
Commercialista Olbia Dopo l'indulto si avvicina l'amnistia: il Csm la invoca e la sinistra prende la palla al balzo per svuotare ulteriormente le carceri. Così ecco il primo passo: un progetto per evitare la galera a chi è condannato a meno di due anni. ROMA. L’ha fatto ancora. Il ministro dell’Interno, Giuliano Amato, è andato in Parlamento e s’è sfogato di nuovo contro l’indulto: «Chi fa il ministro dell’Interno non può non soffrire. Se non soffre è un “cattivo” ministro. Questo non potete non capirlo». Ormai è chiaro: il provvedimento che ha aperto le porte delle carceri a diverse migliaia di detenuti non piace più al ministro. Troppe le segnalazioni che gli vengono da prefetti e questori. Non c’è solo l’emergenza di Napoli. In tanti centri si nota un’impennata di criminalità. «Ma una sofferenza permanente me la dà, in realtà, un sistema legislativo e processuale a causa del quale ci ritroviamo a spasso, senza rimedio, persone che con difficoltà e rischio sono state sottoposte alla giustizia». E allora Amato pone il problema della certezza della pena.
Occorrono modifiche di legge. «Ma senza arrivare a misure anticostituzionali». Non si tornerà al mandato di cattura obbligatorio, però il governo intende mettere mano alle «maglie larghe della nostra legislazione» perché è inaccettabile che chi dovrebbe stare in carcere «finisce per non esserci e gli imprenditori che hanno avuto il coraggio di denunciare gli autori del pizzo se li ritrovano davanti dopo quattro mesi». Una denuncia cruda, quella di Amato. In polizia, infatti, si respira fin troppa frustrazione per quanto è accaduto. Ma uguale frustrazione si vive in magistratura.
Il Consiglio superiore della magistratura ha presentato ieri il quadro desolante degli uffici giudiziari italiani alle prese con l’impatto di un indulto non accompagnato da amnistia. Ovvero la beffa di tribunali che lavoreranno per i prossimi tre-quattro anni quasi solo esclusivamente a processi senza scopo perché poi le sentenze non verranno mai scontate. Paradossale. Ma inevitabile perché l’escamotage proposto dal ministro Mastella, secondo il Consiglio, è inattuabile. Il ministro della Giustizia chiedeva al Csm di emanare una direttiva che portasse su un binario morto i processi «inutili», congelandoli in attesa che cadessero in prescrizione. Ma il Consiglio non lo farà. «L’esigenza prospettata dalla nota ministeriale può essere stabilmente e correttamente soddisfatta, nel nostro sistema costituzionale solo mediante un appropriato intervento legislativo».
La patata bollente, insomma, torna al governo e al Parlamento. «Prevedere criteri di priorità cozzerebbe contro il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale», sintetizza il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino. La soluzione maestra, insomma, sarebbe un’amnistia. Dopo le pene, si cancellano anche i reati e non se ne parla più. Almeno i tribunali non girerebbero a vuoto. Ma il Csm si guarda bene dal proporre un passo del genere. Dice ancora Mancino: «Non vogliamo passare per quelli che sollecitano l’amnistia. Nessuno di noi la chiede. Nessuno l’invoca. Storicizzando però si nota che in sessanta anni di storia repubblicana, nei 17 provvedimenti clemenziali mai si sono disgiunti amnistia da indulto. A buon intenditore, poche parole».
In Parlamento, però, al solo sentir parlare di amnistia, vengono sollevate mille obiezioni. I partiti non se la sentono di portare avanti una questione così impopolare. La politica ha fatto un mezzo pasticcio, ma non se la sente di rimediare. L’unico che si espone è Antonio Di Pietro, che era contrarissimo all’indulto ma ora chiede una «amnistia selettiva che eviterebbe di celebrare una miriade di processi inutili». E subito s’irrita, al solito, Mastella, che avverte l’invasione di campo: «Vorrei sapere una volta tanto quando terminano i lavori della Salerno-Reggio Calabria».
Che i giudici si arrangino, insomma. L’unica via per non imballare la macchina della giustizia è che i capi degli uffici giudiziari si prendano loro la responsabilità di emettere circolari che stabiliscono corsie «di sorpasso» per i processi da fare e corsie «di rallentamento» per quelli da abbandonare a se stessi. Ci stanno pensando a Torino e a Roma. L’ha fatto a Milano il presidente del tribunale, Grechi. «Dimostra la capacità e volontà di non rassegnarsi a una giurisdizione che produce disservizio», si compiace il Csm.