoi due maggiori gruppi bancari (il BBVA e il Santander-Central Hispano) ora tutto potrebbe capovolgersi. Secondo quanto è emerso di recente, infatti, il BBVA avrebbe mascherato alcuni dati negativi legati alla quantità di “bad loans” che possiede in Spagna. Qualche giorno fa, i vertici hanno dato un altro colpo a sorpresa annunciando il crollo del 94 per cento dei guadagni del gruppo nell’ultimo trimestre rispetto l’anno precedente.
Molti esperti si domandano se il gruppo bancario abbia realmente confessato tutti i suoi problemi economici o se ha iniziato a rendersi conto di essi solo ora e bisogna aspettarsi il peggio. Secondo il sito Business Week il principale problema bancario spagnolo è che “ha venduto l’idea d’essere meglio disposti rispetto a chiunque altro, ma ora è un fatto che è ancora meno veritiero di prima”. Il Financial Post ritiene che la crisi bancaria spagnola potrebbe essere anche più negativa di quella americana, travolgendo in pieno tutte le economie europee.
L’economista Roubini sottolinea che la situazione spagnola, come quella irlandese, è aggravata ancora di più dall’enorme passivo bancario a causa dell’indebitamento ipotecario derivato dal boom delle costruzioni. Non a caso l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha ribassato, per la prima volta dal 1996, la qualifica del rischio del debito spagnolo. Ieri infine si è vissuta la paura nelle borse europee: l’inquietudine per l’economia spagnola ha portato l’Ibex 35 a registrare un tonfo di quasi il 6 per cento, il peggior risultato dal novembre del 2008, creando un effetto domino di perdite anche nei listini continentali. (Il gruppo Santander per di più ha perso il 9 per cento.)
Tutti questi segnali offrono una prospettiva per niente allettante non solo per la Spagna, ma anche per l’Europa che potrebbe essere trascinata insieme ad essa in un abisso. Per essere davvero credibile, a Zapatero non rimane che lasciar da un lato le promesse e passare ai fatti, magari iniziando a rimpiazzare il ministro dell’Economia.

giovedì, novembre 18, 2010

Commercialista Olbia Piloti Canadair senza stipendio da 3 mesi

Commercialista Olbia Non possiamo garantire le operazioni». Martedì la protesta alla sede della Protezione civile a Roma

ROMA - Poche settimane fa una medaglia dal governo sovietico per aver lavorato allo spegnimento degli incendi in Russia. Oggi un altro governo - quello italiano naturalmente - che rescinde l'appalto, lasciando senza stipendio da due mesi circa 300 persone, con il rischio di danneggiare un patrimonio di circa 600 milioni di euro. Tanto vale la flotta dei 19 Canadair della protezione Civile che, in caso di un qualsiasi incendio, non potrebbero comunque alzarsi in volo per svolgere il proprio delicatissimo compito. L'ossatura del servizio antincendio dello Stato italiano è proprio tutta qui: i velivoli Cl- 415 di proprietà del dipartimento della protezione civile in grado di scaricare oltre 6mila litri d'acqua per sconfiggere le fiamme più indomabili. Poi, di solito, arrivano sugli incendi gli altri aerei ed elicotteri con capacità minore, ma più agili e precisi per i lavori di «rifinitura». A gestire la flotta due società: una che ha in carico i piloti, l'altra i tecnici.
PATRON IN MANETTE - Il mancato rinnovo dell'appalto assegnato dal governo alle due società Soren e Sar, rispettivamente dedite alle fasi operative ed a quelle manutentive, si è abbattuto su 90 piloti e sui tecnici, a causa dell'arresto del proprietario - Giuseppe Spadaccini - sotto accusa per una frode fiscale colossale.
Canadair nel mare della Sicilia (Ansa)IMPOSSIBILE VOLARE - Si legge in una nota sindacale e congiunta di Ugl trasporti e Ipa: «Piloti e tecnici hanno fino a questo momento garantito la disponibilità ad effettuare le operazioni antincendio. Tuttavia, anche se i piloti appartenenti alle due sigle confermano la disponibilità ad andare in volo, le operazioni antincendio non possono essere effettuate per l' assenza del presupposto di aeronavigabilità e del titolo sull' operatore. Alla data odierna, dal Dipartimento della Protezione Civile sono pervenute solo vaghe promesse, mentre permane l' assenza di un impegno che offra concrete garanzie sul mantenimento dei livelli occupazionali del personale Sorem e San».
LA PROTESTA -Martedì mattina, dalle ore 9, i piloti e le altre maestranze protestano a via Ulpiano davanti alla sede della Protezione civile. «Vogliamo porre questa vicenda all'attenzione di tutti»; dice il pilota e sindacalista Massimo Lucioli.
Michele Marangon

domenica, novembre 07, 2010

Commercialista Olbia - nuovo governo stessi problemi

Commercialista Olbia, il governo nel frattempo è cambiato, ma i problemi dell'Italia no. Stesse facce che si alternano da oltre vent'anni, ma i problemi del paese non vengono risolti. Dovremmo pensare a come risolvere diversi problemi, giustizia ed economia in primis, invece continuiamo a parlare di troie e politici che si fanno i cazzi loro a Montecarlo. In questo blog, abbiamo precedentemente attaccato il governo Prodi, oggi siamo governati dalla destra che non sembra voler cambiare le regole del gioco, a loro sta bene cosi, le riforme non si fanno perchè non si vogliono fare e il paese rischia di affondare. Quanti di voi sanno che se l'attuale governo cade lo stato paga ai politici un miliardo di euro da spartirsi ? quanti di voi sanno che il quirinale costa ogni anno allo stato 300 milioni di euro ? quanti di voi sanno che Emilio fede ha la scorta ? quanti di voi sanno che le auto blu costano ogni anno 5 miliardi di euro ? il sistema non regge più le regole del gioco vanno riscritte, ma sino a quando le regole del gioco le scriveranno i giocatori non sarà possibile uscire e prima o poi l'Italia Affonderà.
Troppe le cose che non vanno, facilmente risolvibili, ma il problema di fondo è che non si vogliono risolvere proprio per non danneggiare amici e se stessi. Ovunque ci giriamo dobbiamo pagare, siamo dei limoni da spremere fino in fondo ma aimè il succo è finito. Quello che stà succedendo a livello mondiale è molto chiaro, i soldi, i nostri soldi fanno un solo biglietto di sola andata per la Cina e non ritornano più indietro. La soluzione è molto semplice, o i nostri lavoratori si adeguano ai livelli Cinesi o i paese che non rispettano i diritti dei lavoratori vengono inseriti in una black list da cui ogni paese industrializzato non potrà importare, in nessun caso, neanche se in quel paese è stato fatto un solo bullone. Mi sembra molto semplice, ma perchè invece si continua a chiudere gli occhi ? Si continua a chiudere gli occhi per tante cose, quello soprariportato è solo uno dei milioni di esempi, in ogni caso il tempo restituira il favore, noi ci saremo impoveriti a tal punto da fallire e diventare la nuova Cina e il nostro pil inizierà a crescere a ritmi vertiginosi, poi arriveranno i sindacati e rinascerà una nuova classe politica amica dei potenti che riporterà tutto come prima.